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#NoTav: quei tutori dell’ordine che picchiano e puniscono le donne!

Da Abbatto i Muri:

Senza voler minimamente dire che solo a noi può capitare. Anzi (QUI uno dei fermati, Mattia, racconta quello che hanno fatto a lui). Giusto perché però sulla “violenza sulle donne” si realizza una retorica che legittima chi attua repressione e la cui ipocrisia è bene svelare.

Quello che vedete è il video con l’intervento integrale di Marta, attivista pisana di 33 anni, la quale racconta che sarebbe stata fermata, massacrata di botte dopo il fermo, umiliata in diversi modi, palpeggiata sui seni e nelle parti intime da agenti della polizia. Una poliziotta le avrebbe sputato in faccia dandole della “puttana”.

QUI la versione rimontata da RePubica. QUI RePubica torinese scrive cose tipo:

La realtà è diversa. L’attacco di venerdì sera era stato preparato con cura ed è l’ultimo atto di una escalation che cerca di arginare l’emorragia del movimento.

Per cui c’è chi immagina di poter tranquillamente fregarsene della volontà delle persone che manifestano in valle e affermare che: “Lo Stato non si ferma e non si lascia intimidire“.

QUI siamo al gossip. Per dare una immagine negativa del Movimento NoTav e spaccarlo tra buoni e cattivi si continua a dire che la valle non sarebbe coinvolta e si continuano ad usare frasi come: “c’è una palestra a disposizione dell’antagonismo“, “la domanda e l’offerta nella notte della Val di Susa, quando cade anche l’ultima foglia di fico“, “le dimensioni del movimento non sono più quelle di qualche tempo fa“, “pacifici valligiani” salvo poi fare del sarcasmo mentre la stessa Nicoletta Dosio, NoTav valsusina più che conosciuta, dichiara che “Tra noi non ci sono buoni e cattivi, i ragazzi arrestati questa notte sono degli eroi“. Dunque per il mainstream passerebbe la versione secondo cui quelli esterni non sarebbero compagni e compagne che partecipano una lotta più che giusta a fronte di un movimento demonizzato e criminalizzato con metodi alla Erdogan/Turchia, ma sarebbero quelli che confermerebbero un presunto “metodo dell’outsourcing: chi arriva da fuori opera per conto di chi sta in valle.

Dopodiché si continua con una serie di asserzioni appiattite con i Si/Tav, in linea con governo, rappresentanti vari del Pd che con quelli del Pdl fanno un governissimo che sulla Tav sono più che d’accordo, al punto da inserire il rifinanziamento del terzo valico giusto nel bel mezzo del decreto emergenza per i terremotati, cosa che quando fu rilevata da qualcuno dell’M5S dissero che quella critica era ostruzionismo.

In tutto ciò vi basta andare indietro di qualche settimana per leggervi le belle parole di RePubica a sostegno della resistenza di Turchia, come se lottare per un parco fosse diverso dal lottare per difendere una valle intera. Le persone che in Turchia rilanciavano indietro lacrimogeni, resistevano alle manganellate e alle cariche a Istanbul sono degli eroi, qui invece si pratica un victim blaming costante e dunque vengono descritti come criminali.

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Farà piacere a RePubica sapere che il movimento turco ha inviato la propria solidarietà al movimento NoTav. Tanto per dire come stanno le cose.

manganellatasfrattatiA margine, durante l’intervista, Marta parla anche di Stefania, la compagna manganellata a Roma durante una manifestazione in cui si denunciavano sfratti e precarietà.

Di questa violenza i movimenti donnisti simil Snoq non si occupano, salvo lanciarsi a dire che la rivoluzione turca sarebbe uguale uguale a quello che fanno loro.

Movimenti come quelli, piuttosto che dare solidarietà alle vittime di violenza delle Istituzioni, di quei tutori legittimati a farci male in nome di una presunta difesa di cui avremmo bisogno, in queste circostanze non esistono, non si pronunciano, non ci sono mai. Come se un po’ queste ragazze, che non se ne stanno a casa a fare la calza invece che andare in piazza a ribellarsi e rivendicare diritti, lo meritassero. Meritassero di essere punite, come capita per la galera alla quale è stata condannata Marianna. Perché se scendono in piazza e diventano soggetti autodeterminati perdono lo status di vittime che le renderebbero meritorie di “tutela”. In fondo quel che si coccola è l’idea che una donna che sta a casa a fare il proprio dovere non dovrebbe essere toccata. Quel che si difende è la proprietà in generale, includendo tra queste le donne come corpi/oggetto di Stato. Da lì l’enfasi quando si distingue la violenza di un marito da quella di un cliente di una prostituta, da quella di un transofobo che ammazza una trans, da quella di un tutore dell’ordine che ti manganella per dirti che la tua idea di futuro va buttata nel cesso.

Ché la rivendicazione autodeterminata dei diritti sia trattata come fatto di ordine pubblico, agita in termini repressivi, censurata e costantemente criminalizzata, non può essere però sfuggito a certe entità donnesche. Dunque: o sono d’accordo, e perciò in un certo senso complici morali, oppure declinano la questione della violenza in termini paternalisti e fascistissimi a tutela della santa madre vergine che va restituita alla cura e al focolare in sicurezza.

Vaglielo a dire, poi, ad un uomo che fa il militare, di distinguere e fare il marito affettuoso e mai manesco in casa con la moglie e poi tirare colpi di manganello sulla manifestante in piazza. Come se, piuttosto, le persone in piazza fossero la palestra fuori/norma e di contenimento della violenza domestica, altro che palestra antagonista. Ma non divago. Scrivono le compagne boliviane a proposito dell’uso che si fa delle leggi che parlano di femminicidio:

In particolare, Maria Galindo, una delle fondatrici di Mujeres Creando, ha denunciato la piega securitaria della legge medesima, che costituisce il presupposto, o forse il pretesto, per finanziamenti a pioggia alle forze dell’ordine e per un rafforzamento dei poteri delle stesse: questa legge riposa sopra questa polizia per rifornirla di macchine, di computer, di telecamere, di caschi… Noi manifestiamo mettendo in discussione la legge, fondamentalmente per il fatto che nel suo insieme, attraverso la creazione di una Task Force contro la violenza all’interno della Polizia, torna a dare potere, denaro e tutela a uno degli organismi (…) più violenti, più maschilisti della società boliviana, come è la Polizia. Galindo continua sottolineando il carattere propagandistico e ipocrita della legge, la quale servirebbe in maniera assolutamente demagogica per coprire il carattere machista e violento dei membri del Movimento Socialista.

E a ripensare all’uso, in termini di marketing istituzionale, che viene fatto della questione della violenza sulle donne per legittimare la repressione di Stato direi che un po’ forse hanno ragione. Quanti sono i soldi e i mezzi destinati ai tutori dell’ordine in nome della difesa delle donne?  Quanti sono i soldi e i mezzi che poi vengono usati per mettere in atto la repressione per le strade? Quanto è come le donne vengono usate come oggetti di Stato per legittimare quello che succede alle varie Marta, Stefania, Marianna e a tutti i compagni con i quali si lotta assieme?

Quanto è come la questione della violenza sulle donne viene utilizzata come anestetico sociale, legittimazione all’autoritarismo e pretesto per dimenticarsi della differenza di classe, della repressione, della lotta per i propri diritti portata avanti da persone di ogni genere?

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Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Critica femminista, NoTav, Omicidi sociali, Precarietà, R-esistenze.