Mentre noi andiamo avanti nella discussione a proposito della Pas, calibrando i toni e le modalità di trattazione di questa complessa materia, confrontandoci apertamente, da più punti di vista, e senza reciproche demonizzazioni e pretestuose accuse, negli Stati Uniti si celebra ancora un atto che riguarda la richiesta pendente da parte dei sostenitori per il riconoscimento dell’Alienazione Parentale e la sua inclusione nel DSM-5, prima come sindrome e poi come disturbo, rigettata dalla Associazione Psichiatrica Americana.
Forti polemiche e identici argomenti di opposizione a quelli che qui abbiamo più volte tradotto e riportato sembrano non spostare l’asse della discussione dal punto di partenza ovverosia dallo scontro tra chi asserisce che la Pas o il Parental Alienation Disorder non abbia nulla di scientificamente valido e sia un mezzo usato per difendere i genitori violenti e chi dice che l’opposizione non abbia nulla di scientifico ma sia derivante da una forte pressione politica della lobby femminista che si occupa di violenza sulle donne.
L’Italia non sembrerebbe sfuggire a questa modalità di trattazione della questione. Volano accuse reciproche e non a caso per definire le differenti parti in causa si utilizza lo stesso lessico usato negli Stati Uniti. In Spagna il governo ha prodotto un esame in opposizione alla Pas e l’associazione neuropsichiatrica spagnola si è espressa in senso contrario (QUI il testo in lingua spagnola). L’Onu attraverso la relazione della Commissione Cedaw ha avvertito il governo italiano del fatto che bisognava guardare e valutare con attenzione ogni dettaglio e ricordare di salvaguardare il benessere di donne e bambini vittime di violenza prima di dare l’assenso al ddl. 957 sull’affido condiviso in discussione in commissione giustizia al Senato. Il ddl, ricordiamolo, comprendeva, almeno nella sua stesura iniziale, l’articolo 9 con specifica richiesta di introdurre il riconoscimento della alienazione parentale come sindrome nelle controversie legali dedicate a divorzi e affidi dei figli.
I centri antiviolenza italiani riuniti nel Coordinamento Di.re e molte associazioni che si occupano di violenza sulle donne hanno sottoscritto un documento in opposizione all’introduzione del concetto di Pas nell’ordinamento giuridico italiano.
Dall’altro lato gli psicologi italiani invece si esprimono a favore del ddl 957 (qui tutti i documenti acquisiti in senato) e dunque anche la commissione del senato diventa teatro di uno scontro forse attenuato dall’ultimo ddl dei radicali in cui sparisce il concetto di sindrome e si parla di “manipolazione di essi (i figli) mirata al rifiuto dell’altro genitore a al suo allontanamento” che comporterebbe “l’esclusione dall’affidamento”.
C’è da dire che, e lo abbiamo appurato nel prosieguo della nostra ricerca, il dibattito attuale sull’alienazione parentale non si ostina a negare la violenza sulle donne o sui minori, che sono temi che, pur non facendone una bandiera, stanno a cuore anche a chi sostiene che l’alienazione parentale sia un abuso sui bambini. Anzi tende a confrontarsi sul valore dei sintomi descritti da Gardner, per alcuni opinabili dal punto di vista scientifico, e sui dispositivi attraverso i quali si possa distinguere un rifiuto a seguito di violenza da un rifiuto dovuto alla cattiva influenza di un genitore che tende ad allontanare l’altro. E lo stesso dibattito non nega l’esistenza dell’alienazione parentale ma si confronta sul fatto che possa essere una malattia, quindi di tipo psichiatrico, o un abuso e un maltrattamento di tipo psicologico.
Il dibattito in sede accademica segue dunque un suo percorso che parrebbe distante dalle dinamiche che ancora sono in atto nello scontro tra differenti tifoserie, pro e contro, ciascuno preoccupato di due ragioni diverse da difendere. Dinamiche che mutuate dalle tecniche di marketing (usate anche dalle case farmaceutiche), con possibilità di persuasione annessa, per alcuni tenderebbero a convincere il pubblico della assoluta necessità del “prodotto” Pas (così come della assoluta pericolosità dello stesso prodotto).
Da dire che se si ritiene che si possano usare tali abilità manipolatorie per indurre la gente a comprare un prodotto, inclusa la Pas, non è poi così difficile immaginare che si possa manipolare un bambino per fargli cambiare idea su tante cose. Non fosse per il fatto che i bambini, e chi studia tecniche di comunicazione di massa approfondendo sulle modalità persuasive usate negli spot pubblicitari questo lo sa, sono i primi obiettivi delle strategie di marketing pubblicitario perchè attraverso essi si possono raggiungere gli adulti.
Ciò per dire che comunque la vicenda è alquanto intricata e bisognerebbe separare il dibattito politico da quello scientifico per quanto tale unione tra le due aree sia stata evidentemente sollecitata da chi propone che l’alienazione parentale sia in qualche modo riconosciuta da un parlamento prima che dalla comunità scientifica.
Detto ciò e in attesa dell’articolo intervista, sicuramente interessante che una di noi pubblicherà come approfondimento su questo, invitando chiunque abbia differenti notizie o comunque qualcosa da dire – sempre nel rispetto della nostra netiquette – su questo a partecipare alla discussione, vi lascio alla traduzione dell’articolo (QUI la trovate commentata sul sito della rete di associazioni che in Italia sostiene la Pas) che riporta ciò che pare sia successo negli Stati Uniti.
Dal Washington Times (riportato anche dall’Huffington Post, dal Seattle Times, dal Washington Post):
L’alienazione parentale non è un disturbo
NEW YORK (AP) – Respingendo una intensa campagna di lobbying, una task force della American Psychiatric Association ha deciso di non includere il concetto controverso di alienazione genitoriale nell’edizione aggiornata del catalogo dei disturbi mentali (DSM).
Il termine esprime la modalità attraverso la quale il rapporto di un bambino con un genitore alienato (allontanato, messo a distanza) possa essere avvelenato (influenzato negativamente) da parte dell’altro genitore, e c’è un ampio consenso sul fatto che a volte questa modalità si verifichi nel contesto di divorzi e nelle controversie per l’affidamento dei figli.
Tuttavia, un aspro dibattito ha imperversato per anni sulla possibilità che il fenomeno dovrebbe essere formalmente classificato come un disturbo di salute mentale da parte dell’associazione psichiatrica che aggiorna il suo Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali sin dal 1994.
Il nuovo manuale, noto come DSM-5, non sarà completato fino al prossimo anno, ma la decisione contro la classificazione dell’alienazione parentale come un disturbo o sindrome è stata presa.
“La verità è che non è un disordine (una malattia) che coinvolge l’individuo”, ha detto il dottor Darrel Regier, vice presidente della task force che redige il manuale. “Si tratta di un problema di relazione tra genitore-figlio o genitore-genitore. E i problemi di relazione di per sé non sono disturbi mentali. ”
Regier e i suoi colleghi dell’APA hanno subito forti pressioni da individui e gruppi che credono che l’alienazione genitoriale sia una grave condizione mentale e che dovrebbe essere formalmente riconosciuta nel DSM-5. Affermano che questo step aiuterebbe a ottenere più giusti risultati nei tribunali familiari per permettere a più bambini durante i procedimenti di divorzio (e di affido) di godere della terapia in modo da poter conciliare (poter ricostruire un rapporto) con il genitore alienato.
Tra quelli che insistono nell’opporsi in seno a questo dibattito che ha avuto inizio sin dal 1980, vi sono femministe e avvocati che si occupano di donne maltrattate i quali considerano la “sindrome di alienazione parentale” una questione non provata e potenzialmente pericolosa e utile per quegli uomini che cercano di distogliere l’attenzione dal loro comportamento violento.
Alcuni soggetti critici contro la Pas affermano che essa sia promossa da psicologi, consulenti e altri soggetti che potrebbero trarre profitto dal fatto che l’alienazione parentale possa godere di un formale status nelle controversie nei tribunali che si occupano di diritto di famiglia.
“Alla peggio, si tratta di una cosa che mette in comune le tasche di avvocati e consulenti tecnici, i quali possono aumentare il numero di ore fatturabili in un determinato caso”, ha scritto il dottor Timothy Houchin, psichiatra dell’Università del Kentucky, e altri tre colleghi in un articolo all’inizio di quest’anno nel Journal of American Academy of Psichiatria and the Law.
“Si realizza un livello completamente nuovo di dibattito, in cui solo gli esperti qualificati (in materia di Pas) possono esprimersi, contribuendo con le proprie consulenze ai già torbidi dibattiti nelle controversie di divorzio “, hanno scritto, sostenendo che i tribunali avrebbero potuto occuparsi di allontanamento/estraniamento/alienazione tra padre / figlio senza etichettare il bambino come malato di mente.
