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Retoriche d’amore “puro” e uccisione di una sex worker

Da Abbatto i Muri:

Lei è la #18esima vittima di femminicidio di quest’anno. Una amica e il suo fidanzato, tutti rumeni, la trovano a casa morta ammazzata. Dapprincipio non si sa nulla e giusto in questi giorni viene fuori che gli indizi porterebbero ad un imprenditore del luogo, un cliente che ora è accusato di un delitto grave. Rischia l’ergastolo e io non sono qui per raccontare che meriterebbe di perire in carcere perché preferisco la prevenzione alla punizione/espiazione che non risolve niente.

Dunque non entro nel merito della questione perché non sono una criminologa e non ragiono del mio prurito, se mai ce lo avessi, giustizialista sulla pelle altrui. La sua difesa dice che lui con questa donna avrebbe litigato perché lei era una escort e voleva soldi e lui li aveva più o meno finiti. Però sostiene di non averla uccisa, che alla fine ad ucciderla potrebbe essere stato qualunque altro cliente. La stampa locale da giorni celebra un processo sui media e quel che viene fuori è una immagine della vittima assai peggiore dell’uomo che adesso è in carcere con l’accusa di averla uccisa.

Dicevo, dunque, non c’ero, non so e non mi occupo di questioni tribunalizie. Mi interessa però questo articolo (altri articoli tratti dallo stesso quotidiano qui) che mi segnala Alessandra con un appunto eloquentissimo: “lei puttana serpentella tentatrice lui porello innamorato e ricchissimo ergo ben le sta…“.

Vale la pena commentarlo perché spiega molte cose circa l’approccio italiano ai femminicidi che cambia a seconda del fatto che tu sia una santa madre vittima di un marito violento o che tu sia invece una prostituta. Vale la pena commentarlo anche per le contraddizioni svelate in cui, tutto sommato, in termini culturali noi viviamo.

Il titolo:

Lei era una escort lui voleva altro

e il punto è che ci sarà sempre, per ogni femminicidio, chi dirà che lei era xy e lui voleva altro. Lei voleva lasciarlo e lui invece no. Lei voleva lavorare e lui invece non era d’accordo. Lei semplicemente non voleva stare con lui e lui non era d’accordo. Lei voleva essere pagata per il tempo speso con lui e lui invece non le ha dato quanto richiesto. Non c’entra nulla il mestiere che una donna fa perché quel mestiere non è porta d’accesso per includere nel prezzo il possesso di una persona, la limitazione delle sue scelte, non tenendo in considerazione quel che lei desidera, che vuole, perché può anche essere una escort ma non è detto che voglia scegliere te e se ti dice che il tempo trascorso con te non è “amore” e non è gratis tu non puoi pretendere altro.

Dunque, nel caso in cui le cose fossero andate come si legge, si sarebbe trattato di un banale rifiuto e nulla di più. Lei ha detto di No e lui non l’ha accettato.

Il titolo dell’articolo poggia piuttosto su una mentalità diffusa, sulla quale si è realizzata una retorica di tutori e tutoresse, la stessa mentalità di chi in senso paternalista sostiene che una donna che si prostituisce va salvata e dunque ricondotta entro il limite delle relazioni in cui l’ammmore vorrebbe certamente dire reciprocità, capacità di relazione, consensualità e autodeterminazione. C’è di mezzo la convinzione un po’ pretesca che se ti salvo e ti rendo una “donna onesta” poi mi devi dire si, tu me la devi dare e la devi dare solo a me. C’è il fatto che se tu intendi invece preferire la prostituzione al mio “sincero affetto“, a me che sono tanto disponibile e ti voglio “regalare” un sentimento che corrisponde al fatto che ti vorrei far diventare compagna, moglie, madre (che culo!), allora meriti tutto quello che ti capiterà, incluso il fatto che la tua scelta di libertà ti costerà la morte.

L’articolo insiste e continua a rigirare il coltello nella piaga per imprimere la convinzione che lei fosse solo una puttana che non meritava nulla.

Adriana era una escort, non la sua migliore amica. Voleva i suoi soldi, non il suo affetto. Quando Carlo ha visto spegnersi la fiamma dei sentimenti che sentiva ardere, s’è accesa la scintilla di follia che ha trasformato l’imprenditore buono in feroce assassino.”

Chi scrive segue un copione che è un bel film, dopotutto, un po’ anni ’50 e vedrei bene Nazzari (Amedeo) nel ruolo del protagonista. Solo che a prescindere dal fatto che lui fosse tutto un fuoco o che fosse Jekill e Hide il punto è che lei voleva i soldi e non una relazione. E dunque?

E poi di lui si dice:

Fuori industriale di successo (…), dentro uomo con complessi d’inferiorità e impacciato con le donne. Con Adriana si sentiva più sicuro, ci teneva alla relazione con la fascinosa squillo venuta dalla Romania. Non sarà stata una love story, ma gli piaceva farsi vedere in giro con un’icona di femminilità. Pagava per apparire al suo fianco.

Ancora: e dunque?

