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Femminismo dell’ecologia, ecologia del femminismo

Questo è un vecchio scritto che risale alla fine degli anni ottanta in cui alcune compagne tentavano di esprimere un pensiero proprio sull’Ecofemminismo. Ora segnalato dalle Dumbles che lo riattualizzeranno. Ce lo segnalano a contributo del dibattito che nel corso del FemBlogCamp si farà su questo tema. Buona lettura!

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FEMMINISMO DELL’ECOLOGIA, ECOLOGIA DEL FEMMINISMO

Abbiamo più volte definito l’ecologia sociale come uno strumento di indagine sull’epistemologia del dominio, come un nuovo paradigma, come ‘metodo’ interdiscipilnare. .. .in sostanza, come una nuova sensibilità tesa a riordinare/ riorganizzare il mondo.

Abbiamo anche detto che l’ecologia sociale rappresenta in qualche modo un superamento del vecchio e asettico concetto di pluralismo politico e abbiamo detto quindi che l’ecologia sociale può essere il nuovo terreno in cui ‘ specie sociali’ diverse stanno tra loro in un rapporto di coesione, complementarietà, e scambio…. Dell’ecologia sociale ci interessa sviluppare in particolare quest’ultimo aspetto (sintetizzando momentaneamente la sua ampia portata rivoluzionaria), perchè è questo concetto, definito come unità nella diversità che in gran parte fa da sfondo alla collocazione dell’ecofemminismo in un modo di sentire ecologico. Gli elementi che legano il femminismo all’ecologia sociale e viceverea sono dunque il concetto di diversità e il bisogno di sintesi dove il secondo non sia la negazione del primo. Dettagliatamente questo significa che 1)un discorso ecologico non può ignorare le donne in quanto soggetti costantemente dominati sia dal punto di vista storico che geografico a ‘causa’ della loro diversità di sesso; così come non può non assimilarne la lotta antagonista (femminista) per l’affermazione della loro identità calpestata in secoli di società patriarcale, riconoscendone le ragioni contingenti, etiche e filosofiche. 2)Deve fare proprio l’aspetto autoplastico dell’essere femminile, non in termini di caratteristica indotta dalla società del dominio, ma quale strategia ‘morbida ’ di adattamento all’ambiente.

Dunque, sotto questo profilo, l’ecologia sociale non può non essere anche femminista. E scindere l’aspetto femminista vorrebbe dire riprodurre gli errori storici del marxismo la cui analisi economicista non vedeva il dominio di sesso anche al di fuori di quello economico per cui l’asservimento della donna nasceva con la proprietà privata e scompariva con essa. Enunciato che il femminismo ha dettagliatamente contestato introducendo nell’universo di queste categorie politiche ordinate/ordinanti (proletariato, masse, profitto…), un nuovo circuito che le fa apparire assai inadeguate; introducendo cioè un discorso sessuato.

Evidentemente soltanto le donne potevano avere lo stimolo e la legittimità storica per costruire i passaggi della loro liberazione; ma questi passaggi realizzati a partire dalla lettura del mondo quale risultato del dominio dell’uomo sulla donna, nel loro prendere forma di rivendicazioni pratiche e quindi di organizzazioni concrete (dai consultori e aborto autogestiti, dal salario al lavoro domestico alle azioni contro la violenza sessuale ecc…), non sono, nella maggior parte dei casi riusciti a produrre una corrispondente teoria organica di movimento; ciò che in sostanza corrisponde ad una nuova etica . Di fatto oggi, più che poterne ‘utilizzare’ i risultati positivi, del femminismo, in particolare di quello istituzionale, ne scontiamo gli effetti.

