[Nessun bambino nasce omofobico: la normatività dei generi è un prodotto culturale, così come l’omo/lesbo/transfobia]
Ancora a proposito di Davide, il ragazzo ucciso dall’Omofobia.
Sta girando questo cartello. Lo state condividendo anche voi. Poi però facciamo anche una riflessione su come su facebook sia facile prima affossare una persona, poi elevarla e canonizzarla e poi indignarsi sui corpi e poi ancora sulle tragedie e tutto si spreca in pochi attimi in un rincorrersi di pornografia emotiva e sentimentale che non produce cambiamenti culturali. Perché tu che oggi ti indigni perché questo ragazzo è stato vittima di bullismo e di cyberbullismo poi, forse, sei il primo o la prima a scrivere uno status in cui inviti al dileggio contro una persona che ti sta sulle palle solo perché ne hai paura e non accetti la sua diversità. Bisogna ricordarsene.
L’insulto su facebook non è una cosa per cui sta male chi è che se la prende. E’ facile invocare la libertà di espressione, che certo è garantita e chi vuole metterla in discussione, ma non si può patologizzare l’atteggiamento di chi si sente ferit@, les@, profondamente mortificat@, al punto da pensare al suicidio, per via dell’accanimento che su facebook può verificarsi. E non è responsabilità del mezzo ma di chi lo usa che sfoga lì tutta la propria paranoia e frustrazione e che se ti lamenti alla fine il paranoico saresti tu che subisci una persecuzione senza eguali.
Aprire una pagina facebook per fare a pezzi virtualmente una persona, dedicare ad essa degli status pieni di delirio autoreferenziale in cui ci si arroga il diritto di fare del male chissà per quali ragioni, finanche sedicenti politiche, voce dopo voce, richiamare l’attenzione di altri in una gara di “like” che plaudono a quell’atteggiamento persecutorio, far diventare la stessa persecuzione qualcosa che si sottopone al “pubblico”, partecipare a tutto questo e poi sorprendersi se la persona oggetto di tanti attacchi si ribella, si incazza, si lamenta o si suicida è una schizofrenia di una entità collettiva che si indigna e produce persecuzione allo stesso tempo e qualche volta produce persecuzione perché ritiene di essere motivata dall’indignazione.
Ieri c’era gente che perseguitava questo ragazzo perché pensava che lui fosse dannoso per l’umanità e oggi c’è gente che si indigna e va a insultare, forse anche con atteggiamenti persecutori, i ragazzi che hanno fatto la pagina facebook contro Davide. Lo scenario è inquietante e la conclusione è che tutto quanto premia la corsa al linciaggio. Non siamo sazi fino a che non ti avrò tolto ogni respiro e la voglia di vivere. Non siamo sazi fino a che non ti avremo tolto la dignità e non avremo massacrato ogni briciolo della tua reputazione. Non siamo sazi fino a che non avremo dato sfogo alla nostra voglia di fare piazza pulita del buon senso riproducendo gli stessi meccanismi, ancora, ancora, ancora.
Cos’è meglio? L’atteggiamento dei ragazzi che sfottevano e perseguitavano Davide? Quello degli e delle indignati/e che ora sono lanciatissimi/e per comunicare quanto sono diversi da quegli altri? Ma siete/siamo davvero diversi? Non siamo forse riproduttivi/e dello stesso prodotto (brutto) culturale?
Ad ogni modo: questo è un articolo che era stato pubblicato su L’Internazionale a proposito di normatività, ruoli, medicalizzazione, patologizzazione, stereotipi di genere imposti ad un bambino. E l’immagine in basso dice un sacco di cose. Mi raccomando, compagni/e, alla prossima manifestazione se indossate qualcosa di rosa o vi vestite da “femmine” e da “maschi” a prescindere dal sesso biologico ma anche dal genere di appartenenza fatemi sapere e mandatemi una foto. Perché è quella, forse, la rivoluzione. E se non siete, se non siamo, in grado di farla allora poche chiacchiere perché siamo pieni/e di pregiudizi pure noi.
Alla prossima manifestazione io indosserò i baffi, forse. Voi, non lo so.
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