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Riflessioni su chirurgia estetica, esibizionismo e vecchiaia

Nella nostra mailing list si è discusso di chirurgia estetica, esibizionismo e vecchiaia. Condividiamo con voi quanto emerso sperando di ampliare con voi la discussione. Buona Lettura!!!

Viviana scrive:

Ho da poco guardato questo documentario e sento la necessità di aprire una discussione su questo argomento: la chirurgia estetica.

Nell’intervista al regista, che potete leggere sempre nel link che vi ho postato, gli viene chiesto un giudizio sulle protagoniste del documentario e in generale sulla chirurgia estetica e questa è la sua risposta:

“Personalmente ho sempre pensato che la chirurgia sia un modo per risolvere problemi fisici che diventano elemento di insoddisfazione. In tutti i nostri personaggi, ha risolto qualcosa che le faceva vivere male. Certo, sotto alcuni aspetti queste donne sono vittime dei 30 anni di berlusconismo, dei modelli femminili cui sono state esposte per tanti anni e a cui sono rimaste attaccate. Me nel complesso le trovo donne fantastiche, vive, a confronto di loro coetanee che se ne stanno a casa da sole, rassegnate e imbacuccate. Sono donne che inseguono ancora un sogno che hanno dalla giovinezza, e la chirurgia ai loro occhi è lo strumento per continuare a inseguirlo.”

Una risposta political corret, oserei dire. C’è la spiegazione socio-culturale ma anche quella psicologica e poi si finisce con il definirle migliori di chi sta a casa sola e imbacuccata. A me però la diplomazia non interessa e vorrei tanto sapere cosa voi ne pensate di tutto questo.

Personalmente non considero la chirurgia estetica un male ma neanche la risoluzione a tutti i problemi. Penso sia un mezzo che se usato bene può migliorare la vita delle persone. Penso per esempio a quanto giovamento possono trarne i/le trans, anche se, anche in questo caso, il come modificarsi spesso sembra essere determinato dalla cultura imperante. Ed è forse su questo che penso bisogni interrogarsi. Io non so se in un mondo migliore, dove si verrebbe accettati per quello che si è, non esisterebbero persone con la voglia di modificarsi…  credo che questa volontà sia un po’ insita in ognuno di noi, anche se a livelli diversi (il trucco e i vestiti, anche se non sono invasivi e permanenti, comunque ci trasformano e orientano il modo in cui gli altr@ ci guardano). Badate che non sto paragonando le sue cose, ma sto cercando di trovarvi un filo conduttore, perché se siamo arrivati all’era della chirurgia estetica da qualche parte si sarà pur iniziato. Nel documentario tre temi si ripetono in modo quasi ossessivo:

La contrapposizione tra il fuori e il dentro. Questo ripetere, ma diciamolo, dimostrare che pur essendo persone rifatte non si è vuoti o superficiali. Il binomio bello/rifatto-stupido/vuoto mi sembra un’assurdità, come tutte le altre dicotomie, ma se c’è bisogno di un intero documentario per sfatarlo o rafforzarlo (questo dipende dalle considerazioni di ciascun@) vuol dire che è molto diffuso e ben consolidato. E questo a me fa tanta tristezza, perché mai vorrei dover dimostrare di esser “pure intelligente” perché ad esempio ho ricorso ad un intervento che mi ha migliorato il naso.

Il secondo tema è l’esibizionismo, la voglia di apparire. Pur essendo timida io mi reputo un’esibizionista, perché essere al centro dell’attenzione, per i più svariati motivi, non è sempre una brutta esperienza. C’è una gran bella differenza tra il decidere il come-quando mostrarsi e l’essere messi da altri all’attenzione dei più. La prima può essere un’esperienza positiva, soprattutto per la propria autostima, l’altra io la vivo come una violenza e basta. Questa premessa mi serve per spiegare il motivo per cui non condanno l’esibizionismo. Quello che non sopporto è il fatto che anche questo elemento, che in sé ha qualcosa di dissacrante, viene usato dalla cultura per autoalimentarsi. Sempre più spesso il modo di mettersi in mostra non è più una scelta libera ma dettata da terzi.

