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La #Turchia e la Donnificazione degli eventi

cose di donneDa Abbatto i Muri:

Mi sono sempre occupata di tante cose. Il mio punto di vista è di genere ma i miei interessi sono vari. Mi è stato fatto notare che la questione della Turchia non dovrebbe essere un mio preciso interesse a meno che non vi intraveda qualcosa di donnesco.

In realtà ogni rivolta sociale mi interessa e se anche trovo fondamentale che chi ha un punto di vista di genere arricchisca il dibattito e quella lotta con una specificità che condivido credo che le questioni sociali, le lotte territoriali, le battaglie di r-esistenza, di qualunque tipo esse siano, vadano seguite e svelate e studiate e capite e, se è il caso, anche condivise.

Nella rivolta Turca c’ho visto le donne ma non solo quelle. Invece trovo su Repubblica lo speciale capitolo sulle donne della piazza. Poi crea uno spazio pure per gli anziani e lì la specificità donnesca va a farsi friggere perché se abbiamo le dentiere, allora si, meritiamo di stare nello stesso capitolo dedicato pure agli uomini.

Poi ci sono le speciali aree di vari quotidiani, quelli dedicati alle donne, che si interessano alla questione solo per quanto riguarda le rivendicazioni femminili. Ovvero: se le donne in un preciso paese non denunciano di aver subito legislazioni pessime, violenze dedicate e discriminazioni è come se quella lotta non avesse alcun interesse, alcun valore. Ed ecco che il brand “donna” diventa fondamentale pure per sdoganare la notizia di una rivoluzione che riguarda tutti/e.

E’ chiaro che le condizioni di discriminazione delle donne siano oggettivamente un segno distintivo del livello di inciviltà di un paese. Ma lo sono le condizioni di discriminazioni delle minoranze e già parlare dei curdi sarebbe un bel problema, qualunque sesso abbiano, con buona pace del compagno Dino Frisullo di cui proviamo a immaginare le parole, anche in questa circostanza, per definire questioni di cui era testimone.

Quel che mi chiedo è se dopo tanto sforzo delle donne di essere comprese nelle battaglie d’ogni giorno, in ogni azione di resistenza, poter ampliare le competenze e gli interessi che non fossero solo taglio e cucito, mestruazioni e parto, cura e pulizie semestrali, può veramente andarci bene a prendere e separarci per santificare/beatificare i fatti del presente, anzi per donnificarli. Quasi a voler imprimere nella nostra presenza un contributo di santità quando in realtà le donne resistenti sono lì a combattere, con le pietre in mano, a fare resistenza, a prendersi legnate come tutti gli altri, proprio perché non sono sante ma ribelli. Sono in lotta e la loro lotta non è andare a ripulire le strade dopo che i maschi danno sfogo al testosterone.

Ho letto scritti circa l’apporto non-violento delle donne che ancora pongono l’accenno sui manifestanti in una sorta di victim blaming dedicato alle r-esistenze e non si parla affatto della violenza della repressione che massacra idee, dissenso, critica, contro la quale i corpi sono tutti lì schierati, di donne, uomini, gay, lesbiche, trans, precari, precarie, qualunque sia il mestiere loro e l’etnia, cultura o religione. Loro si mischiano per combattere e noi facciamo le nostre divisioni perché il nostro mondo resti fatto da buoni e cattivi con le più buone tra i buoni. Loro si mischiano e noi li separiamo perché il mondo qui si riesce a guardare solo a compartimenti stagni e per classi separati, alla faccia del gender gap e di tutti i discorsi che facciamo.

Donnificare gli eventi è una sciocchezza. Individuare la specificità di genere è giusto ma la specificità di genere non è relativa soltanto alle portatrici di utero. Appartiene a tutti/e. E se Caparezza lo concedesse farei una riedizione del “Sono fuori dal Tunnel” per rititolarla “Sono fuori dall’Utero…”.

– Donnificazione e +Kaos/Sovversione tra i generi

La rivoluzione è una azione plurale/corale!

da QUI:

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