Ma gli investigatori hanno trovato anche altre orme tra le pieghe della lite che ha provocato l’omicidio: i segni di un rapporto morboso di Carlo con la prostituta. Può darsi che la furia assassina sia scattata proprio dal crollo dell’unica certezza a cui si aggrappava. Forse era l’ancora per non affogare nel mare della solitudine.”

Qui siamo in piena sceneggiatura. Chi scrive si concede delle licenze poetiche di non poco conto. Un “forse” può diventare qualunque cosa. Che lei fosse ritenuta miccia, àncora, riempitivo, donna-valium, psicofarmaco, avente d’obbligo ruolo di cura delle fragilità altrui, ciò non toglie che è morta. Ammazzata.

Morta ammazzata lei così come ogni tanto muore ammazzata qualche badante che viene ricattata e costretta a concedere anche servizi sessuali all inclusive ai datori di lavoro che pretenderebbero di essere anche amanti, fidanzati, chissà che altro.

 “Adriana quella domenica mattina 7 aprile deve avergli sibilato parole che Carlo non ha accettato, una frase di scherno che s’è infilata come una freccia avvelenata nei suoi sentimenti di amico e nell’orgoglio di uomo. Non accettava l’idea di essere per la giovane procace solo il riccone a cui spillare più denaro possibile, l’angelo biondo era ormai solo il demone da togliere di mezzo. A colpi di coltello, almeno trenta.

Il punto è che nessuno lo obbligava a comprare i servizi resi dalla donna. Se la prostituzione fosse legalmente intesa come professione forse sarebbe più chiaro da definire ma in ogni caso è un lavoro e non mi pare che ci fossero dubbi a tal proposito. Quella donna era una escort e se chiedi i servizi di una escort poi la paghi. Se non hai soldi per pagare semplicemente non esigi quel servizio che non ti è dovuto. Se io vado a comprare un servizio  la persona qui definita “demone da togliere di mezzo” è una creditrice. In questo caso è una creditrice che non ha modo di perseguire quel cliente per ricevere quando concordato. Dunque come deve difendersi? Come potrebbe farsi dare i soldi che le spettano? Capite bene che in mancanza di regolarizzazione di quella professione, come le sex worker da tempo chiedono, non ci sono garanzie per chi vende il servizio e chi lo compra.

L’articolo continua:

La pretesa di soldi ha fatto andare su tutte le furie Carlo. “Ma come, siamo intimi ormai”. Lei deve aver ribattuto prendendo seccamente le distanze da lui e dai suoi palpiti emotivi. Lo scambio di battute gli ha tolto il lume della ragione. E ha menato fendenti sotto la spinta di un ratpus omicida. Una ricostruzione possibile per l’accusa. I carabinieri, mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle investigativo, hanno tratteggiato il profilo psicologico debole di Carlo che potrebbe aver portato alla furia assassina, il litigio può aver fatto da miccia per l’esplosione del senso d’inferiorità che si porta dietro come la sua ombra.

Questo, appunto, secondo l’accusa. Voi direte: l’accusa contro chi? Lui o lei? Chi è sotto processo in questo articolo? Che una persona che uccide abbia problemi di dipendenza e di incapacità a relazionarsi giacché non ha idea che l’altr@ sia una persona con propri desideri e proprie scelte, è possibile e non serve dircelo. Quello che non funziona è il fatto che da tutto questo quadretto romantico viene fuori che è sempre lei che deve prendersi cura delle sue fragilità. Lei, la donna, per di più morta. Significa che le donne hanno obbligo di cura pure dalla tomba a coccolare i bisogni, le fragilità in un ultimo estremo gesto che sarebbe quello di evitare di morire troppo forte affinché a quell’uomo fragile non si faccia troppo male.

E per male io non intendo torture, male fisico, galera, nulla di tutto ciò. Intendo il fatto di ripensarsi come persona, di rimettersi in discussione, e la comunicazione, la stampa, chiunque si occupi di queste cose, non può non sapere che se non affronti tutto ciò da un punto di vista di genere domani non realizzerai le condizioni affinché una persona così sia in grado di essere indipendente, sentimentalmente alfabetizzat@, capace di accettare la consensualità come premessa necessaria ad ogni relazione fuori da ogni autocommiserazione.

Non so come sia andata. Non posso saperlo perché non c’ero ma quel che leggo in questo articolo mi incastra in un ruolo che non mi piace. Si mettono in circolo stereotipi penosi che riguardano anche gli uomini e ci dividono ancora in streghe e inferiori, dicotomie rigide trattate con ambiguità, noi forti e loro deboli, noi quelle superiori alle quali si può consegnare il mondo, noi fredde, calcolatrici, loro poveri romantici e incapaci di riscrivere un copione in cui il loro personaggio sembra essere sempre e solo quello di chi invece che amare finisce solo per possedere. Alla sbarra lui. Alla sbarra lei. Quando perciò si smetterà di ragionare per stereotipi sessisti e si comincerà a decostruire quel che attiene ai ruoli di genere, direi che sarà un gran giorno.

Posted in Comunicazione, Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio, Sex work.

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