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Mi hanno salvata da Miss Italia! (che culo!)

Da Abbatto i Muri:

E’ che in effetti siamo irriconoscenti, noi precarie di ogni generazione. E’ che pensavamo che la “scelta di civiltà” fosse propria di un paese in cui non si dovessero fare i salti mortali per campare. Pensavamo che la questione impellente, l’urgenza, non fosse quella delle “donne seminude” che infastidiscono la Boldrini e pensavamo che non esistesse neppure una “immagine vera di noi donne italiane” da difendere perché se poi a dire questa cosa è una signora molto ben vestita che non sembra aver mai patito miseria viene il dubbio che lei, assieme alle altre che l’accompagnano in questa crociata, non hanno la più pallida idea di quale sia l’immagine “vera” delle donne, con carico patriottico di portabandiera o anche no.

Le spiego, Presidente, che i suoi obiettivi non sono i miei, che la mia “urgenza” è riuscire a campare, è avere il diritto di rivendicare quello che mi serve senza ritrovarmi con la fronte spaccata da un manganello se scendo in piazza a chiedere casa, diritti, reddito. La mia urgenza, quella di una delle tante donne “vere” di questa sottospecie di nazione, è quella di preoccuparmi costantemente per il futuro di mi@ figli@ alla quale nessun@ garantisce niente.

Cosa posso dire a quella figli@, cara Signora? Che per confortarla della sua precarietà e della sua mancata autonomia le avete buttato giù un manifesto con un culo seminudo? Le devo dire che ora che Miss Italia non c’è più lei può dormire tranquilla? Ma la chiusura di Miss Italia ci dà forse da mangiare? Realizza per noi nuove opportunità? E quando? E dove?

Se delle ricche signore investono nella teorizzazione di nuove norme entro le quali ci dobbiamo muovere, come se di norme contro le quali combattere non ne avessimo già abbastanza, come e perché questa cosa dovrebbe riguardarmi? Che tipo di vantaggio traggo io dal fatto che mi servite la censura moralista come anestetico sociale mentre i miei problemi urgenti sono altri?

Nel convegno milanese la Camusso ha detto che la questione economica con la violenza sulle donne non c’entra niente. Lo ha detto in apertura del suo intervento. Una signora in fondo alla sala non è stata d’accordo e non lo sono neppure io. Si è trattato dunque di un convegno presso la camera del lavoro in cui si sono legittimati capitalisti, sfruttatori e governi orientati a coccolare privilegi di ricchi a danno di persone precarie come me o anche molto più di me, perché dire che la violenza non ha nulla a che fare con l’economia è una gran balla che sposta l’attenzione. E’ come dire che l’economia non c’entra nulla con colonizzazioni, sfruttamento, imperialismo. Come dire che le tante violenze che vengono realizzate al mondo dipendono dalla crudeltà degli uomini e non da interessi precisi.

Se una ragazza ha dei soldi per vivere senza dover dipendere da nessuno non sposa il primo che le capita. Se poi ha dei soldi per andarsene quando si accorge che lui è violento non è obbligata a restare per paura di perdere vitto e alloggio. Se una migrante non fosse ridotta in stato di clandestinità non sarebbe obbligata a subire ricatti di datori di lavoro che la molestano sessualmente, perché è anche vero che la questione culturale, la mentalità, tra l’altro propagandata da una retorica romanticheggiante che viene diffusa da canzoni e libri (vogliamo bruciare pure quelli?), è un gran problema, ma che si dica che l’economia non c’entra è una bugia enorme.

Dopodiché c’è l’intervento della Boldrini che è appiattita sulle posizioni delle Snoq che per lei fanno un gran tifo. Non una parola sulle tante donne adulte uccise per precarietà. Meglio tirare fuori la ragazzina che nell’estetica antiviolenza funziona per legittimare qualunque provvedimento repressivo e autoritario.

La teoria della Boldrini, ampiamente condivisa ahimè, è quella che se ti spogli diventi oggetto e se diventi oggetto allora la violenza arriva in un attimo. Dunque Boldrini e altre sono d’accordo con chi dice che se mi spoglio e poi mi stuprano un po’ me la sono voluta, perché il nocciolo del problema sta nel fatto che un maschilista mi dice che spogliarmi poi lo provoca e una signora che difende la mia dignità dice che sono una creatura di valore e che mostrarmi nuda mi riduce a oggetto.

In cosa questo ragionamento scalfisce quello del maschilista? In nulla, secondo me, perché stanno dicendo esattamente la stessa cosa. Stanno dicendo che la violenza dipende da quanto, quando, dove e come io mi mostro, mi denudo, e per quanto io condivida un pezzo di analisi circa gli stereotipi di genere, quel che a me interessa non è rivestirmi ma eventualmente fare in modo che lo stereotipo sessista che mi tiene intrappolata, il modello unico di bellezza che mi viene propinato, sia scardinato e sovvertito per comprendere anche me.

