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La censura: non in mio nome! (+ Alfabetizzazione – Controllo!)

imagesDa Abbatto i Muri:

La Presidente della Camera Boldrini ha aperto le danze. Per chi la rete la conosce e sa come ci si muove in questi casi il rumore prodotto dalla legittimazione alla censura è subito chiarissimo. Chi è abituat@ a usare la rete a colpi di “segnala” su facebook per tentare di fare chiudere una pagina facebook o rimuovere un commento offensivo invece  è come avesse ascoltato una delle rivelazioni di Nostra Signora di Fatima. Nostra signora vendicatrice del web.

A nulla varrebbe dire che l’umore che anima le persone forcaiole che esigono censura anche sui pensieri non condivisi è lo stesso di chi pratica squadrismo sessista e fascista. Lo stesso che ha messo in croce Cècile Kyenge, Ministra per l’Integrazione, quella che vuole “abbattere i muri” con il confronto, e che ieri sera da Gad Lerner ha semplicemente detto che  voleva che venisse fuori l’altra Italia, quella che non è razzista. E’ l’altra Italia è venuta, in tantissimi/e abbiamo diffuso messaggi di solidarietà e la rivolta in web è stata grande ed è questo che attiva e diffonde cultura, che fa controcultura più di quanto non avrebbe fatto la richiesta di spazzare via quelle migliaia di commenti razzisti diffusi per la rete.

Perfino tra le fila di chi combatte l’antisessismo c’è chi sistematicamente promuove gogne, istiga odio contro il soggetto demonizzato di turno e fa ronde (antisessiste) per tentare di rimuovere immagini non gradite, messaggi non graditi, sulla base di una contraria opinione, legittima, dove però neppure si configurano illegalità.

In nome delle donne io leggo centinaia di messaggi d’odio ogni qualvolta viene postato un link che parla di un crimine, e fin qui è pure comprensibile, per quanto non nascondo che mi fa davvero un certo effetto leggere “a morte”, “castriamolo” o “ti auguro che sia stuprata tua figlia o tua moglie” per sottolineare l’indignazione. Quel che lo è un po’ meno, comprensibile, quando la tentazione di censura, pur di moderare quel che viene diffuso in rete, diventa puro mobbing sociale, sono bolle papali, scomuniche che prendono alcune direzioni, dove si esigerebbe che quel tal blogger non possa scrivere mai più o quell’altro giornalista non dovrebbe mai poter accedere alla rete. E tutto ciò sempre in nome delle “donne”, of course.

Ho studiato il linguaggio e la comunicazione della rete. Ho decostruito e ribaltato, ho offerto strumenti di lettura a tante persone, ho parlato di non neutralità della rete, perché essere consapevoli di quel che esiste è importante, importante per capire come fare controcultura, come tentare di sovvertire il messaggio, ribaltarlo, scardinarlo, senza censure. Invece poi è arrivata l’orda di indignati/e che con l’hacktivismo, la scuola da cui vengo, non c’entra nulla, gente che di saperi su diritti digitali ne sa niente, che non ha vissuto sulla propria pelle i sequestri di server e la polizia in casa perché un giorno il politico tal dei tali si è sentito offeso del fatto che hai reso pubblico come al G8 di Genova le cose fossero andate diversamente rispetto a quel che sui media mainstream si diceva. Gente che non sa com’è cambiata la storia dopo l’11 settembre e non capisce che in nome della difesa contro il terrorismo siamo già tutti preventivamente monitorati e non è passato giorno, da allora, dopo che già s’erano viste cose allucinanti tipo perquisizioni a titolari di siti porno, sequestri di spazi peer-to-peer a tutela di copyright e interessi delle multinazionali di musica e cinema, tutti a demonizzare la tecnologia, inclusi i tanti che in nome della difesa contro la pedopornografia beccavano il ragazzetto quindicenne che faceva incetta di Anime (Manga) che venivano descritti come “immagini pedoporno”, non è passato giorno, dunque, che non si restringessero sempre di più gli spazi di libertà della rete. Per non parlare del fatto che fior di ignoranti hanno continuato a dire sciocchezze come “dovrebbero vietare l’anonimato in rete” o “mostra la faccia se non hai niente da nascondere”, esigendo da parte di tutti di girare con una carta di identità stampata in fronte anche se il nickname non è anonimato e corrisponde sempre ad un indirizzo digitale che si chiama ip.