L’ultimo tema è la vecchiaia che sembra esser una gran sventura. Oggi gli anziani vengono visti come dei pesi per la società, come coloro che hanno fatto il loro tempo e adesso possono pure lasciar il posto ai giovani. La vecchiaia è sinonimo di tutto ciò che è considerato brutto: occhiaie, borse, rughe, la pelle che inizia a cedere, la perdita di capelli, la caduta dei denti ed ecc. E’ sinonimo della fine, cioè dell’inizio della fine. Una volta che ti etichettano come vecchio o vecchia è la fine. Non puoi più permetterti certe cose, certi atteggiamenti, ed ect. E’ considerata da molti una malattia da combattere con il bisturi e con la compagnia di tanti giovani,  e da altri come un momento della vita che cambia la tua rotta per sempre. Io ho due genitori che si definiscono vecchi e che vivono la loro vecchiaia come un momento malinconico, in cui ripensi al passato con nostalgia, e pensi che le cose devono farsi in fretta perché non c’è più tanto tempo se tutti quelli che conoscevi iniziano a morire. Quando propongo loro dei progetti sono felici, i loro occhi si riempiono di gioia, ma poi quando quei progetti sono a lungo termine si smorzano, perché pensano che forse non ce la faranno. Personalmente non so come ci si sente a 60-70 anni, quindi non so quanti pensieri ti passano per la testa, quanti calcoli ti fai, ma quando ci arriverò spero di non vivermela così: non voglio combatterla né con il bisturi né annegando nella nostalgia… vorrei continuare a sentirmi utile e a fare quello che mi interessa, ovviamente secondo i mezzi e i modi che il mio corpo e la mia mente mi permetteranno. Ecco, quello che mi spaventa della vecchiaia non sono gli inestetismi estetici ma le limitazioni che aumentano contro cui non c’è molto da fare. Penso che gli anziani siano pieni di progetti e voglia di fare ma non avendo i mezzi, o credendo di non averli, rinunciano e si rassegnano, pensando che sia impossibile quando forse è solo arduo da soli o con quei mezzi. Tutto sto papiello sulla vecchiaia per dire che nessuno la vive in modo sereno e forse il problema è nella concezione che ne abbiamo.

Ritornando alla chirurgia estetica, penso che sia un argomento molto complesso e sul quale spesso ci si ferma a giudizi sommari, quando forse c’è molto di più. Ricordo sempre con piacere la frase di Agrado, nel film di Almodovar “Tutto su mia madre”, che dice: costa molto essere autentiche, signora mia, e in questa cosa non si deve essere tirchie, perché una è più autentica quanto più assomiglia all’idea che ha di se stessa.

Il problema è: come si distingue l’idea che si ha di sè da quella che ci viene proposta? E’ giusto affermare che tutt@ coloro che ricorrono alla chirurgia estetica sono spinti da questa cultura? Che i loro cambiamenti non sono voluti ma indotti? E’ corretto pensare che nessun@ ricorre alla chirurgia in modo autodeterminato?

Barbara scrive:

Mi ha colpito quanto dici sull’esibizionismo. Nel senso che forse è questa la chiave della risposta, e non a te che ti dichiari “timida ma anche esibizionista”, ma in generale.

E’ vero: a nessuno piace stare sempre e solo dietro le quinte, ma la domanda è: gli spettatori chi sono? Mi vien da pensare che, chi fa uso, all’eccesso, di chirurgia estetica o chi è in qualche modo schiavo della propria immagine, deleghi ad altri, ovvero al fuori, un compito che dovrebbe essere proprio.

Non è solo un fatto di autostima (che dovrebbe essere implicita in un percorso personale), ma di contenuti che tengono occupati i pensieri della persona, dove il fattore estetico diventa importante fino ad un certo punto.

Ogni mente è un mondo fatto di cose, desideri, esperienze. Ho l’impressione che, invece, il mondo di chi ha un pensiero fisso sia autolimitante. Se il pensiero fisso è quello di apparire, allora il fattore estetico viene visto come la causa di personali sfortune o al contrario, successi. Se invece un difetto fisico è vissuto come un ingombro, toglierlo mi sembra meglio, per poi passare ad altro, ad esempio progetti di vita che nulla hanno a che fare con quel difetto.

Non si tratta di negare l’estetica o la cura di sé in nome di una libertà fatta di “io sono così e mi accetto” (se è vero, meglio, ma non è questo il punto), si tratta di liberarsi da un fardello imposto da una macchina che vorrebbe tutte a consumare e spendere in nome di una bellezza senza la quale non si esiste, e che limita la scelta di quello che si sceglie di essere davvero.

Sulla vecchiaia il discorso è più complesso e varrebbe la pena di tornarci in maniera più approfondita, però la prima cosa che mi viene da pensare è che in questo caso è il sistema società che è fallimentare; analogamente il sistema promuove iniziative ad uso e consumo di persone abili, attive e maggiorenni, a partire ad esempio dal modo in cui sono pianificate e costruite le città. Per me il punto è l’autodeterminazione, ovvero libertà di movimento, di socializzare, di scelta.