I sostenitori del concetto di alienazione parentale hanno trovato opposizione già a partire dalla decisione dell’APA di non classificarla come una sindrome o un disturbo, ma avevano la speranza che sarebbe stata quantomeno espressamente citata in un’appendice come esempio di un problema relazionale fra padre e figlio.
Regier, in una e-mail, ha detto che questo è “molto improbabile”, anche se il progetto definitivo del DSM-5 è ancora incompleto.
Il Dr. William Bernet, professore emerito di psichiatria presso l’Università Vanderbilt School of Medicine, è editore di un libro del 2010 che sottolinea l’importanza del riconoscimento dell’alienazione genitoriale nel DSM-5. Egli sostiene che circa 200.000 bambini negli Stati Uniti sono colpiti dalla malattia.
La proposta Bernet [QUI nella versione integrale in inglese ndb] alla task force che si occupa del DSM-5 definisce il disturbo dell’alienazione genitoriale come “una condizione mentale in cui un bambino, di solito figlio di genitori impegnati in un divorzio dall’alto livello di conflittualità, si allea fortemente con uno dei genitori, e rifiuta un rapporto con l’altro genitore, senza legittima giustificazione. ”
In un’intervista telefonica, Bernet ha sostenuto che la task force aveva maturato su questo un’idea sulla base di fattori che vanno oltre le prove scientifiche.
“Penso che (tale decisione) non sia stata motivata dalla scienza, ma pilotata da amicizie e da forze politiche”, ha affermato.
L’alienazione parentale ha avuto eco nella cultura popolare diversi anni fa a seguito dell’amaro divorzio e della battaglia per la custodia del bambino che coinvolgeva gli attori Alec Baldwin e Kim Basinger. Baldwin è stato attaccato da alcuni gruppi femministi per aver citato la sindrome di alienazione parentale come motivo del suo allontanamento dalla figlia.
“La verità è che l’alienazione genitoriale è davvero una abile, pericolosa, commercializzata strategia giuridica che ha causato molti danni alle vittime di abusi”, ha detto inserendosi nella polemica la National Organization for Women.
Bernet, nella sua proposta alla task force per il DSM-5, si è detto d’accordo sul fatto che “in alcuni casi il concetto di alienazione genitoriale sia stato usato da genitori violenti per nascondere il proprio comportamento.”
“Tuttavia, noi siamo fortemente in disaccordo sul fatto di buttare via il bambino con l’acqua sporca”, ha scritto, sostenendo che la possibilità d’uso da parte di chi commette abusi sarebbe alquanto ridotta se i criteri diagnostici per la alienazione genitoriale fossero stati stabiliti.
Ci rendiamo conto che se i giudici dessero retta al signore che nega la PAS o a quello di Scientology che nega tutta la psicologia, l’unica soluzione per proteggere i bambini diventerebbe farsi giustizia da soli
@paolo roat: Ok. Sulle professionalità a cui affidare le CTU non ne faccio una questione di monopolio professionale. Io non sono un addetto ai lavori. A me interessa che la decisione del giudice sia supportata dal parere di persone che hanno esperienza sul campo nel trattare con i minori. Sono anch’io molto dubbioso sulle validità delle teorie, ma non vedo alternative all’affidarsi a persone con esperienza operativa. La loro preparazione accademica dovrebbe servire ad affinare il senso comune, visto che non siamo in un campo dove si possono applicare i metodi delle scienze dure.
In quanto al potere tecnico della CTU, ho letto in rete che c’è una certa differenza tra il processo civile e il processo penale. Ma in tutti i casi, al giudice resta l’ultima parola. Quindi, alla fine, noi due ci troviamo d’accordo.
Ma no 🙂
non l’avevo intesa in senso provocatorio. Ti chiedevo davvero di contribuire alla discussione perché se hai elementi interessanti che possono mettere in luce altri aspetti figurati se non ci interessa. Tutto qui. E per il resto vi auguro un buon sereno confronto. (scusate se non sono presentissima ma il femblogcamp alle porte ci porta via tempo, energie e attenzione…)
Per @fikasicula, mi dispiace se il commento è stato inteso in senso provocatorio. Non era mia intenzione. Il senso comunque era quello di dire che esistono problemi ben più gravi e importanti, soprattutto perché se risolti porterebbero dei veri miglioramenti e meno sofferenza per i bambini.