Io non voglio che si rivesta la modella. Voglio che ci sia spazio e modo affinché io possa spogliarmi quando mi pare e senza subire commenti moralisti di nessun genere. Il moralismo è proprio di chi impone una morale unica per tutti/e. Quando mi si dice che la coscia con cellulite non devo mostrarla è quella la faccenda che mi tiene intrappolata e non è certo cancellando dalla mia vista il corpo di donna ritoccato con photoshop che io ho risolto quel problema.

E poi non credo per davvero che vi sia una correlazione tra le immagini e la violenza perché la violenza è cosa antica e c’era prima della pubblicità, prima delle televisioni, prima di tante cose, e se non è stata sconfitta, ancora, l’idea di possesso e l’incapacità di guardare all’altra persona come soggetto invece che oggetto direi che si deve ad un sbagliato approccio che intravedo anche nel momento in cui si parla di “noi donne” senza tenere conto che non esiste un “noi” e forse non esistono neppure le “donne” se non come costruzione culturale di genere che serve ad affibbiarci ruoli, a darci incarichi, a farci diventare, appunto, oggetti.

Non siamo oggetti, forse, nel momento in cui il welfare ci impone di riprodurci e fare da ammortizzatrici sociali con i nostri ruoli di cura portati avanti nella più assoluta gratuità? Quanti soldi risparmia lo Stato e quanti le imprese nel momento in cui noi facciamo le brave curatrici degli affetti? E gira che ti rigira la questione è economica eccome. Lo è perché mi si vorrebbe fare credere che è più dignitoso fare la badante, lavare il culo ad un vecchio, andare a pulire cessi, che sfilare in una passerella. Lo è perché mi viene propinata l’idea che quel che è indecente per una Snoq dovrebbe esserlo anche per me.

Quando la Boldrini dichiara di essere felice per il tribunale dell’inquisizione che il comune di Milano ha messo in piedi per giudicare le immagini sessiste, dove non si capisce chi decida cosa sia indecente e e cosa no, e poi dichiara, più o meno, che è una ottima cosa che le parlamentari abbiano presentato disegni di legge per censurare programmi tv, pubblicità e manifesti, si sta presentando al mondo come sacerdotessa di una chiesa eretta in nome della difesa della dignità delle donne.

Presidente Boldrini: quel che non le piace non si censura, piuttosto si contribuisce affinché evolva. Perché quello di cui parla è un linguaggio e le parole che non ci piacciono non spariscono dal dizionario. Ce ne appropriamo e le facciamo diventare altro. Così le immagini che si sovvertono e non si censurano.

La prego: basta con queste messe cantate in cui si parla di “noi donne” come se le nostre urgenze fossero le stesse. Non lo sono. Mi occupo di violenza da troppo tempo e dunque non me la bevo la storiella che la censura mi salva in qualche modo. La censura genera censura. La morale unica su tutte le donne diventa normativa. Quel che vedo in atto per me ha un nome preciso e c’entra molto poco con l’idea di libertà che ho in mente. Si chiama fascismo sui corpi, sulle nostre abitudini, con uno sguardo giudicante che è quello tipico di certe donne adulte che sono ben intenzionate a insegnarci come bisogna stare al mondo. Se torneranno i corsi di bon ton per essere brave ragazze interpreti di questa nuova cultura d’obbligo sociale nei confronti degli editti anti spot sessisti non mi sorprenderebbe affatto.

Infine si, mi spiace, siete moraliste perché chi non la pensa come voi finisce per essere guardata male, perché state generando altri stereotipi e stigmi che ci rimarranno appiccicati sulla pelle. Ieri ero puttana se vestivo in minigonna, oggi sono complice del maschio cattivo se faccio una foto nuda e la mostro al mondo.

L’idea che una mentalità possa essere rivista censurando i corpi ha molto a che fare con un futuro degno di Arancia Meccanica, e quello che ancora sfugge alle precarie come me è: quali sono i provvedimenti urgenti e non rinviabili affinché mi si dia l’opportunità di salvarmi come voglio io? Affinché mi si diano strumenti, reddito, diritti, lavoro? C’è questa grande omissione in tutto il ragionamento che viene portato avanti da quelle come lei.

Perché quelle come me non vogliono affidarsi e delegare. Non vogliamo, per l’appunto, essere oggetti (di Stato) ma vogliamo essere soggetti e da soggetto quale sono, sapendo che tanto la mia opinione non interessa proprio a nessun@, dico che la scivolosa china intrapresa non mi piace e non mi rappresenta. Anzi. Non ci piace. Non ci rappresenta. Perché mi@ figli@ la pensa come me.

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