Dal mio nuovo blog [Abbatto i Muri] dove troverete le mie storie e i miei pensieri liberi. Per commentare, se volete, venite di là. Buona lettura.
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“Le italiane riscoprono i lavori di casa” segnala Repubblica in un lungo articolo che sembra quasi una presa per il culo. Lo scoop da segnalare alla testata: le donne non hanno proprio mai smesso di fare quei lavori. Ma a parte questo se si analizza il pezzo di costume ne viene fuori quasi un quadro di eroismi all’incontrario, per cui santificare femmine che ripiegano su lavori di sguatteraggio e cura sarebbe da valorizzare. Un po’ di pacche sulle spalle a quelle che perdono il lavoro o che sono costrette a farne il triplo perché sono separate e con figli a carico o con i mariti e i compagni in stato di disoccupazione.
E non capisco proprio dove stia il vanto in tutto ciò. Che c’è da dire? Se non hai lavoro ripieghi sempre in camerierati, colfaggi e babysitteraggi e affini. Non è che hai molta scelta dopotutto. E se all’improvviso si scopre che il lavoro di cura sia una risorsa, la stessa per la quale attraverso le leggi sull’immigrazione si sono stabiliti i flussi dello schiavismo, la tratta organizzata e legalizzata delle straniere che dovevano sostituite noi italiche che quei lavori, a parole, pare non li facevamo più, non è che c’è tanto da incensare.
Per me concetti come “mary poppins all’italiana” o “la recessione si sta tingendo di rosa” sono frasi offensive e anche parecchio. Volendo fingere di essere per un attimo Nanni Moretti vorrei chiedere all’autrice del pezzo come le viene in mente di scrivere queste cose. Con queste parole.
Se hai da interpretare un fenomeno almeno fallo bene. Non è la recessione, la crisi o chissacché ma è la precarietà che ammazza almeno tre generazioni di persone, non solo certamente donne, che si arrangiano tra lavori precari e continuano nonostante tutto a tentare di costruire vite: mettono su famiglia, fanno figli, poi, guarda un po’, vedono frantumarsi speranze e progetti di futuro, perché quell’occasione di stabilizzazione sfuma, perché l’ennesimo rinnovo del contratto a tempo non c’è più e perché ci si ritrova in mezzo ad una strada dopo aver messo in piedi case su terreni di argilla, franosi e instabili e mille volte più precari di quelli che ti interessavano 30 o 40 anni fa.
E la faccenda riguarda entrambi i sessi, non solo le donne, perché io vedo donne che si rimboccano le maniche e uomini con due lauree che vanno a fare i manovali nei cantieri. E si incazzano e qualche volta muoiono per mancata sicurezza nel lavoro. Ma a parte questo quando si ragiona di “recessione” senza considerare quello che fa il governo, le riforme, le pensioni che non ci sono più, flessibilità e potere di delocalizzazione delle imprese che licenziano e l’art. 18 che a momenti non c’è più e tutti quei bei discorsi sulle liberalizzazioni e il Monti Bis e la Fornero, cioè, vogliamo pensarci un attimo? La Fornero, e basta questo a dire di che morte stiamo morendo, con le piazze piene di gente massacrata dalle forze dell’ordine e i politici che se ne fregano e giocano a fare le primarie americane alla tivù… Davvero, su, di che parliamo?
Ci dice il pezzo che è necessario ripiegare sui bisogni che noi da sempre conosciamo. Servizi e cura e dunque ti dicono che devi ancora sostituirti ad uno Stato con un welfare che non c’è, che t’ha spinto proprio a questo mentre ora ti dicono che ops, toh guarda che disastro e che brava che sei tu mentre lavi il culo ai vecchi e non ti arrendi per non morire di miseria. E un articolo del genere mi sembra esattamente come certi del ventennio fascista in cui la santa madre e donna di casa veniva premiata per il sostegno alla Patria o come quelli che ricalcano quella retorica americaneggiante dove per rendere solido il liberismo e la spregiudicatezza dei ladri della finanza ti vanno a cercare le singole storie di grandi eroismi e poi piazzano medaglie al petto per gratificarti di essere uno o una che invece che andare a montare un casino sotto la sede del governo ha montato banchino in quella via e fa il lustra scarpe ai ministri. E i ministri, of course, gli lasciano la mancia e poi invitano la troupe giornalistica per segnalare al mondo quella singola storia di resistenza quotidiana.
C’è pure l’opinione di un cattolico che afferma che “C’è un bisogno insopprimibile e sempre crescente di persone che si occupino della cura dei piccoli o degli anziani: le italiane sanno cosa fare, se la cavano benone“. Maddai? E poi anche il regalino sottobanco, la strizzatina d’occhio al genere, per far sentire un po’ coglioni gli uomini e per dire che noi donne, si, giusto noi, siamo migliori, siamo forti, grandi, come facciamo bene le schiave noi proprio nessuno. Come ripieghiamo dalle piazze e investiamo energie nella sopravvivenza noi nessuno. Perché il modo giusto per dirci che dobbiamo essere orgogliose di quello che siamo è anche quello di attivare odio di genere e di toccare il nostro ego insultando un po’ di uomini che passano mille guai tra precarietà, dipendenze economiche e disoccupazione.
