Riceviamo e volentieri condividiamo dal Collettivo Anarcofrocio Contronatura il Manifesto per l’insurrezione anarcofrocia:
Siamo una manica di drag queen urlanti? Sì. Siamo un’armata di lelle combattenti? Sicuro. Siamo froci e froce, uomini e donne trans*, succhiacazzi e leccafregne, scherzi della natura e meravigliose favolosità.
La morale vorrebbe la nostra totale docilità: puoi essere quello che vuoi, a patto di inseguire il più possibile un modello di esistenza eteropatriarcale: un* compagn*, la prole, uno stile di vita in tutto e per tutto uguale a quello del bravo cittadino uomo, cisgender, bianco, etero e coi soldi. Questa non può essere considerata una conquista. Ci troviamo di fronte politici gay, con programmi arcobaleno, che ci promettono a reti unificate il matrimonio con i/le nostr* partners, ma è questo quello che vogliamo davvero?
In realtà, questo non è cambiamento, ma assimilazione, ed abbiamo totalmente scordato che dev’essere la società a cambiare, e non noi per farci accettare da essa. Ad oggi, infatti, la nostra comunità è piena di omo/bi/transfobia, interiorizzata e non; monogamia imposta anche a chi non la vuole; stereotipi sessisti e razzisti; cancellazioni e discriminazioni interne a un mondo che si definisce LGBT ma in realtà a livello mainstream propone il solito: gay e lesbiche che si sposano, adottano, si arruolano nell’esercito, servono la patria. Noi vogliamo altro.
Troppo spesso le lotte di noi LGBTQIA+ sono strumentalizzate dagli stati e da questo sistema economico per giustificare altre forme di oppressione, magari altrove. L’identità queer non è affatto neutra; è quasi sempre associata al colore bianco. Questa cultura biancocentrica permette a froci e froce di qualsiasi provenienza di parlare solo quando ci sono guerre neocolonialiste a cui serve una giustificazione, e questa giustificazione si chiama omonazionalismo.
La politica identitaria, su qualunque fronte, è fallita. Qualsiasi “identità”, seppur oppressa, dunque originariamente rivoluzionaria, può venire risucchiata all’interno dei discorsi e dei costrutti sociali della società borghese, dello stato, del capitale. Non solo può: lo ha già fatto; da qui la necessità di una identità non identitaria, non totalizzante, affinché sia la categoria a modificarsi rispetto a noi, e non viceversa.
La rivoluzione è desiderio e noi ci riprendiamo tutto, con l’autorganizzazione, l’autogestione e il rifiuto di ogni delega. È ora di un’insurrezione anarcofrocia.