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F.A. Femministe Anonime (ode al pensiero autodeterminato)

Da Abbatto i Muri:

Qualunque esso sia.

Io non so come la vedete voi, ma credo che il femminismo per alcune sia anche un po’ come una stazione di rifornimento, un luogo in cui riposare, anche mentalmente, a partire dal quale poter agire il conflitto con la serenità che è data dal fatto che hai il tuo bel paracadute sociale, dove l’opinione altrui è importante e dove le ragioni per cui altrove ti chiamano puttana o assassina sono le stesse per cui ti giudicano umana/persona.

Il femminismo può essere linfa, ma è anche dimensione in cui non dovrebbe esistere il pensiero unico, in cui le spinte conservatrici dovrebbero essere rese vane, in cui guardi in faccia altre e altri e discuti, senza aver paura del conflitto e della differenza di opinioni, gestendo tutto in modo da andare avanti, crescere, imparare, conoscere, evolverti, un po’ di più, sempre di più.

Un punto di vista e non una barricata. Perché se te la vivi come fosse una barricata significa che, certo, hai bisogno di trarne forza per poi andare in giro per il mondo per continuare a esistere e lottare, ma significa anche che finisci nel bel mezzo di una chiesa conservatrice in cui si celebrano sante ed eroine. Così puoi dimenticare che santi/eroi sono censori autoritari normativi delle vite altrui e se lo dimentichi quel luogo che per te è spazio di libertà finisce per essere una fortezza militare a partire dalla quale ti metti a bombardare contro il nemico, senza mischiarti al mondo, tutto, se non per branchi, con il terrore di ragionare di diversità per poi sorprenderci se fuori da noi il mondo è assai diverso.

Cosa contamini del mondo se non ti lasci contaminare? Come ci si può sorprendere se le idee espresse in giro siano tanto diverse da noi se ci rifiutiamo di parlare con chi è divers@ da noi? E come si fa a parlare con chiunque, ma parlare per davvero, se si parte dall’idea che tu sol@ hai ragione e che il tuo pensiero rappresenti il tutto?

Se si perde di vista il fatto che sei parzialità tra mille parzialità, se affinché il tuo pensiero sia compreso sei diventata guardiana di una specie di tempio in cui a parte celebrare martiri, eroine e sante, non ti esponi a ragionare d’altro, se appena qualcun@ discute con il mondo, perché il mondo ce l’abbiamo attorno e bisogna e personalmente voglio discuterci, ci sono preti e sacerdotesse che prima provano a esorcizzarti per farti tornare in “te”, poi polemizzano per stabilire che la verità è solo una e imprescindibile e infine ti scomunicano, ti infamano e diffamano in pubblico e in privato additandoti come traditrice, se non si riesce a comprendere il fatto che il femminismo è tutt’altro che un luogo comodo, un alibi sociale, uno spazio in cui tu dici le cose e io me le bevo tutte solo perché sei una donna, allora avete scambiato il femminismo per una clinica, un luogo terapeutico.

E non c’è nulla di male anche a voler pensare che per alcune sia così, d’altronde le riunioni di autocoscienza e la modalità in flusso continuo dei tanti “partire da se'”, fanno sembrare questo movimento d’opinione come un luogo caldo in cui sbracarti dopo che per anni hai combattuto, perso o vinto, per esistere e resistere.

Ma giuro che c’è tanta ma proprio tanta differenza tra una modalità di riunione di autocoscienza e Le Femministe Anonime che percorrono i 12 punti per disintossicarsi da qualcosa (Ciao, sono Chiara e sono una femminista!).

Il Femminismo è transito, è opportunità per cambiare posizionamento, ma non è una chiesa per cui tu ti confessi e sei assolta. Non è un luogo in cui lavi i peccati e di colpo ti vengono abbonate tutte le tue responsabilità sociali, umane, politiche. Non è un tribunale al quale sottoporre colpe umane per fare una divisione tra buone e cattivi. Non è una stazione di polizia che cumula prove di colpevolezza contro un genere, o le nostre simili “deviate”, per poi esigere condanne, punizioni, espiazioni, redenzioni. Non è un Convento in cui tu sposi qualcosa e resti permanentemente. E’ un luogo in cui esprimere autonomia e se quel luogo autonomo diventa oppressivo e opprimente a partire da chi preserva la propria posizione, il proprio micropotere, il proprio lettino d’ospedale in cui si sta curando le ferite, il proprio palcoscenico a partire dal quale trarre legittimazione/assoluzione, il proprio scranno e partire dal quale indirizzare le crociate, il luogo in cui si ritiene sia possibile, in quanto donne, condividere patologie oppressive, narcisiste, nei confronti dell’umanità tutta, se quel luogo diventa invivibile le femministe finiranno per pensare che bisogna chiamarsi in altro modo per poter essere libere.