C’era chi voleva che Indymedia tenesse i log di ogni commentatore anonimo e chi già ti considerava un@ criminale se usavi la comunicazione criptata. C’era chi pensava che questa cosa dell’anonimato favorisse i pedopornografi e chi poi voleva oscurare i social network. C’era chi faceva di tutto per controllare i blog e tuttora le cose stanno così. Siamo nell’epoca di facebook in cui tutto è loggato, tutto quello che fate è monitorato e se scrivete “cacca” e qualcuno si incazza lo segnala e il vostro account viene silurato.

Censura è quella cosa che diventa lo strumento in mano ai reazionari che un giorno se la presero con un videogioco e noi dicemmo che i videogiochi non si toccano, come non si tocca la comunicazione indipendente e questa cosa di violare la privacy del mondo intero per ragioni di sicurezza non fa sentire al sicuro proprio nessun@ a parte chi si trova a proprio agio a vivere da comparsa costantemente oggetto di teknocontrollo e chi metterebbe un microchip sottopelle come suggeriva credo Rutelli qualche anno fa (era il braccialetto elettronico?) per salvare le donne dagli stupratori. Tutti rumeni, of course.

La censura preventiva è lo strumento dei regimi e le ragioni per cui può essere evocata non sono mai “ti monitoro e ti faccio il culo perché tu parli male del regime”. Solitamente tutto avviene per ragioni di sicurezza. La censura serve a te, è fatta attorno a te, proteggerebbe te, e quindi tu devi fare ragionamenti timidi, considerazioni timide e tornare al ciclostile clandestino perché c’è chi sorveglia tutti (ed è questo che significa regolarizzare il flusso di comunicazione in rete, imbecilli!) preventivamente in nome della difesa contro il terrorismo, la pedopornografia e la violenza sulle donne.

Posso dire che tutto ciò mi fa sensibilmente cagare e che non in mio nome, grazie? No.

Pare che non si possa dire neppure questo perché la coscienza politica l’è morta, la capacità di discernere pure e il fatto che una Presidente della Camera assegni alla discussione pubblica la sua fragile esposizione ai moti forcaioli, identici a quelli di chi poi vuole salvarla, il fatto che lanci un allarme e richiami il plauso di quelli che non vedevano l’ora di mettere le mani sulla Rete e di quelle che non vedevano l’ora di liberarsi di chi le disturba in termini di opinioni, giuste o sbagliate che siano, se non diffamano, calunniano, sempre opinioni restano, dovrebbe essere accolto senza alcun timore.

E figuriamoci. Tanto siamo soltanto in Italia. Dove ogni starnuto che riguardi la rete si tramuta in un Grande Fratello che tra l’altro neppure serve più. Basta Facebook. Vi logga, vi profila, vi/ci usa, ci disprezza e ci sfotte perfino.

Cosa poi c’entri con il femminicidio il fatto di prendersela coi politici, con le figure di spicco, non si capisce. Avrei voluto che la Boldrini ci fosse quando tentavamo di fermare l’orda di misogini e misogine che davano delle zoccole alle escort o a qualunque donna che gravitasse attorno a Berlusconi. Ma lì nessun@ disse che c’era un problema di sessismo in rete contro le donne. Si disse che era la giusta risposta di un popolo che portò quegli umori nelle piazze antiberlusconiane, incluse quelle del 13 febbraio di Snoq, che sui cartelli scrivevano “fuori le zoccole dal governo”.

Se la Carfagna avesse messo a parte il mondo di quante feroci ingiurie e calunniose illazioni fatte sul suo conto. Ma lì era normale perché lei non è vista come una martire in difesa delle vittime di violenza. Viene semmai identificata come complice di un patriarca per quanto io la reputi, come tante altre, assolutamente autonoma e sebbene non condivida nulla di quello che dice e propone penso meriti altrettanto rispetto.

Regolare l’odio che si ripercuote sulla rete, non si può. E’ una cosa che va compresa e va disinnescata culturalmente senza autoritarismi e leggi speciali. Perché che io riesca a spegnere la voce di uno stronzo che scrive in bacheca “sei una brutta troia” e poi mi ritrovo una sottosegretaria alle pari opportunità che dice cose offensive su gay e trans non è un gran risultato.