Per @dadtux, io ritengo che le perizie dovrebbero essere assegnate piuttosto a pedagogisti familiari (che hanno competenza nel campo delle relazioni volte al miglioramento) e anche a criminologi che a mio avviso comunque seguono una disciplina molto più rigorosa rispetto a psicologi e psichiatri. Per esempio un testo molto valido potrebbe essere questo libro di Saverio Fortunato SUL METODO E CONTRO IL METODO SCIENTIFICO IN PERIZIA http://www.criminologia.it. La perizia dovrebbe essere un aiuto per il giudice e non qualcosa da prendere a occhi chiusi, come dice anche il dott. Fortunato: “La perizia forense richiede un sapere scientifico che si caratterizza per il vincolo empirico, il rigore logico, la cura e la precisione con cui sono trattate le operazioni. Sul perito (come sul consulente) grava un’enorme responsabilità: la parola “condanna” ha un significato “terribile” e quando la giustizia sbaglia, getta un’onta su chiunque la esercita. Il suo compito è di aiutare il giudice, con onestà e col dono del dubbio, per impedire che un innocente sia incolpato ingiustamente o che un colpevole riesca a farla franca.”
Come è emerso in altri commenti su FaS dell’ormai affollato tentativo di documentazione e chiarimento su questo tema, il vero problema non è categorizzare, classificare, diagnosticare in modo medico-scientifico la manipolazione dei figli da parte di un genitore contro l’altro. Il vero problema è trovare i rimedi. Ma le discussioni che si fanno (a volte in buona fede, a volte no) deviano, o forse vengono dirottate su altri percorsi. Ci si accapiglia su domande come: “è una malattia?”, “va inserita nel DSM?”, “la psicologia o la psichiatria sono vere scienze?”.
Secondo me si deve concentrare la discussione su due punti chiave e lasciare perdere le discussioni fini a sé stesse:
1. con che mezzi concreti accertare la natura del rifiuto del minore per un genitore, ovvero i motivi (che possono essere o non essere collegati al comportamento dell’altro genitore);
2. con che mezzi porre rimedio a questo rifiuto, senza causare al minore stesso un danno peggiore di quello a cui si vuole rimediare.
Faccio notare che chi ritiene i professionisti totalmente inaffidabili nell’accertamento dei motivi, non dice a chi dovrebbe essere assegnato questo compito. E chi dirotta la discussione sul fatto che “non è una malattia” non ha il coraggio di dire che ritiene che i minori quando rifiutano un genitore lo farebbero sempre solo ed esclusivamente perché vittima di abusi (e quindi per motivi validi).
@PaoloRoat
rispetto a quello che dici:
ti assicuro che noi parliamo di questo argomento non per deviare l’attenzione da altre questioni o da altre soluzioni che tu indichi come migliori. Se tu vuoi contribuire raccontandoci il dramma delle case famiglia, la parzialità di CTU e di un sistema giuridico che procura danni ai bambini noi siamo sempre qui dispostissime a confrontarci su tutto e a fare tesoro di qualunque informazione su cose che altrimenti non potremmo conoscere. Sperando in qualche modo di contribuire affinché si possa discutere serenamente su questi argomenti e si possa fare chiarezza per individuare soluzioni nell’interesse dei minori.
Per quanto ho potuto constatare io il “riconoscimento” della PAS porta degli effetti negativi. Purtroppo nei casi che conosco io di presunta PAS il minore non era finito dal padre o dalla madre alienati ma piuttosto in casa famiglia causando dei danni enormi al minore al fine dichiarato di “proteggerlo” dal genitore alienante. Inoltre in Liguria la PAS è “riconosciuta” da anni e vanta la più alta percentuale di bambini sottratti alle famiglie e messi in casa famiglia: il doppio che nel resto d’Italia.
Comincio subito con il dire che questo fenomeno esiste. Esistono bambini che sottoposti alla “manipolazione” del genitore “allocatario” (di solito la madre) sviluppano un’ostilità ingiustificata verso l’altro genitore. Ho seguito parecchi casi di questo tipo. Ho seguito anche vari casi di genitori alienanti che non avevano nessun effetto negativo sui figli, anzi i figli volevano comunque stare con il genitore alienato. Ho visto anche casi di figli che non volevano vedere l’altro genitore a causa di effettivi abusi e violenze senza alcuna manipolazione da parte del genitore “allocatario”. Ogni caso è differente e questo è il primo motivo per cui l’etichetta PAS è negativa perché impedisce di osservare la situazione. Se un bambino è ostile verso un genitore, l’etichetta PAS impedisce di vedere o di cercare il vero motivo di tale ostilità. È un po’ simile a quello che succede con l’iperattività dove un bambino troppo vivace viene “curato” con psicofarmaci. L’iperattività, come pure l’ostilità verso un genitore sono dei sintomi di qualcosa che sta alla base e non delle malattie. Se usata come campanello d’allarme o segnale per un’indagine è utile ma se diventa un cartello che nasconde il problema è negativa, soprattutto se poi le “soluzioni” sono così invasive come l’allontanamento del minore dai suoi affetti.
Veniamo dunque al vero problema che sta alla base. Il problema è la mancanza di scientificità della psichiatria e della psicologia. Una diagnosi psichiatrica e psicologica ha MENO probabilità di essere più corretta del lancio di una moneta. Sono inferiori al 50% perché a questo si devono aggiungere i pregiudizi e le opinioni soggettive del “professionista” mentre una moneta una volta su due è corretta. Il problema di base non è tanto l’esistenza o meno di questa “malattia”, ma il fatto di assegnare a psichiatri e psicologi il potere di decidere sulla vita dei bambini e della famiglia. Una volta che il caso viene messo in mano al CTU è come giocare alla roulette Russa, le probabilità di restarci secco (soprattutto in un sistema in cui non c’è contraddittorio e le perizie sono considerate un accertamento della “verità”) sono molto elevate. La discussione non dovrebbe essere quindi tra PAS sì o PAS no, ma tra CTU sì o CTU no.
Inoltre il tribunale dei minorenni, i giudici onorari e le funzioni giuridiche degli assistenti sociali dovrebbero essere rimossi. Il problema dell’amministrazione della giustizia è molto più importante della discussione sulla PAS e sospetto che chi devia l’attenzione su questo argomento lo faccia per impedire la soluzione del problema delle migliaia di bambini in casa famiglia allontanati dall’affetto di entrambi i genitori e delle centinaia di migliaia di bambini allontanati dall’affetto di uno dei due genitori.
Noi lo stiamo dicendo da anni.
Malattia, o disturbo, nella tradizione medica, è una condizione che comporta sofferenza soggettiva, cioè chi ha una malattia soffre di alcuni sintomi che lo portano a consultare un medico.
I bambini che avrebbero la cosiddetta PAS mostrano sintomi di sofferenza soggettiva SOLO quando sono costretti a relazionarsi col genitore da loro rifiutato; sintomi che vanno da uno stato d’ansia a vere e proprie crisi di panico che si presentano IN QUEL MOMENTO, nel momento in cui qualcuno li costringe a relazionarsi col genitore che loro rifiutano.
Stati d’ansia e crisi di panico che compaiono in seguito all’esposizione a una situazione temuta si chiamano tecnicamente, crisi di panico SITUAZIONALI, e sono caratteristiche, tipiche, specifiche, del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS o PTSD all’americana).
Al di fuori della situazione temuta sono bambini normalissimi, vivaci, socievoli, spiritosi, con ottimo rendimento scolastico, che frequentano con piacere numerose attività extra-scolastiche, dalla danza alle arti marziali, calcio, canto, ecc.
Dire che bambini con queste caratteristiche siano bambini malati è sbagliato.
Alle CTU cui ho partecipato in veste di CTP, ogni volta che ho contestato la PAS con argomentazioni tecniche ma soprattutto logiche i giudici hanno preso atto, in un caso annullando tutto (Cassazione), in un altro mettendo il CTU in condizioni di non poter parlare di PAS, in un altro mettendoci quasi un anno per dirimere la questione cercando di aggirare le mie controdeduzioni e comunque non riuscendoci, nell’ultimo, il più clamoroso, mettendo il CTU, che pure aveva giurato sui quesiti che prevedevano la PAS, nella condizione di dire che lui non conosce la PAS e non sa nulla di questa presunta sindrome.
Ah, ok. Perfetto. Allora inserisco anche questo dove si parla di proposta. Grazie!
Link al testo integrale dell’articolo di proposta di inclusione del disturbo PA,
Bernet, William , von Boch-Galhau, Wilfrid , Baker, Amy J. L. and Morrison, Stephen L.(2010) ‘Parental Alienation, DSM-V, and ICD-11’, The American Journal of Family Therapy
https://netfiles.uiuc.edu/r-ferrer/VisitationSchedule/PAS/BernetDSM5.pdf
Grazie mille per il link @dadtux
Lo inserisco nel post.
Nella stessa proposta del professor Bernet si si dava atto che il Disturbo da Alienazione Parentale (PAD) aveva ben poche probabilità di essere accolto come disturbo in senso tecnico. Per questo la proposta subordinata era di includerlo in appendice come “disturbo relazionale”.
E’ la stessa cosa che dice il portavoce del comitato dell’APA per il DSM che sostiene che “Si tratta di un problema di relazione tra genitore-figlio o genitore-genitore. E i problemi di relazione di per sé non sono disturbi mentali”.
Peccato che poco sotto si contraddica dicendo che è improbabile che venga inclusa come disturbo relazionale. Ma la questione non è ancora chiusa.
Un passo dell’articolo del professor Bernet è parzialmente tradotto in questa pagina, che contiene un link all’originale in inglese (si tratta di un articolo di oltre 70 pagine con una bibliografia di 630 titoli):
http://www.alienazione.genitoriale.com/alienazione-genitoriale-inclusione-nei-manuali-diagnostici/
Non importa come si chiami, non importa a chi si attribuisce il suo studio, ma il problema ESISTE.
Non vi piace il nome P.A.S.? E chi se ne importa di che nome gli si dà, sta di fatto che i bambini continuano a SUBIRE.
Sono stata spettatrice di alcuni casi di questo disturbo. Devo dire che solo l’assoluta perseveranza dei padri alienati in questione e l’amore incondizionato verso i loro figli sono stati fautori della risoluzione di questi casi
La diagnosi di questo disturbo affettivo – comportamentale si basa sulla osservazione di otto sintomi primari nel bambino:
1 ) Campagna di denigrazione, nella quale il bambino mima e scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore alienante verso l’altro genitore. In questo disturbo il genitore programmante non solo non mette in discussione questa mancanza di rispetto, ma può arrivare a favorirla.
2 ) Razionalizzazione debole dell’astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o anche solo superficiali.
3 ) Mancanza di ambivalenza, ulteriore elemento sintomatico, per il quale il genitore rifiutato è descritto dal bambino come “tutto negativo “, mentre l’altro viene visto come “tutto positivo”.
4 ) Il fenomeno del pensatore indipendente indica la determinazione del bambino ad affermare di essere una persona che sa pensare in modo indipendente, con la propria testa, e di aver elaborato da solo i termini della campagna di denigrazione senza influenza del genitore programmante.
5 ) L’appoggio automatico al genitore alienante è una presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante, in qualunque genere di conflitto si venga a creare.
6 ) L’assenza di senso di colpa, da parte del bambino;
7 ) Gli scenari presi a prestito sono affermazioni del bambino che non possono ragionevolmente venire da lui direttamente, come l’uso di parole o situazioni normalmente non conosciute da un bambino di quell’età per descrivere le colpe del genitore escluso.
8 ) L’estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato.
Un caso a me molto vicino presentava i sintomi 1 – 2 – 3 – 4 – 5 – 7. Il sintomo 6 si presentava in modo discontinuo e il sintomo 8 si presentava a fasi alterne tra il rifiuto e la ricerca per ottenere conforto.
La situazione è rientrata, fortunatamente grazie al temperamento del bambino, alla disponibilità all’ascolto delle problematiche del bambino da parte del padre e dalla capacità da parte della sua compagna di comprendere e cogliere quei segnali positivi che il bambino mandava restituendoglieli a specchio.
Sono occorsi 5 anni, lunghissimi se si pensa al carico emotivo che una situazione simile comporta, anni difficili dove per ogni passo in avanti ne venivano fatti due indietro.
C’è da aggiungere che il bambino in quel periodo era in carico ad una neuropsichiara infantile, la quale ne corso del dibattito istruttorio della causa di divorzio non ha lesinato attaccchi al padre e alla compagna di quest’ultimo indicandoli come responsabili e fautori delle problematiche del bimbo.
Oggi a distanza di tanto tempo osservando il legame tra il padre e il figlio quel tempo sembra davvero lontano e fortunatamente gli anni successivi sono pieni di episodi ricchi di amore comprensione tali da compensare il passato.