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Le candidate alle elezioni che speculano sulla violenza sulle donne

antiviolenzaDa Abbatto i Muri:

Di tutti i balletti e i discorsi fatti in questi giorni quello che mi fa più senso e mi procura un grandissimo fastidio è fatto di proclami in difesa delle “donne”. Tutte indifese, dalla dignità ferita, violate e con un nemico unico contro cui lottare. Può essere un ex presidente del consiglio o l’ortolano all’angolo della piazza in cui vivi la storia è sempre la stessa.

Bisogna stare tutte unite a difendere la sacralità della donna, meglio se madre, utero, angelicata, asessuata. Donne e uomini, politicanti in cerca di voti, sono in ronda alla ricerca dell’elemento indignante per guadagnare consenso. La proposta politica è “lui è cattivo, un mostro, io vi difendo, oh mie pulzelle” e tra un vecchio sessista e un paternalista tutore non si capisce davvero da chi dovremmo sentirci offese di più.

Siamo tutte bambine e quindi è facile turlupinarci con quattro cifre e frasi ad effetto dette da fanatiche/ci dell’antiviolenza su squartamenti di donne ad ogni angolo e attenta a te che se esci trovi il lupo cattivo che t’acchiappa e invece, dai, vota noi che delle donne abbiamo così tanto rispetto. Al punto da cacciarle dal lavoro con una riforma un po’ di merda, farle penare per una pillola del giorno dopo perché uteri sono e devono uterare, moralizzare la loro sessualità ché ogni penetrazione è stupro, farle sentire nullità durante sfratti e licenziamenti ma tanto donne indifese, ché essere vittima è diventato “status” più che essere ingegnere, se qualcuno poi dice che hanno un gran bel culo.

Perché vedete, se nelle mie rincorse per la sopravvivenza, tra mille lavori e figli@ da crescere, ad ogni frase ammiccante udita per strada, a Palermo, fosse intervenuta la ronda a dire a lui che no, così non si fa, e subito dopo a lasciarmi un fac/simile di indicazione al voto di cui tenere conto alle elezioni, direi che la ronda è diventata un mezzo disonesto di procacciamento voti a discapito della altrui autodeterminazione.

Direi che ti fa comodo sapermi e definirmi vittima perché sulla mia pelle tu costruisci una carriera, guadagni soldi che io non avrò mai, compri case che io neanche me le sogno, e hai la colf, la baby sitter, tutti i confort nei tuoi spostamenti, puoi viaggiare, leggere, vivere senza problemi mentre io ho problemi a comprare la medicina X perché con i due soldi di stipendio che mi danno pare che non meriti neppure l’esenzione ticket.

Direi che tu, tutore o tutrice dei miei stivali, stai ridefinendo le motivazioni per cui io dovrei sentirmi vittima, incazzata, indignata, giusto per usare un termine che vi piace tanto, e stai rinominando miei bisogni, sovradeterminandomi e facendomi sentire la necessità di protezione e tutela quando quel che ho imparato è autodifesa e giusto dosaggio d’uso di buon senso e strumenti, quando essi sono disponibili.

Direi che tu agisci esattamente come fa la mafia, terrorista, contro la cui mentalità ho lottato da sempre, che arriva da te dicendo che sei in pericolo per poi obbligarti ad accettare “protezione” e il trucco sta proprio nel non farti sentire sicura, nel dirti che se non ci fossero loro tu potresti morire da un momento all’altro, sicché tu paghi, il pizzo, e poi, tranquilla, dovresti ritenerti al sicuro.

Direi che adoro tutte le donne che hanno subito violenza e che vogliono manifestare, ballare, scegliere, ma che tu in quanto politico/a non c’entri un cazzo e a me che conosco la differenza tra una carezza e un pugno, ché li ho stampati sulla carne tutt’e due, mi fa parecchio schifo che sulla mia pelle tu realizzi la tua fortuna. Mi fa schifo che mentre io realizzo autonomie e cresco tu mi imponi la vittimizzazione e detti un alfabeto fatto di disprezzo e superficialità e approssimazione nei confronti di ogni altro genere di sofferenza.

