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Femminicidio: la parola sbagliata (di vittimizzazioni e moralismi)

Da Abbatto i Muri:

Angela Azzaro, oggi, su Gli Altri, scrive un articolo che ha come titolo “Perché è sbagliata la parola “femminicidio”. (Le donne come soggetti deboli. Così la violenza maschile aumenta.)“. A parte la questione della violenza connaturata al “maschile”, cosa che non condivido perché la cultura che produce la violenza, con i ruoli di genere assegnati, è veicolata, proposta, imposta, vissuta, da chiunque, vittime incluse, oltre al fatto che immaginare di criminalizzare un intero genere e vittimizzarne/santificarne un altro cozza poi in modo evidente con alcune delle ottime considerazioni che la Azzaro fa, a parte questo, dicevo, ci sono comunque molte cose con le quali concordo. Osservo poi che il termine “femminicidio” è biologicamente riduzionista oltre a ridurre la donna in femmina (in quanto femmina, etero, madre, utero, italiana), perché non tiene conto di altre vittime della violenza di genere, le trans tra tutte. Amplierei anche la parte che riguarda la pubblicità osservando la riproduzione di stereotipi sessisti che riguardano ogni genere. Di certo l’immagine di donna che felice lava il cesso è speculare all’uomo che è felice di fare brum brum con il macchinone e che non deve chiedere mai. Leggete comunque il pezzo per intero e decidete voi qual è la vostra opinione. Io riporto qui quello che ritengo molto interessante e da tenere assolutamente in considerazione per un discorso politico sulla violenza sulle donne.

A proposito di “femminicidio”:

“Perché il problema non è solo parlarne, ma come se ne parla. E se ne parla male, virando il discorso prettamente su due versanti pericolosi, pericolosissimi: vittimismo e moralismo. E’ come se si volesse curare la violenza maschile con alcuni degli ingredienti fondamentali che la generano.

L’origine di questa tendenza è chiaramente identificabile in una società che non può più fare a meno di affrontare il fenomeno, ma lo vuole fare senza mettersi davvero in discussione. Lo fa autoassolvendosi e individuando, di volta in volta, dei capri espiatori su cui puntare l’attenzione e le colpe. In questo senso la parola “femminicidio” ha assunto un ruolo fondamentale. (…)

Ma come ogni parola (…) non ha solo questo significato. Il “femminicidio” ha molti limiti: parla di “femmine” e non di “donne”, e punta l’attenzione non su chi uccide, ma sulla parte lesa che assurge al ruolo di vittima con la V maiuscola. Forse è per questa ragione che il discorso dominante, restio a tante parole che vengono dal movimento delle donne, questa volta non ha avuto dubbi: si all’uso della parola “femminicidio”, no all’uso di altri neologismi che indicano invece forza e soggettività.

Certo, non si può dare a una parola la colpa di tutto. E’ però il sintomo di quello che sta accadendo e che svia di fatto l’attenzione dalle contraddizioni profonde. Fateci caso. (…) Le donne (…) vengono uccise all’interno delle relazioni famigliari e amorose.

(…) La famiglia, per come è, non viene mai messa in discussione e il rapporto uomo donna non viene mai sfiorato come nucleo centrale del problema. (…)

La piega è quindi quella del moralismo e del vittimismo. Il discorso fatto dalla Presidente della Camera sta sul primo solco. Laura Boldrini ha detto che il problema della violenza sulle donne nella pubblicità, riferendosi principalmente ai corpi più o meno nudi che vengono mostrati e chiedendo nuove regole. L’oggettivizzazione del corpo femminile non è una questione da poco. Ma affrontarla così sembra più che altro un processo, ancora una volta, alle donne.

Suona infatti un po’ come: è colpa sua che l’hanno stuprata perché andava in giro nuda di notte, da sola, al buio. Anche in quel caso ci sono modelli da rispettare che andrebbero messi in discussione, ma spero che a nessuno (donna e di sinistra) venga in mente di dire una fesseria del genere. Sulla pubblicità invece è la fiera delle banalità.

Se guardate per una giornata intera tutti gli spot che passano nella tv pubblica e privata, scoprirete che l’immagine prevalente non è quella della donna seducente né tanto meno “erotizzata”, ma quella costretta nel ruolo di madre, fidanzata, figlia, badante. Il problema, anche nella pubblicità, non è l’erotismo, non sono i corpi nudi, ma i corpi di donne messe al servizio di qualcun altro: il cesso da pulire, il figlio a cui dare da mangiare, i panni da stendere, il maschio da soddisfare sessualmente.

Ma sinceramente, non credo si possano avere molti dubbi su cosa sia preferibile tra una donna che corre in macchina con le gambe in bella vista e una che striglia il cesso con viva passione. Invece no. L’attacco non è rivolto alla rappresentazione complessiva delle donne, costrette sempre ad assolvere a qualche ruolo, ma a tutto ciò che attiene alla sfera della sessualità e della seduzione.

Isolando il problema, non analizzandolo nella sua complessità, si porta acqua al mulino della violenza, perché si toglie soggettività alle donne e si criminalizza chiunque usi il proprio corpo come accidenti le pare. da qui a dire come le donne debbano essere, metterle le une contro le altre, il passo è breve. Sono anni che grazie a Se Non Ora Quando va avanti questa caccia alle streghe, la divisione tra donne perbene e donne per male.

Da anni ci sono protagoniste della vita pubblica che dicono alle altre come devono vestirsi, truccarsi, parlare. E’ così che Paola Cortellesi in una specie di spot contro “il femminicidio”, mandato in onda su Servizio Pubblico, attacca la conduttrice della Domenica Sportiva Paola Ferrari come bellezza da contrastare, in contrapposizione con la borgatara uccisa. La colpa non è degli uomini ma di come sono alcune di noi.

Speculare a questa forma estrema di moralismo, è la trasformazione delle donne in vittime. Non più portatrici di diritti e soggetti a tutto tondo, ma sfigate da tutelare, proteggere, per cui richiedere – come se fossimo panda in via di estinzione – leggi speciali. Ma scusate: non è questa l’immagine più pericolosa da contrastare, quella che ci rende meno forti, più vulnerabili, minus habens anche sul piano strettamente giuridico per non parlare dell’autorevolezza sul piano sociale?

Si, è l’immagine più pericolosa che paradossalmente, grazie a una battaglia nobile, quella contro la violenza maschile, si sta invece riaffermando. E, cosa ancora più incredibile, si sta riaffermando con la complicità delle donne, più o meno in buona fede. C’è chi lo fa per convinzione, chi lo fa perché ha capito che il discorso “tira”, “vende”, fa audience, ma non ha gli strumenti per affrontarlo. Il risultato, terribile, è che invece di andare avanti, torniamo indietro. Tutte.”

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