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#Palermo: #Rosy e quel bambino che sarà dato in adozione

Da Abbatto i Muri:

Su Rosy. Un comunicato del Comune di Palermo chiarisce:

Con riferimento alle notizie riportate in queste ore da alcuni organi di stampa circa le dichiarazioni della madre di Rosi Bonanno vittima oggi dell’enessimo atto di femminicidio, si ritiene utile, nei limiti che la situazione impone alla luce dei risvolti giudiziari della vicenda, fornire alcuni chiarimenti.

La giovane Rosi si era recata presso i Servizi sociali comunali della III Circoscrizione lo scorso 4 marzo, IN COMPAGNIA DEL SUO COMPAGNO, qualificandosi come domiciliata a Villabate. Poiché in passato aveva già usufruito dell’assistenza dei servizi, è stata accolta dagli assistenti sociali cui ha spiegato che lei e il compagno erano in cerca di una casa, a seguito dello sfratto dalla loro abitazione di Villabate. In quella sede sia lei che lui hanno rifiutato l’assistenza offerta, che prevedeva il ricovero protetto per la madre e il figlio e, in una struttura separata, per il compagno.

Due giorni dopo, come risulta dagli atti dei Servizi, la ragazza ha comunicato telefonicamente la cessazione dello stato di emergenza, in quanto aveva trovato alloggio presso la madre.

Della situazione, i servizi sociali comunali, segnatamente le strutture preposte alla tutela dei minori, erano tornati ad occuparsi nel mese di giugno, su richiesta della Procura Minorile, cui è stato relazionato circa l’opportunità di un ricovero protetto per la madre ed il bambino a seguito di comportamenti violenti del padre.

Dopodiché denunciano lungaggini burocratiche dovute al fatto che il provvedimento di ricovero protetto non era stato predisposto. Non c’erano dunque affidi di mezzo in una situazione monitorata dagli assistenti sociali. Piuttosto c’è una situazione di enorme povertà. Povertà che ha portato allo sfratto di queste persone, a cercare rifugio presso genitori poverissimi, ed è la stessa povertà che porterà a dare in adozione il bambino perché i nonni materni sono troppo poveri e troppo anziani perché sia lasciato con loro.

Poi, la Procura chiarisce che:

«Da controlli nel registro generale delle notizie di reato abbiamo accertato che la signora Rosy Bonanno aveva denunciato due volte (una nel 2010, l’altra nel 2011), e non sei, il convivente Benedetto Conti. Le accuse erano di maltrattamenti in famiglia e non di stalking. Entrambe le denunce furono archiviate dal gip su richiesta della Procura perchè la signora, risentita dagli inquirenti, minimizzò i fatti e in un caso ritirò la querela sostenendo che i dissidi erano cessati e che si era riconciliata con Conti». Cosi il procuratore di Palermo Francesco Messineo e l’aggiunto Maurizio Scalia, che coordinano l’inchiesta sull’omicidio della donna assassinata dall’ex convivente, hanno precisato smentendo che la vittima avesse denunciato sei volte l’uomo per stalking come inizialmente scritto. «Ci riserviamo di fare ulteriori accertamenti – hanno detto i due magistrati – ma allo stato dalle ricerche, fatte col doveroso scrupolo, è emerso questo».

Quello di cui parla tutta questa faccenda è una tragedia che inizia e finisce nella miseria più totale. Miseria, impossibilità di scegliere un’altra vita, pochi strumenti e risorse, la resa ad un sistema che è solo assistenzialista e che non ti dà modo di risollevarti da sola, senza dover fare scelte che ti separano dagli affetti, senza poter fare percorsi di autonomia, quando la povertà è talmente tanta che l’unico tuo rifugio è quello che ti tiene in trappola.

Immaginate questa ragazza, in quella situazione, che prospettive aveva? E quante volte le sarà venuto in mente, come si vede dal modo in cui ha vissuto la sua vicenda, di fare andirivieni con quell’uomo che forse immaginava rappresentasse uno spiraglio, una via di fuga, e invece era soltanto un altro meccanismo di quello stesso ingranaggio che la teneva lì a condurre strade obbligate?

Se non si capisce che in alcune situazioni la violenza di genere nasce, cresce e si concretizza fin dalla tua nascita, si rischia di sbagliare perché quella ragazza non è soltanto vittima di un assassino. E’ vittima di una mentalità e un sistema sociale che dice che l’unica tua via di fuga, se vuoi un minimo respirare, se vuoi ridere, amare, fare sesso, uscire dalle tue quattro mura e dalla miseria, è quella di un marito e un figlio. Nessuno l’avrà obbligata, immagino, ma in che condizioni viene fatta quella scelta? Quale cultura ti obbliga a scegliere di non andare a scuola, non trovare un lavoro, non renderti indipendente? Quante sono ancora (e io so che sono tante) in molti posti le donne che intraprendono un percorso antico dove non c’è per loro altra possibilità? Chi mai penserà che è necessario parlare di istruzione, lavoro, opportunità, reddito per scongiurare dipendenze e prevenire tutto questo?

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Posted in Comunicazione, Critica femminista, Omicidi sociali, R-esistenze.

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