Direi che ti fa comodo impormi l’esistenza di un nemico esterno per lasciarci lì a dibatterci tra dicotomie stronze e binarismi autoritari. Direi che racconti balle e io lo so, perché questo contesto lo attraverso da decenni e perché so perfettamente che di me non te ne frega niente, ma proprio niente, ché quel che ti interessa è ricavarci qualcosa… sulla mia pelle. La mia pelle.

L’hai sentito tu lo strappo d’epidermide mentre qualcun@ ti picchiava? L’hai sentito tu il dolore e tu la sofferenza? Le hai trovate tu per me le soluzioni per vivere e resistere? Eri tu accanto a me quando avevo bisogno di aiuto, respiro, soldi, lavoro, autonomia? Eri tu a inventare modi per vivere le relazioni senza astio né rancore, a maturare senza odiare, a coesistere col mondo intero senza sputare disprezzo contro il mondo?

No. Tu non c’eri. Quando io mi sono risollevata e ho curato le mie ferite tu non c’eri. Quando ho inventato mille modi per lavorare e campare tu non c’eri. Quando ho cresciuto mi@ figli@ tu non c’eri. Non c’eri quando ho rischiato lo sfratto, quando ho pagato le bollette, quando ho garantito una istruzione a mi@ figli@, quando sono stata in grado di comprare medicine e di accedere a diritti sfondando porte a calci ove necessario perché quelle porte, per quelle come me, sono sempre state chiuse. Non c’eri quando me ne fottevo dei lividi e guardavo anche i lividi altrui, quando il mio dolore mi rendeva sensibile a molto altro dolore, quando la risata diventava terapia e quando l’umanità che mi fa persona mi permetteva di comprendere e andare avanti. Avanti, maledizione, grazie a me, all’aiuto di donne e uomini che con te non c’entrano un cazzo.

Perché tu, si, tu, giornalista d’assalto o politicante da strapazzo che se c’è da pontificare sulla dignità delle donne ti rifai il trucco per essere più figa in televisione e se una donna che ha necessità ti dice che non ha soldi per pagare l’affitto non le rispondi nemmeno, guadagni di più se io, noi, le donne che hanno subito violenza, non siamo in grado di riorganizzarci e inventarci nuovi linguaggi e codici di comunicazione e vite ed esperienze e formule di sopravvivenza che non passano attraverso i tuoi schemi autoritari e repressivi o attraverso la legittimazioni di apparati istituzionali che ti colonizzano anche il culo pur di piantare bandierine e dire che ti hanno “liberata” secondo lo schema della donne etero filo/occidentali.

Tu stai proprio meglio se noi siamo schiave, delle tue trenta righe pagate, tra l’altro male, nel quotidiano tal dei tali, sull’ultimo cadavere di donna con la testa fracassata da un uomo che non s’è rassegnato all’abbandono, dei tuoi finti interventi in parlamento, dei tuoi proclami in difesa della dignità delle donne, ché poi qualcun@ me la deve spiegare ‘sta cosa della dignità. Ché essere vittime di violenza non significa essere idiote ed essere disposte a farsi strumentalizzare. Perciò, sorry, ma ‘sta cosa della “dignità” non in mio nome, grazie.

Perché quello che fai è soltanto spostare una schiavitù altrove, farci passare da una dipendenza ad un’altra e questa sarebbe la salvezza. Salvezza un cazzo. Vedere te che sgambetti per il balletto antiviolenza, immaginando già le foto che guadagnerai con didascalie impresse, anche la tal donna balla, ed è ridicolo, brutta stronza, perché tu puoi pagare la casa, guadagni anche sulla mia pelle, e invece che ballare dovresti staccare assegni.

La violenza più grande per una donna è l’assenza di reddito e lavoro. Andate a ballare assieme alla ministra responsabile di tagli allo stato sociale e ai nostri diritti per dire che se non cambiano il welfare, carta da cesso, carta straccia, le donne balleranno sulla testa dei datori e delle datrici di lavoro per rivendicare diritti. E sulla sua, si, anche sulla sua, ché essere donna non le garantisce di non vedere passare su di lei o su tutte quelle come lei un esercito di donne, uomini, persone incazzati/e perché non possono arrivare a fine mese.

Questo sentivo di dirvi, oggi, e scusate lo sfogo.

Posted in Critica femminista, R-esistenze.

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