Ma ciò non ne nega la ragione , anzi, pone più pressante il problerna di riprendere la sua ‘parte forte’, di riconsiderarlo quale sviluppo di una strategia possibile contro il dominio . In questo senso, la sua natura ecologica è più che evidente; tantopiù che l’espropriazione della donna in quanto individualità sembra aver preso le mosse parallelamente alla depredazione della natura; da quando una strategia ‘forte’ di adattamento all’ambiente, un modo di agire alloplastico (gestito generalmente dal maschio), ha avuto il sopravvento ed ha trasformato l’ecosistema in funzione di se stesso con i risultati che oggi conosciamo. Il femminismo quindi, per parte sua non può non realizzare una profonda compenetrazione con l’ecologia sociale.

Essa svelando la natura del dominio costituisce il substrato su cui sviluppare rapporti ed azioni che non riproducano il dominio sulla natura e sulla donna . L’ecologia sociale è la base etica di cui il femminismo aveva bisogno per uscire dalla sua parzialità mantenendo la sua ragione.
Se l’ecologia è femminista, il femminismo deve essere ecologico.

LA DIVERSITA’ ORIGINALE: dalla diversità biologica alla disuguaglianza culturale

Nell’ecologia il termine popolazione è generalizzato fino a comprendere gruppi di individui appartenenti a qualsiasi specie di organismo. Quello che vediamo intorno a noi invece, il nostro mondo sociale, rende conto della dissociazione che abbiamo operato tra società e natura, a livello dapprima mentale e poi fattuale.

Si tratta sostanzialmente di un sistema di gerarchie ordinato per livelli dicotomici superiore/inferiore (legati successivamente a fattori biologici, economici o sociali…) in cui la supremazia dell’uomo maschio sulla donna sembra essere un dato costante della cultura umana, ancora più di quanto lo sia la supremazia dell’uomo sull’animale e sulla natura, tratto caratteristico della nostra cultura occidentale.

Dunque la diversità biologica che dà forma all’estetica e alla funzione sessuale si manifesta in relazioni di dominio a favore del maschio, ma non solo, anche “a parità di condizioni, lo status sociale della donna risulta sempre e comunque inferiore a quello dell’uomo”. (1)

Che cosa ha reso possibile lo sviluppo costante di questa assimmetria sessuale?
Le diverse ipotesi elaborate si possono ragruppare attorno al binomio natura/cultura. Secondo la posizione naturalista , la subalternità della donna è connaturata al dato biologico-riproduttivo ed è quindi naturale, e in quanto tale, ineliminabile.

Per quanti invece ritengono che si tratti di un dato di cultura piuttosto che di natura le principali correnti teoriche sono state le seguenti:

ipotesi rnarxista : già citata nell’introduzione secondo cui solo quando un cambiamento economico ha favorito il commercio e l’accumulazione di plusvalore, le donne sono state sottomesse.., hanno dovuto cedere la loro autonomia ai maschi capitalisti.

Per l’ipotesi post-freudiana , la subordinazione della donna è il risultato del processo di socia- lizzazione, per cui tra madre e figlia ci sarebbe un processo di identificazione, mentre il figlio maschio deve lottare per definire il proprio ruolo sessuale ed in ciò è portato a rifiutare e svalutare tutto ciò che sembra tipicamente femminile.

La posizione bio-comportamentista sostiene che è stato l’uomo cacciatore ad aver privato la donna di indipendenza; “…quando la caccia è divenuta importante, la forza fisica e la libertà dal1’impegno dall’ allevamento della prole hanno fatto si che l’uomo potesse monopolizzare, in un breve periodo di tempo le attività di approvigionamento e distribuzione della carne. Questo successo è dovuto ad alcune caratteristiche propriamente maschili: capacità spazio-visive, resistenza fisica, abilità ad inseguire la preda e, soprattutto, propensione alla collaborazione”. (2) Sul fronte della neurofisiologia, a partire da questa ipotesi e dalla osservazione di alcuni dati clinici si è cercato recentemente di elaborare una tesi (3) secondo cui, da questa forma orginaria di ‘divisione del ruoli’, la donna avrebbe svliuppato una minore specializzazione emisferica (mantenendo per esempio la facoltà di organizzare il linguaggio anche nell ‘emisfero destro del cervello), il che, sempre rimanendo nel campo delle ipotesi, le potrebbe consentire una maggiore possibilità di adattamento a situazioni pià complesse (nel senso di più differenziate) (4).

