Da Amarame:
Va bene, Halloween, così come ci viene proposta di questi tempi, è una festa puramente commerciale importata dai Paesi anglosassoni e in Italia esistono sicuramente tradizioni molto più interessanti e ritualità molto più stuzzicanti da poter osservare, di quelle che fanno prudere l’ombelico dal modo in cui parlano ad una serie di immaginari comuni (siamo qui riuniti attorno a questo tavolo per evocare Jung ed i suoi archetipi…).
Però non voglio parlare di questo, anche perché, personalmente, Halloween mi piace. Provo simpatia per i carnevali di ogni periodo: per quanto inquinate dal commercio, le feste in maschera dove “tutto è permesso” mi fanno impazzire ed il loro collegamento col culto dei morti mescolato alla risata (liberatoria, panica, apotropaica -e altri aggettivi interessanti a caso) mi titilla le sinapsi.
Quindi, Halloween, dicevo, mi piace. Però c’è qualcosa che mi disturba nel modo in cui viene proposto. In particolare, mi riferisco ai costumi: nei negozi dovrebbero fiorire maschere di mostri, zombie, vampiri, cadaveri, scheletri, lupimannari… Ed in effetti è così, ma a questa allegra compagnia si aggiungono spesso e volentieri: la sexy-zombie, la sexy-vampira, la sexy-strega, la sexy-diavolessa, la sexy-che-so-io… Ogni “versione femminile” della mostruosità in realtà non punta allo spaventoso, bensì all’erotico.
A parte il fastidio enorme nel vedere come ogni cosa riferita a noi donne in questa società debba finire per rappresentarci o come mamme o come corpi-con-cui-fare-sesso, provo un senso di disorientamento e sconcerto dovuto al pensiero che questo genere di feste dovevano rappresetare, originariamente, dei momenti di passaggio. Non a caso si tratta di festività invernali o prossime al solstizio. Semplificando, in momenti come questi dove la comunità si trovava nel punto più critico dell’anno (freddo=poco cibo), ci si rivolgeva a forze superiori che avrebbero garantito la sopravvivenza di tutt* nonostante le difficoltà. I morti erano i più facilmente raggiungibili, in quanto partecipi, un tempo, della vita del villaggio/paese che ora si rivolgeva loro. Nacque anche l’idea che in questi particolari momenti dell’anno il velo tra aldilà e aldiqua si assottigliasse e che quindi i defunti potessero far visita ai vivi e i vivi, se non prestavano attenzione, potevano finire in luoghi a cui non erano ancora destinati. Un ribaltamento, questo, che ha generato prima la tradizione “costumistica” (per confondersi tra i morti e permettere loro di girare tranquillamente tra “noi vivi”), dopodiché quella scherzosa (i morti, se non adeguatamente rabboniti, possono fare dispetti) e, infine, quella della completa libertà dal ruolo sociale imposto: in un momento in cui persino la morte era sconfitta, la classe sociale si rivelava un ben misero ostacolo; il più povero poteva essere un re, i potenti erano liberamente sbeffeggiabili e così via…*
Detto ciò, io che sono così affascinata da queste tradizioni “di ribaltamento”, come potrei accettare di buon grado di vederci anche adesso relegate a ruoli stereotipati, invece di poterci ribellare alla nostra condizione di donne costrette alla bellezza? Almeno per un giorno!** Non era “a Carnevale ogni scherzo vale?” E per Halloween sarà lo stesso, no?
No, a quanto pare. E i risultati sono in bilico tra il ridicolo ed il deprimente, come la sexy Pellegrina (e per fortuna che erano puritani!) o la sexy Teletubbie-girl (Tinki Winki dice “Gnam!”…sigh) e via dicendo… Guardatevi tutto il sito Fuck No Sexist Halloween Costumes, perché merita. In particolare quello che colpisce è il contrasto tra costumi che da una parte (maschile) sono spesso ridicoli, mentre sul versante femminile si perde tutta la vena scherzosa. Lo stesso vale per lo spaventoso… Persino la posa delle modelle e dei modelli è diversa. Fastidiosamente diversa.
Giusto perché non riesco a smettere di guardare, citerei questa immagine perché è favolosamente emblematica: un mestiere a cui accedono sia donne che uomini viene totalmente stravolto nelle due versioni (cappello a parte, sembra un completo da cuoca, quello?). E, per finire, un Power Ranger, dove però i creatori della maschera si sono dimenticati che nel gruppo donne e uomini avevano lo stesso identico costume… Di nuovo: ridicolo e deprimente.
Per fortuna che poi sono capitata su questo video che mi spiega che posso essere qualsiasi cosa:
Perciò alla fine la sottoscritta sarà una perfetta ragazza “Trash-anni-’80 rivisitato a muzzo” con (dal basso verso l’alto):
– scarponcini taglio maschile
– calzetti a righe azzurre
– jeans risvoltati per far vedere i calzetti
– mezzo guanto sinistro ricavato da un vecchio calzetto viola
– t-shirt nera con scritta rosa “Stupida sgualdrina viziata”
– camicia di flanella a quadri appartenuta a mio nonno (così i “miei morti” saranno con me)
– spille sulla camicia di vario genere: “Sticks and stones may break my bones, but chains and whips excite me”; “You say I’m a bitch like it’s a bad thing”; immaginine di donne che si baciano…
– catename vario al collo
– capelli con coda in cima alla testa per l’effetto cotonato
– cappello i jeans
Nemmeno una tetta fuori. Neppure finta!
E, giusto per fare riflettere un attimo, dopo toni così frivoli:
http://www.youtube.com/watch?v=MFn81_HAvWg&feature=player_embedded
Perché tutt* veniamo educat* ad essere “la cosa giusta” (per chi, poi?) sin da piccol*, ma sarebbe più importante che ci venisse permesso di essere “la cosa che ci piace”.
* E’ stato il riassunto più ardito che io abbia mai fatto… Probabilmente ho persino esagerato e perciò mi scuso: era per dipingere un quadro abbastanza chiaro, ma con poche pennellate…
** Be’, chiaramente di un giorno solo non me ne fo nulla: io lotto per tutta una vita senza ruoli e stereotipi, ma, evidentemente, questa società considera pericoloso anche quell’unico “rubello dì” su 365.