Chissà a chi è venuta la malsana idea che il femminismo fosse il luogo in cui esperire “unità” donnesche e mai conflittuali, in cui far soccombere differenze, come se fossimo ragazzette nei cessi di una discoteca l’un l’altra a scambiarsi tampax perchè le mestruazioni ci accomunano. Se noi per prime non riusciamo a dire forte che non siamo ciò che ci impone di essere la biologia e che viviamo di pensieri, culture e azioni tutte diverse che prescindono dal nostro genere di appartenenza, come si fa a orientarsi nel mondo femminista?

L’idea può essere quella di preservare un luogo che culturalmente è caro e scoprire se ci sono delle infiltrate che come in ogni spazio tentano di orientare le lotte in direzioni diverse da quelle originarie, ma poi dico a me stessa che quelle che vedo più che infiltrate sono semplicemente ormai di casa e sono inclini a praticar martirio. Oppure sono gestore di lavatoi che permettono ad una reazionaria un po’ fascista di venire a darsi una sciacquata ché in quanto donna sarebbe “come noi” senza mettere mai in discussione nulla del modello di vita che lei propone.

Voglio dire: hai deciso di parlare con una che pensa che gli unici modelli femminili utili e splendenti e per bene siano quelli di madre, moglie, badante? Ma se non poni mai come precondizione il fatto che ogni scelta debba essere libera, ché l’autodeterminazione è fondamentale e che non può esistere alcuna soluzione che limiti, censuri, diventi normativa delle vite altrui, non si tratta più di comunicazione tra differenze. Si tratta di colonialismo. Si tratta di normalizzazione di contenuti. Si tratta di scippo di un punto di riferimento culturale che viene traghettato altrove, nella zona d’ombra inoffensiva e integralista in cui il Femminismo diventa solo un ricovero pieno di figure stereotipate e stereotipanti disadattate, depresse e anche un po’ paranoiche.

Diventa un luogo assistenzialista dove si presuppone io debba accogliere le tue confessioni, manco fossi un prete, o ogni tua stronzata, perché sei donna. Diventa un luogo in cui tu continui solo a riprodurre modalità patologiche, per relazioni patologiche, per branchi patologici in cui il pensiero laico ha lasciato spazio a morbose attitudini fanatiche e integraliste.

Magari dirla, questa cosa. Il femminismo non è una clinica, un santuario, un rifugio. Semmai è un luogo a partire dal quale organizzi e pensi ed elabori – lottando – il modo in cui TU vuoi stare al mondo. E questa tua ricerca ti deve essere consentito farla in assoluta autonomia, senza pressioni ortodosse, senza che ci sia qualcun@ che consideri deviato e deviante il tuo pensiero e la tua scelta perché il femminismo nasce apposta perché tu abbia diritto ad un TUO pensiero e ad una TUA scelta, qualunque essa sia.

Dopodiché se quel che è adesso a volte appare pericolosamente normativo, per certi versi autoritario, se quel che vedo a volte è una chiesa, mi chiedo cosa l’ho fatta a fare la mia battaglia contro mille altre chiese, per essere libera di decidere cosa o chi voglio essere, se poi, per esistere e resistere, resto lì a normare e farmi normare in uno spazio che a volte è tutto fuorché essere fluido, liberante, libertario e liberato?

La cosa grave è che l’attitudine primaria di tanti soggetti è proprio l’aspirazione ad entrare a far parte di una chiesa, per cui se tu inventi una tua voce autonoma e autodeterminata, ti ritrovi tante persone che ti si affidano e che pretendono, a volte, che tu resti lì, fissa, in una dimensione statica, a fare il faro che illumina il loro cammino. Non basta la fatica a condividere strumenti, idee, saperi, affinché tutti e tutte possano trovare fiammiferi per illuminare i propri percorsi, ciascuno indipendente dagli altri. Non basta dire che non vuoi essere guida di nessuno a parte che di te stessa. Non basta dare spazio a chi vuole esprimere la propria opinione spiegando che se non si scostano dalla contrapposizione non crescono, non acquisiscono serenità di giudizio. Se scelgono te per farti stare a capo di una chiesa tu devi farlo e basta e non puoi che recitare il verbo…

Vabbè, sono pensieri liberi, però adesso mi viene in mente che effettivamente sono solidale con il Papa dimissionario. 🙂

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