Proprio perché la rete è mondo reale bisogna trattarla come tale e considerare che non esiste un mostro che esce fuori dal desktop e ti fa del male. Sono persone e con le persone puoi parlare e se ti procurano un danno ti servi delle leggi che ci sono già e che mi pare la Boldrini abbia già usato al punto che in sua difesa la postale ha spento tutto quel che si poteva spegnere per via di un fake nudo in rete.

E no, mi spiace, la libertà di tutti/e, in questo momento, è perfino più importante della mia libertà di dirmi infuriata per il sessismo, gli insulti, le minacce, la misoginia che mi è piovuta in testa sul web da tanti anni. Sono io che ho detto che non bisogna tacere, che bisogna agire la cultura e ribaltarla. Agire, produrre autodifesa, non rivolgersi ai tutori nascosti dietro il tasto “segnala” o a quelli di cui ti lamenti perché il bruto ha detto “troia” e fanno una legge speciale per spegnere anche chi dice “chiamami troia” perché magari si eccita così.

Censura dopo censura per moralizzare l’immaginario. E’ legge speciale sui comportamenti umani. E tutto ciò nella totale incompetenza su quel che internet rappresenta.

“Minacce, diffamazione, ricatti e ingiurie sono reati” – dice Severgnini sul Corriere, e farlo in rete sarebbe un’aggravante. E dire tutto quello che io ho detto tra un po’ (nella mente dei censori lo è già) sarà “collusione” e “apologia di reato”. Il reato di ritenere che non voglio essere un pretesto, un alibi, perché domani si possa più facilmente piombare in casa a perquisire la vita di un attivista NoTav, un compagno antifascista, un militante che lotta già ogni giorno contro la repressione.

Tanta solidarietà ma non in mio nome, Boldrini. Non in mio nome a chiunque altr@. Perché non sono così vulnerabile. Non sono una bambina. Non ho bisogno di tutori che governino la mia capacità di bannare il cretino che mi insulta. Perché mi so difendere. Perché piuttosto seguo un corso accelerato di alfabetizzazione informatica, che è quel che manca a troppe persone, per avere la capacità di agire il mio problema in altro modo.

Così come non voglio leggi speciali e securitarismi per difendermi dalle violenze per strada, ragion per cui in piazza nel 2007 eravamo 150.000 a urlare che la violenza sulle donne è roba nostra e non di chi fa pacchetti punitivi contro gli immigrati in nostro nome, allo stesso modo non le voglio per difendermi dalle violenze sul web. Se vi serve le leggi ci sono già e se quelle leggi non vi bastano a silurare le persone delle quali disprezzate le opinioni allora convincetevi del fatto che per quanto le disprezziate sono solo opinioni. Esigete piuttosto regole che consentano una più diffusa libertà di stampa, tenete a posto il cappio virtuale e trovatevi un altro divertimento. Perché tra bruciare streghe e bruciare pezzi di merda che si divertono a farti sentire vulnerabile, per quanto io sia solidale, capisca e sono sempre lì a capire come fare a disinnescare e risolvere diversamente, comunque non vedo proprio nessuna differenza.

Come ho già detto: se uno stronzo ti insulta o minaccia per strada non spegni la strada né ti metti a controllare tutti quelli che la transitano. Io non mi sento più al sicuro in una strada con la ronda. Né nel mondo reale né in quello virtuale.

Una soluzione sulla quale investire? Alfabetizzazione digitale. Quella che io e tante persone abbiamo tentato di fare in tanti anni, gratis, per raccontare il web invitando a non averne paura. Perché è l’ignoranza che produce mostri. Ed è sempre l’ignoranza a proposito degli strumenti che stai usando che porta alle fobie e le fobie alle cacce alle streghe e ai roghi. Contro i mostri, dunque, più alfabetizzazione e meno controllo e censura. Più uso consapevole della rete. Grazie!

Ps: quel che è censura è censura. L’Inversione semantica di chi te la vuole fare piacere perché non ha nulla di libertari@, perché vuole togliersi di torno, dalla rete, chi le o gli sta sulle scatole, perché non riesce a coesistere con chi non la pensa come lei/lui, altro non è che, appunto, fuffa revisionista per legittimare fascismi.

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