Indubbiamente la maggior pecca di queste ipotesi è la loro parzialità, la loro semplificazione se non la sfacciata curvatura culturale andro ed etno/centrica.

Bisogna però anche valutare l’antropologia fernminista . Anch’essa, in un certo senso, ha peccato di parzialità nel momento in cui, come osserva Roesella di Leo, essa si è occupata del potere solo nei termini della sua degenerazione in potere maschile, lasciando così un vuoto prospettico pericoloso che di fatto ha permesso, da un lato, lo sviluppo di miti quali il matriarcato, dall’altro, il permanere inalterato di situazioni di dominio.

Effettivamente il matriarcato indubblainente rappresenta un mito sviluppato in forrna speculare rispetto al dato costante del dominio maschile; ma esso non può essere così semplicemente liquidato soprattutto per il fatto che pone il problema dell’esistenza di una realtà organizzata non tanto in termini matriarcali quanto matrilineari. Ma per ‘scoprire’ questa realtà, bisogna attendere il contributo della corrente di antropologia libertaria, l’unica in cui il potere (il dominio) diventa una categoria pressochè assoluta di indagine.

Mettere in discussione questo come dato ‘naturale’ della società umana, significa contestare anche l’asimmetria sessuale ed intraprendere un cammino di indagine sulla sua epistemologia.
Il libro di Murray Bookchin, ‘L’ecologia della libertà’, ci dà una mano in questo senso.
Di fatto, sembra possibile supporre che fossero proprio le società matrilineari quelle che Bookchin definisce come società organiche; dimensioni sociali in cui il dominio come principio organizzatore non esisteva.

In queste società il mondo era percepito come un insieme composto da parti differenti indispensabili alla sua unità ed armonia; informate dal principio di interdipendenza (ecocomunità), dalla com- plementarietà dei ruoli in cui esisteva un bisogno di compensazione reciproca e non esisteva una distinzione tra casa e mondo (tra sè e ambiente). I compiti, finalizzati al mantenimento e alla riproduzione della specie erano il procacciamento del cibo (tribù di cacciatori) e la responsabilità. del riparo: dar da mangiare e crescere i figli, operazioni svolte dalle donne, direttamente legate alla sopravvivenza per il cui svolgimento fu necessario lo sviluppo di adeguate capacità logiche (5) che determinarono anche l’invenzione dell’orticoltura e dell’agricoltura.

Con ciò, da un lato torniamo all’origine del problema, cioè a chiederci, perchè ciò che era così egualitario è diventato asimmetrico a discapito della donna; dall’altro invece, si apre un nuovo spiragilo di indagine assai fecondo dal punto di vista propositivo.

E’ indubbiamente difficile ricavare tutte le motivazioni del passaggio da una società organica a quella che Bookchin chiama società gerarchica; quello che di più ci interessa sapere in questo ambito è che la società umana poteva anche svilupparsi diversamente. Come?

Torniamo alle donne e all’orticoltura. Esse, in sintonia con i ritmi naturali (e dire ciò non significa riprodurre le strumentalizzazioni degli strutturalisti o del sociobiologi), sono indubbiamente state il soggetto che ha modificato l’ambiente circostante in modo molto meno violento di quanto abbia fatto l’uomo maschio modificando se stesse relativamente a circostanze ambientali già modificate.

La loro è stata una strategia autoplastica e indubbiamente trova una delle sue massime espressioni nell’orticultura quale intervento delicato e sensibile sull’ambiente da cui si ricava beneficio valorizzando le potenzialità della terra senza impoverire e snaturare la sostanza.(6) E’ da questo aspetto che si diparte una questione ecologica-pratica assai importante: pensare in termini di “decentramento drastico dell’agricoltura che renda possibile coltivare la terra come un giardino equilibrato per diversificazione di flora e di fauna” (7) significa rimettere in discussione la separazione tra città e campagna, la tecnologia fino ad ora adottata, le istituzioni che l‘hanno favorita, le relazioni sociali che vi sono organizzate intorno, il tipo di lavoro, la sua organizzazione, persino lo svago, il tempo libero, il divertimento e l’arte…… insomma significa puntare il dito contro il tipo di adattamento alloplastico dell’uomo che ha modificato il mondo esterno nei termini in cui lo conosciamo per rendere inutile la sua modificazio psichica.