Serbilla scrive:

Secondo me tutte le persone sono spinte verso la chirurgia estetica dalla cultura, tranne forse quelle che vi ricorrono dopo incidenti che le sfigurano. Perché il modo in cui gli altri ci guardano ha un peso enorme, al di là dell’essere forti o fragili, che incide sulla scelta, ma penso sia molto difficile trovare la soddisfazione completa quando ci si guarda, a causa del paragone con gli altri e i modelli estetici. Più che altro si prova affetto, tenerezza, in particolari momenti ci si sente bell*. Ma tutte le persone hanno un’idea nella testa di cosa è bello e cosa è brutto, quell’idea significa qualcosa per noi, e lo significa perché ha trovato un riscontro esterno, da qualche parte. Il “modello di bellezza imposto” diciamo così, non è come un travaso, ma una lenta costruzione, fatta di piccoli pezzi quotidiani, dall’infanzia, di un’immagine che gli altri riconoscono, alla quale danno un significato, valore.

Nelle storie di queste donne, si vede che la televisione ha un grande peso. Per esempio, l’idea è il seno tronfio che svetta su un corpo molto magro e tonico, anche a 60 anni, è vincente, fa nulla che poi dentro il tuo corpo non funzioni più come a 25 anni, fuori sei l’idea che hai di te, sì ma è l’idea che vuoi che gli altri abbiano di te, che è di donna piacevole, bella secondo ciò che la società dice che è bello. Perchè vuoi essere amata (e amato), quello è. La chirurgia che migliora la vita è quella che ti fa sentire di poter essere amat* e apprezzat*.

La chirurgia estetica è questo, sentirsi accettat*, perché pensi che gli altri non ti accetteranno se hai quel determinato ‘difetto’. Sul concetto di difetto possiamo discutere a lungo, ma si ritorna alla cultura.

I seni della ragazza che mette le coppe, quelle adesive, sono seni ‘perfetti’, bellissimi, adatti al suo corpo, ma se lei avrà nella testa un’altra idea di perfetto, probabilmente se li vorrà cambiare.

E chi fa sei operazioni di chirurgia al seno lo fa perché vuole piacere, a se stessa secondo l’idea di ‘piacere’ che viene dall’esterno, dagli altri, infatti cercano tutte riscontro dall’esterno.

In tutte le culture i corpi subiscono dei cambiamenti, sono artefatti in qualche modo, devono significare qualcosa di più dello stato ‘naturale’.

Nella nostra società, in questo momento, queste operazioni rappresentano la corsa alla giovinezza eterna, che sembra una cosa banale da dire, ma è così. Tutte quelle che dicono: non ho paura di diventare vecchia, dicono una mezza verità, quindi una mezza bugia. Se non avessi paura di diventare vecchia, dove vecchia sta per capelli bianchi, pelle con le macchie, seni un po’ svuotati e cadenti, ecc. Se non avessi paura di quello, non faresti di tutto per essere diversa. Non hanno paura della vecchiaia finché riescono a mantenere lo status quo, ma se prendesse il sopravvento probabilmente sarebbe un trauma.

Questa è cultura, tutta cultura, non ci sono modelli di vecchiaia che significano qualcosa che non sia ‘da buttare’, in questo contesto, la vecchiaia non viene elaborata.

L’autodeterminazione in tutto questo (quindi anche una possibile risposta alla tua domanda: come si distingue l’idea che si ha di sè da quella che ci viene proposta?) è, secondo me, nell’individuare la tua risposta personale, c’è chi a quelle spinte della società dà una risposta diversa, non si opera, non fa concorsi, o fa queste cose in modo minore e senza salire su un palco, e chi si fa le labbra ‘come la Parietti’.  Non puoi segnare una linea di divisione netta, lìidea che hai di te è inevitabilmente intrecciata all’idea che ti viene proposta dal contesto in cui vivi.

Che poi questo è il motivo per cui discutiamo di chirurgia, almeno credo, che chi va dal chirurgo si trova davanti un menu, dal quale sceglie il modello di tetta (le protesi sono standard) o di labbra e se lo fa fare, è questa la parte inquietante. Che si corre il rischio di essere tutte uguali, perché si è scelto lo stesso modello di naso. Quindi il timore che ci crea la chirurgia estetica, non è la modificazione del corpo in se, ma la famosa perdita d’identità. Che tanto vogliamo somigliare ad un idea di noi – che è un’idea di bellezza che abbiamo costruito in uno scambio con l’esterno – tanto più poi ci troviamo a essere anonime perché tutte diamo la stessa risposta.

Perché se andassi a farmi istallare in testa un paio di orecchie da coniglio, cosa significherebbe? sarebbe comunque un intervento di chirurgia estetica, ma per significare cose completamente diverse dal farmi il naso all’insù. Sarei strana, ma rientrerei ancora nella casistica della donna che si ‘migliora’?