E non capisco poi la frase “Non c’è dubbio: la donna che, volente o nolente si rimette in pista, anche solo per fare la domestica, rappresenta “una piccola rivoluzione nella struttura delle famiglie”. Al dunque, “destabilizza gli assetti tradizionali”.” E me lo vuole dire dove sarebbe la rivoluzione e la novità? Come si destabilizzerebbero gli assetti tradizionali riportando come sempre le donne ai ruoli di cura? Sono solo io che mi sento presa per il culo o c’è davvero qualcosa che non va in questa tenera interpretazione?
Va bene farci iniezioni di sicurezza ma qui mi pare che siamo passati proprio alla droga pesante. Non serve, grazie, ma proprio no, che ci fate apparire nuovo, bello, meraviglioso, eroico quello che faceva mia nonna e prima di lei la mia bisnonna e mia madre e che ho fatto anch’io per tanto tempo. Come pensate che li abbiamo cresciuti i figli? E i nostri vecchi? Chi pensate abbia badato o badi a loro?
Noi siamo sempre state le colf, le babysitter e le badanti di casa nostra prima che delle case altrui e se c’è una società in cui le donne di potere e quelle ricche si servono di altre donne per poi dire che l’emancipazione esiste (come no!) e che stiamo tutte bene non è mica colpa nostra. Cosa pensate che abbiamo fatto in tutti questi anni? Siamo state a girarci i pollici?
Non sono cose che si possono leggere parole come “questa declinazione al femminile di tenacia e intraprendenza” e “Le donne si confermano un pilastro” o “Così, mamme e mogli “si arrabattano”, e senza fiatare accettano di diventare “doppiolavoriste”“.
Senza fiatare? Tenacia e intraprendenza? Pilastro? Le donne scese in piazza o che si rivolgono alla Fornero mentre lei le ignora chi sarebbero? Madamine non fiatanti? Ma di che parlano? Di quale modello di donna e di rivolta sociale? Verso cosa tentano di addomesticarci? Io non voglio essere pilastro di un bel niente.
E infine la perla finale: “In Italia, alla fin fine, la risposta femminile alla recessione sta prendendo una piega diciamo così, domestica. Ma altrove si sentono storie ben più tristi. Per esempio che viene dalla Grecia piegata dall’austerity la nuova ondata di prostituzione che spopola sulle strade nazionali.” che poi significa che noi italiane siamo perbene dopotutto perché vedi là, quelle gran zoccole, cosa sono costrette a fare. Che non sia mai che in Italia anche quando si parla di “recessione” e di precarietà economica si restituisca dignità a quelle che scoprono corpi e che li vendono per scelta perché qui deve essere sempre ben presente che la nostra “dignità” ce la raccontano altri e altre, come se prostituire braccia e cervello per compiere lavori di cura non sia altrettanto usurante e non rappresenti una svendita di mansioni di genere.
Ma in generale, dopo questa riflessione a caldo, mi viene solo una domanda finale: perché mai io dovrei sentirmi migliore di un mio eventuale partner disoccupato? E perché mai non c’è un articolo che racconti come gli uomini tirano la cinghia e danno una mano in casa o si improvvisano qualunque cosa per campare? Perché mai ci consegnate la altrui fragilità in blocco, descrivendoci come esseri superiori, regalandoci supponenza anche nelle case e nel privato, come non ci fosse già abbastanza disagio e le persone non fossero umiliate a sufficienza?
Cioè, se io, facciamo finta, ho un uomo in casa ed è disoccupato e gli faccio leggere questo articolo dite che dopo averlo letto mi amerà di più e mi guarderà come una santa di ‘sto cazzo, quella che io non voglio essere e che non vorrò essere mai, o riterrà di non essere utile a nessuno e penserà seriamente di spararsi un colpo in testa?
Se si riflette sulla divisione di ruoli di genere e si ritiene, come può essere vero, che gli uomini sentono culturalmente su di se’ il peso della perdita del lavoro perché la società assegna loro la responsabilità di mantenimento, se sono loro la parte “fragile” della questione, così come parrebbe emergere da articoli come questo, non bisognerebbe piuttosto investire in una cultura che gratifichi e incoraggi alle rivalutazioni e alle sovversioni di ruolo sociale affinché non si sentano più falliti di come già non pensano di se’?
Che mondo è quello che si immagina da descrizioni come queste? Il mondo di mia nonna? Di mia madre? Dove la donna che ritorna ai ruoli classici recupera stima di se’ nell’accentramento illusorio e nel controllo delle fragilità di tutti, incluso l’uomo che vive con lei? Dove l’uomo si lascia gestire ed umiliare e non sa ritrovare spazio in nulla perché si impone uno schema di attribuzione di valore al genere sulla base dei ruoli che il mercato ti assegna?
Io non la voglio questa targa d’onore della femmina che fa tutto a casa e fuori casa perché sono pigra, voglio spazio e tempo, perché non voglio essere mia nonna e neppure mia madre che pure adoro e perché il mio compagno sa sbracciarsi e ricostruire il mondo con un dito se lo vuole e sa farlo anche per me. E quando anche gli uomini potranno accedere ai ruoli di cura senza essere guardati con sospetto sarà sempre tardi.