LA DISUGUAGLIANZA CULTURALE: conseguenza logica della società gerarchica.

Nei lunghi millenni che separano le prime comunità orticole dalle ‘grandi civiltà’ antiche, assistiamo alla comparsa di paesi, città ed infine di imperi “di uno spazio sociale qualitativamente nuovo nel quale il controllo collettivo della produzione viene soppiantato dal controllo elitario, le relazioni di parentela dalle relazioni territoriali e di classe, le assemblee e i consigli degli anziani dalle burocrazie statali.” (8) Questo, nella nostra ‘civiltà’ occidentale, dalla nascita dello Stato, al Medioevo, alla società capitalista, socialista, postindustriale….; un sistema convalidato dalla religione, dalla morale, dalla filosofia.

La divisione della società in due sfere sostanziali, quella pubblica e quella privata, e la deteminazione dei ruoli diversificati tra maschi e femmine, ha radicalmente cristaillzzato le competenze separate dei due sessi, tanto che la specializzazione nelle rispettive competenze ha fatto sviluppare in modo indotto caratteristiche diverse che vengono identificate con maschile e femminile. Così il maschio, competente nella sfera pubblica della società, ha fatto proprie le caratteristiche alloplastiche dell’individuo, mentre la donna, interessata alla sfera domestica, ha fatto proprie le caratteristiche autoplastiche. Questo processo di differenziazione ha provocato dei meccanismi sociali che, plasmando le personalità secondo gli attributi psicologici ‘caratteristici’ dei due sessi, riproducono l’asimmetria sessuale anche nelle società contemporanee. Specializzato nella sfera pubblica, l’uomo si è riservato preminentemente il ruolo di elaboratore culturale, negandolo alla donna. Appropriatosi di questo’diritto’, in campo filosofico, l’uomo ha avuto bisogno di definire se stesso e la donna: questa dunque doveva essere un campo di indagine speculativa che permettesse all’uomo anche la determinazione di se stesso. Così nella ricerca, il rapporto tra mascbile e femminile venne inteso analogamente a quello tra essere e non-essere, tra forma e materia, dove la rnateria non ha caratteri propri, ma solo quello di essere ‘privazione’ di essere, di forma; la femminilità di per sè non esiste, ma è sempre in funzione di qualcos’ altro, essa non ha caratteri propri se non quelli guadagnati negativamente dall’assenza di caratteri maschili.

Nello stesso tempo, l’identificazione di maschile con umano ha portato alla conseguenza che la donna può essere umana solo attraverso l’uomo, dunque attraverso la propria negazione: la donna è esclusa dal mondo civile e sociale della cultura e può prenderne parte solamente riproducendo gli stessi mezzi espressivi maschili.

Questa definizione della donna fatta dal maschio, detentore della cultura ufficiale, è stata profondamente condizionante; la donna oggi, anche se non subisce più apertamente il dominio maschile, continua ad esserne subordinata, soprattutto attraverso quei meccanismi socioculturali che ormai fanno parte integrante della nostra formazione. Individuare questi meccanismi e rimuoverli, sia da parte del maschio che della femmina, è la premessa indispensabile per poterci intendere sul contenuto dell’ecofemminismo: come soetiene Bookchin “la gerarchia è nascosta nel profondo della psiche e perciò tutta la ricchezza dei significati della parola libertà viene tradita nel corso dei processi di socializzazione e anche dalle nostre più intime esperienze. Questo tradimento si esprime nel modo in cui vengono trattati i bambini e le donne, nelle relazioni interpersonali…” (9) Abbiamo visto finora come l’uomo ha avuto modo di definirsi attraverso la negazione della donna; ad un altro livello, non più filosofico, ma rispetto all’organizzazione sociale, l’uomo si definisce in base al ruolo che ha avuto modo, più o meno incondizionatamente, di scegliere nell’ambito pubblico; la donna invece, come oggetto (e non soggetto) sociale, viene definita in base al rapporto di parentela che ha con l’uomo, subendo la impostazione dell’unico modello di vita socialmente accettato: il matrimonio (cioè il passaggio legale dalla patria potestà alla potestà maritale) e la maternità.(10)
Il ruolo di subalternità che la donna ha avuto attraverso 1 ‘assimmetria sessuale, ha naturalmente condizionato anche la sua istruzione: poichè i compiti istituzionali che la società le riconosce sono procreare, allevare figli, svolgere attività di sussistenza, ma solo entro un orizzonte domestico con scarsi contatti esterni, non aveva bisogno di essere istruita. Anche quando la istruzione da privilegio di. sesso diventa privilegio di classe, la diversità viene mantenuta, ma verrà recuperata nei contenuti dell’insegnamento. Vengono infatti concesse alla donna tutte quelle conoscenze ritenute politicamente e socialmente neutre ma aggraziate e decorative che hanno lo scopo di accrescere il valore di acquisto della potenziale sposa e rafforzare l’immagine che la donna aveva di sè (sempre comunque vista in prospettiva della competitività tra le singole donne).

Ma nella tradizione vediamo che anche se la donna è stata esclusa dalla scrittura, ha saputo sviluppare una sorta di anti-scrittura sfruttando gli oggetti domestici che le erano più familiari, soprattutto nella sfera magica e sacrale, quindi religiosa. Il ruolo che la donna assume nella religiosità popolare, le si ritorcerà comunque contro: viene condannata dalla religiosità ufficiale che concede al solo maschio il ruolo di dotto e sacerdote. Se ha scrittura è stata prerogativa maschile, la donna ha perfezionato ha sua capacità di narrare attraverso la tradizione orale e ha contributo, attraverso la capacità di pensiero astratto, all’elaborazione di idee religiose (V. ha larga prevalenza di profetesse e di sciamanesse celtiche e nordiche). Ma quello che è più importante e che indubbiamente va riconsiderato in chiave libertaria ed ecosociale è che, attraverso la tradizione orale, he donne hanno permesso che “l’immaginazione, stimolata dalle canzoni e dalle fiabe materne, si andasse lentamente formando attorno ad una creatività concepita come espressione della bellezza. Dunque non è affatto necessario che l’individualità l’autonomia e la volizione si esprimano in forma di dominio; possono benissimo esprimersi in forrna di creatività artistica. (….) Oggi il vero problema posto dalla tradizione storica è la funzione dell’immaginazione nel darci direzionalità speranza e il senso di un posto nella natura e nella società”. (11)

Indubbiamente l’ ‘arte e 1 ‘immaginazione hanno un ruolo potenzialmente liberatorio dove riescono ad esprimere quanto c’ è di autenticamente umano, utopistico e libero nella natura umana.
La donna è sempre stata considerata il lato meno razionalizzato dell’umanità, ma “la fantasia, l’arte, 1’ immaginazione, l’illuminazione, l’intuizione, l’ispirazione… sono tutte realtà a pieno diritto che possono anche implicare risposte corporali a livelli che sono stati meticolosamente preclusi alla sensibilità umana dai canoni formali di pensiero.

Questa cecità rispetto a vaste aree d’esperienza non è semplicemente il prodotto di un’educazione formale; è il risultato di un’inesorabile addestramento che incomincia nell’infanzia e attraversa tutta la vita. Polarizzare un’area di sensibilità contro un’altra può ben essere prova di un’ ‘irrazionalità’ repressiva che si è mascherata da ragione…” (12)
Ciò che oggi ci manca, soprattutto perchè lo strumentalismo tiranneggia il nostro apparato corporeo, è la capacità di sentire la ricchezza di soggettività che c’ è in noi e nel mondo non umano intorno a noi. In qualche misura questa ricchezza ci giunge tramite l’arte, la fantasia, il gioco, l’intuizione, la creatività, la sessualità.

ECOFFEMMINISMO: una strategia parallela per riordinare il mondo, per rifondare la ragione.

L’ecofemminismo, nell’ambito dell’ecologia sociale, si colloca come una strategia parallela, (13) cioè come una serie di analisi, proposte, intuizioni e sensibilità organizzate a partire da un argomento specifico mirato a sradicare un aspetto della tentacolare diramazione del dominio: quella di un sesso su un altro.

L’ecofemminismo si regge quindi sulla base di un discorso sessuato non gerarchico, -propone la donna come soggetto storico della sua liberazione, -valorizza lo sviluppo in positivo del suo carattere autoplastico; -introduce la necessità di una nuova epistemologia tra donne affinchè esse stesse non riproducano le gerarchie di sesso di cui sono succubi, -rimette in discussione l’idea stessa di ragione che ha imposto una morale o voluta da Dio o organizzata dallo Stato sostenuta da un conclamato sviluppo scientifico i cui risultati hanno senso in una logica di dominio e manipolazione, ma che rapportati a parametri di utilità reale sono, a dir poco, allucinanti. L’ecofemminismo in sintesi, smaschera il modello sociale nel suo aspetto di isomorfismo dell’essere maschile quale ‘agente’ di dominio.

Introdurre un discorso sessuato significa porre in modo tangibile il problema della diversità e del suo sviluppo non gerarchico. Fino ad ora, come abbiamo osservato, il codice maschile si è espresso in tutta la sua prepotente arroganza omologatrice (in ciò che si vede, si sente, si scrive, si legge…). Non si tratta evidentemente di ribaltare i termini della questione; si tratta di chiamare le ‘cose’ con il loro nome.

la tendenza del nostro tempo va palesemente in senso contrario alla diversificazione ecologica” (14), ed è andato in senso tragicamente contrario alla diversità sessuale; ha relegato il femminile ad un triste ruolo subalterno, lo ha negato e represso come possibile espressione differenziata in sog- getti fisicamente maschili condannando uomini. e donne ad un’unica sessualità, ad un unico ruolo. Solo un discorso sessuato, per chi della propria sessualità è stato espropriato, può rappresentare il fondamento di una nuova unità…., lesbiche, omosessuali, transessuali, travestiti.. . rappresentano la ‘rivendicazione’ di una sessualità negata; sarebbe triste che ciò che si fa emergere venisse di nuovo consegnato nelle mani dello Stato perchè lo regolamenti con nuove leggi, riproducendo così tutti quei meccanismi che proibiscono, poi un poco concedono, se concedono controllano, quando controllano condizionano e condizionando veicolano ed espropriano di. nuovo. Ciò pone direttamente il problema di quanto sia importante il principio della lotta autogestita e delle proposte e del risultati non istituzionalizzati, quindi, relativamente ad un discorso ecofemminista è fondamentale che la donna sia il soggetto storico della sua liberazione. La storia del femminismo dimostra come questo abbia ceduto gran parte delle sue più che giuste rivendicazioni in gestione allo Stato il quale ne ha snaturato i contenuti (il che non poteva essere altrimenti) rivoltandoli contro le donne. Vale qui la pena di valorizzare tutto il lavoro dell’AED femminismo come unico gruppo che ha retto con una seria autogestione femminista dal 1970. La sua Piattaforma di programma del 1984 indica molto chiaramente gli ambiti verso cui si dovrebbe indirizzare l’azione autogestita delle donne e il loro intervento critico, che sono poi gli ambiti in cui di più sono state espropriate della loro identità. Ma torniamo alla valorizzazione del carattere autoplastico che fino ad ora abbiamo considerato come azione morbida sull’ambiente. Non si tratta solo di questo. Essere autoplastico significa anche essere autoriflessivo; da un punto di vista della soggettività, i maschi lo sono poco, le donne lo sono, ma con una deformazione affettiva che non ne permette un’utilità reale.

Essere autoriflessivi soggettivamente e politicamente è fondamentale; passa inevitabilmente attraverso la conoscenza del sistema nervoso, quindi la decodificazione di tutti quei meccanismi socioculturali che inducono inibizione dell’azione ecc… Volendo dare un’indicazione pratica, l’assimilazione del carattere autoriflessivo da parte del maschio potrebbe corrispondere al mettersi in discussione in quanto riproduttore di dominio perchè possa effettivamente passare ad un’azione liberatoria anche per se stesso. Ciò non significa nè che deve appropriarsi delle rivendicazioni delle donne, nè che deve rimanere in una passività annichilita ma che deve sviluppare una posizione critica verso l’evidenza oggettiva dello sfruttamento pratico-simbolico e una sensibilità attiva interpretabile in termini di solidarietà verso le donne e quindi verso il femminismo nella sua esplicazione pratica. Tutto ciò è estensibile anche ad una dimensione politica; la storia insegna che molti collettivi o gruppi politici che non hanno saputo sviluppare una pratica di socioanalisi interna non sono riusciti a valutare in termini complessi ciò che stavano facendo, cadendo così in crisi prive di sbocchi, dalla portata non indifferente.

Per le donne, il problema assume un aspetto diverso. Indubbiamente esse sono molto più disposte a compiere un’azione su se stesse, ma la loro dimensione sembra essere piuttosto quella dell’affettività. Siamo daccordo con L. Irigaray (15) quando sottolinea questa diversità tra uomo e donna con i concetti di abitare e percepire. L’abitare sarebbe la dimensione etica dell’essere uomo; il suo significato è quello della ‘costruzione’ di luoghi in cui sia rispecchiata la sua identità: grotte, capanne, donne, città, linguaggio, concetti, teoria… La percezione, come dimensione femminile è l’essere aperti, senza chiusura, senza una denominazione o un concetto che definisca.

Ma ciò che poteva essere disponibilità, generosità, collaborazione, adesione e compartecipazione all’universo diversificato, si è sviluppato a senso unico nel labirinto della dipendenza affettiva. Ciò in situazioni di dominio comporta effetti sogettivamente devastanti; la percezione si è in un certo senso, chiusa sull’affettività e questa è diventata gli occhi con cui si guarda il rnondo. L’affettività corrisponde in una qualche misura alla soggettivizzazione dei fatti, alla loro assimilazione diretta senza il filtro della razionalità. Tutto ciò rende estremamente deboli ed essendo ulteriorinente castrante per lo sviluppo della capacità alloplastica, riproduce condizioni di subalternità.

Allora, una possibile indicazione potrebbe essere questa: trasformare l’azione alloplastica in azione non gerarchica tramite l’introduzione del carattere autoplastico. Valorizzare il carattere autoplastico quale atteggiamento alla modificazione di sè liberato però dalle catene dell’affettività a sua volta trasformata in tensione desiderante piuttosto che in bisogno (che rappresenta sempre una distorsione violenta del desiderio). Arriviamo così ad un altro punto: la necessità del l’introduzione di una nuova epistemologia tra donne. Perchè non ci sia dipendenza affettiva ci vuole un buon livello di autonomia soggettiva; quindi non solo disponibilità per l’altro ma soprattutto amore per sè. L’amore per l’unità presuppone l’amore per la diversità, ma l’amore per la diversità presuppone l’amore per il medesimo cioè per ciò che non si percepisce come diverso.

Vale quindi la pena di indagare il sottobosco dei rapporti tra donne (tra medesimi) condizionati dalla logica del dominio.

L’amore, l’affetto, la solidarietà, la percezione tra donne, è solitamente impedita da stime quantitative , calcoli assillanti inconsci o nò che impediscono la fluidità degli affetti. L. Irigary (16) sottolinea: “come te, anch’io, io di più (qualche volta meno), sono comparativi, frutto di valutazioni in base a parametri che non sono i loro… non c’ è con te in questa economia…, non è un’ altra donna che viene amata ma il luogo che essa occupa, che crea e che si tratterebbe di prenderle invece di rispettarlo…”. Oppure si tratta di una specie di ‘comunismo primitivo ’ tra donne in cui delle parole che si sentono spesso passare da una donna a un’altra è -come tutte le altre-. Qui non si tratta più di una prova d’amore ma di una sentenza che impedisce a una donna di uscire da un polo indifferenziato… usate talvolta da alcune per impedire a una di loro di affermare la propria identità. Senza saperlo nè volerlo, solitamente le donne costituiscono il mezzo più terribile della loro stessa oppressione esse distruggono tutto ciò che emerge dalla loro condizione indifferenziata, facendosi l’agente del loro stesso annientamento. . . in cui 1 ‘uomo e 1 ‘umanità attingono di che mangiare, abitare, vivere o sopravvivere gratuitamente”.

Un altro circolo vizioso da spezzare. Come? Bisogna che si crei un’epistemologia fra donne. Non riproponiamo il separatismo che il femminismo aveva realizzato più come fuga che come strategia transitoria necessaria a realizzare una maggiore sicurezza dialettica con il mondo circostante; proponiamo un simbolico che si realizza sul linguaggio, che ne sconvolga la sintassi sedicente neutra (ma maschile) con l’immissione di altri circuiti…, ma soprattutto proponiamo azioni che realizzino un nuovo ordine etico , che interrompano quello imperante che ha voluto le donne custodi della casa e dei bambini in nome di beni, leggi, diritti e obblighi dello Stato e dell’altro.

Su questi rapporti drammaticamente chiusi tra la competizione e 1 ‘appiattimento indifferenziato si annida la speculazione maschile che su questa debolezza delle donne troverà sempre buon gioco per imporre ancora una volta le sue regole.

Un tagilo netto alla logica che guida questi rapporti e alla speculazione che permette al maschio di riprodursi su di essi è la condizione per riuscire a ripristinare le condizioni per un’azione ecofem- minista ed ecologica.

Volendo concludere, vorremmo che questi, che sono ancora solo degli ‘spunti’ per lo sviluppo di un discorso e di un relativo movimento ecofemminista più articolato, fossero colti come lineamenti (anche se frammentari) di un nuovo “modello” che, proponendo:

-un agire autoplastico verso l’ambiente e verso se stessi,
-esaltando la diversità quale fondamento etico di una nuova unità,
-valorizzando l’immaginazione e la creatività quale ricchezza di soggettività nella percezione del mondo umano e non umano,
-dando una serie di indicazioni fondamentali per una dimensione ecologica soggettiva…

si muove del tutto in senso contrario alle caratteristiche di fondo del nostro universo sociale in cui un materialismo meccanicistico, uno spiritualismo altrettanto meccanicistico, hanno tagliato di netto l’idea dell’interazione, della reciprocità, della complementarietà dell’interdipendenza tra cose e persone, hanno specializzato, semplificato, escluso. Abbiamo sommariamente illustrato i punti attraverso i quali il doininlo, in un suo aspetto particolare, si è andato sviluppando nel corso della storia sostenuto e legittimato dalla filosofia e da una opportuna organizzazione sociale; abbiamo verificato quale assurda curvatura abbia indotto nei rapporti tra soggetti che dovrebbero collaborare invece che competere.

Sostanzialmente, quello che sapevamo già, cioè che non esiste una ragione del dominio, ora ha contorni più nitidi, delinea la sempre maggiore necesssità dello sviluppo etico-pratico di una ragione che non sia fondata sul dominio.

L’ecologia sociale, e con essa l’ecoffemminismo, ne sono le basi.

NOTE

(1) Rossella Di Leo ‘Le fonti del Nilo’, su Volontà N°3, 1983 Pag.21

(2) Sarah Blaffer Hrdy ