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L’otto marzo è di tutt@?

ottomDalla nostra mailing list arriva qualche riflessione sull’otto marzo.

Le vogliamo condividere con tutt@, sperando di aprire a nuove riflessioni.

Questo è il contributo di Gegen.

L’otto marzo è festa della Donna e, per esteso, del movimento femminista. Ma di quale? A festeggiare sarà solo quel femminismo espressione di donne (e uomini) bianche, eterosessuali e di classe elevata. Quello che ha dato vita ad organizzazioni del calibro di Se Non Ora Quando, che ha basato la propria campagna elettorale sullo slogan “Vota donna!”, come se avere un utero rendesse le persone automaticamente migliori, perché si è più propense all’empatia e alla solidarietà, si porta un tocco femminile nelle stanze del potere… Sostenere la fantomatica “unità di genere”, la comunanza basata sulle caratteristiche anatomiche è un concetto pericoloso perché apre la porta alle razziste, alle fasciste e alle sessiste. Infatti nel flash mob “One Billion Rising” che si è tenuto in varie città del mondo il 14 febbraio, almeno per come è stato recepito qui in Italia, si è parlato solo di violenza maschile sulle donne. Ma gli uomini non sono gli unici e soli autori di violenza sulle donne: quando, per esempio, si prega “per le vittime dell’aborto”(sic!) partecipano persone di entrambi i sessi. Non perderemo tempo a confutare queste generalizzazioni sessiste perché già la realtà le ha sbugiardate. Basti pensare a come e quanto è stato empatico e solidale l’operato della Ministra del Lavoro del governo tecnico uscente.

Così come certamente non festeggeranno le immigrate uccise dalle condizioni del mare o dagli scafisti mentre cercano un futuro migliore dall’altra parte del Mediterraneo tra le maglie della Fortezza Europa; e qui spesso destinate ai C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione) all’interno dei quali la polizia stupra impunemente le detenute (come dimostrato dal caso di Joy, che ha visto assolvere l’ufficiale di polizia che l’ha violentata nel C.I.E. di via Corelli a Milano), o alla prostituzione, che oggi viene trattata, nonostante la legge Merlin, come un problema di ordine pubblico. Anziché aiutare chi tra i/le sex-workers volesse denunciare le varie mafie e lavorare in comune con l’assistenza sanitaria garantita e in sicurezza, sono criminalizzate/i e scacciate/i ai margini delle città, con la scusa del “decoro pubblico”, mettendole/i ancora più nelle mani di sfruttatori senza scrupoli e clienti che possono anche ucciderle/i.

Non è una festa per transessuali o transgender, ancora iscritte/i nel Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie Mentali come Disturbo dell’Identità di Genere e colpiti da uno stigma sociale forte (molti transessuali esercitano la prostituzione perché non vengono assunti da nessun’altra parte); al dramma di sentirsi intrappolate/i in un corpo che non è il loro si aggiungono gli ostacoli che pone la legge: per effettuare la chirurgia di rassegnazione del sesso bisogna accertare che non ci siano spermatozoi od ovuli congelati, che saranno in questo caso distrutti, e andranno rimossi del tutto testicoli o utero ed ovaie, anche se ciò non è realmente necessario ai fini della plastica dei genitali esterni.

Nemmeno le lesbiche hanno niente da festeggiare: sentiamo sempre più spesso di aggressioni di stampo squadrista ai loro danni e i loro diritti sono quotidianamente calpestati dalle dichiarazioni omofobe di qualche politico o prete. L’attivismo omosessuale spera ancora di riuscire a mendicare una legge sulle unioni omosessuali a qualche governo “amico”.
Sta a noi anarchic* ricordare che qualunque affermazione, individuale o collettiva, è possibile solo fuori e contro di esso.
Il Potere sa solo reprimere e avvelenare le nostre vite. Gli unici diritti che ci concederà saranno quelli che riusciremo a strappargli. L’unico modo di liberarsi dalle catene del dominio è spezzarle.

Posted in Critica femminista, Memorie collettive.

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