A questo punto, forse, entra in gioco il discorso delle operazioni di chi è transessuale. Secondo me Agrado segue un’altra spinta interiore, differente da quella di chi, essendo già donna, si fa aumentare il seno, perché quest’ultima poteva dare una risposta diversa, e restare comunque donna, meno bella secondo una visione, più bella secondo un’altra visione, ma donna, mentre la transessuale, probabilmente, per essere considerata donna, può dare solo quella risposta lì (? metto il punto di domanda perché è una riflessione che faccio in questo momento), l’autenticità è veramente in gioco in questo caso. L’autenticità di chi si fa la liposuzione no, quella non è autenticità, è necessità sociale (non sono più autentica con una sesta, sono più desiderabile per chi guarda a quelle con la sesta).

Per quanto riguarda il pensiero fisso citato da Barbara, sicuramente è limitante, perché abbiamo a disposizione mezzi di comunicazione che amplificano a dismisura i messaggi, quindi se avere il naso all’insù per Amy di piccole donne era un vezzo e un desiderio, ma per le altre sorelle non lo era, oggi quello stesso messaggio potrebbe essere ripetuto milioni di volte al giorno e arrivare a milioni di Amy, che sentirebbero la necessità di avere il naso all’insù perché piace.

Rispetto alla contrapposizione tra il fuori e il dentro, se ci riflettiamo già Amy di piccole donne viene descritta come la più superficiale delle sorelle, credo dipenda dal fatto che, in genere, la bellezza sia stata considerata l’unico pregio che doveva avere una donna, di qui l’idea che non ci fosse bisogno di sapere o saper fare, così chi si fa bella è ovviamente scema (addirittura chi è bionda è scema).

Mentre per quanto riguarda l’esibizionismo credo sia una forma di relazione con gli altri, quindi il problema sorge quando chi guadagna dal tuo esibizionismo, detta tempi e modi.

Voi invece cosa ne pensate?

Posted in Corpi, Pensatoio.


2 Responses

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  1. cip says

    Non lascio una riflessione, ma un altro documento.‎
    Nel numero di luglio 2012, Silhouette Donna ha pubblicato un servizio sulla chirurgia ‎estetica dal titolo «Forme: quanto contano?». Già nel sottotitolo, il seno florido è ‎considerato «must have», espressione che indica un prodotto alla moda da procurarsi al più ‎presto (usata solitamente anche per indicare merce non invasiva come abiti o cosmetici a ‎prezzi inaccessibili, te lo do io il must have).‎
    L’articolo riporta delle dichiarazioni del chirurgo plastico Chiara Botti sulla mastoplastica ‎additiva; la dottoressa esordisce definendo, in certi casi, «disagio profondo» un seno piccolo ‎che crea difficoltà nello scegliere i vestiti. Secondo lei, «Per questi motivi [che la rivista ‎definisce “oggettivi”: seno piccolo o svuotato o brutto per forma e consistenza], alcune ‎ragazze non tolgono il reggiseno neanche durante un rapporto sessuale.» E l’articolo ne trae ‎la conclusione «In tal senso diventa davvero un “servizio” utile per affrontare meglio la ‎vita. Non solo quella privata, anche quella lavorativa: se migliora l’autostima si agisce con ‎più sicurezza.»‎
    Ora, nello stesso articolo il desiderio di un seno florido viene giustificato con un desiderio ‎di «maggior piacere sessuale» (di chi? Della donna?) e «maggior femminilità». È un cane che ‎si morde la coda – la dottoressa che parla di disagi che la rivista stessa contribuisce a ‎nutrire.‎
    L’articolo si pone questo problema, e intervista Francesca Romana Tiberi, psicologa e ‎sessuologa, sulla questione del concetto di bellezza, costruito da chi ci sta intorno. Siamo ‎d’accordo. Ora, alla discutibile (secondo me) affermazione della rivista «Il seno è una parte ‎del corpo femminile legata al piacere» (ancora?), la dottoressa aggiunge altrettanto ‎discutibilmente «se la taglia è direttamente proporzionata a quanto piacere possiamo avere ‎‎[?] è legittimo desiderare l’aumento.» Concludendo con la messa in guardia dal pensare che ‎una protesi possa risolvere tutti i problemi. Pacifico, anche qui.‎

    Nello stesso numero, la rivista contiene ad esempio un articolo sul «lato B» ‎‎(quell’espressione terribilmente volgare che significa “culo”) che mette in guardia «non è ‎meno importante di altre parti del corpo […] tanto quanto un seno ben proporzionato»; e ‎infine un articolo intitolato «Se lui guarda le altre». Così che, quando nel servizio sulla ‎mastoplastica ci si chiede “chi” contribuisce al nostro concetto di bellezza, gli occhi roteano ‎automaticamente al soffitto.‎

    Mi rendo conto che analizzare un servizio di Silhouette Donna equivale a sparare sulla ‎croce rossa. Non prendevo in mano un numero di questa rivista da diversi mesi. Però mi ‎piacerebbe che queste cose non finissero automaticamente in circolazione senza mai un ‎nostro intervento. Mi piacerebbe capire se si può fare qualcosa.‎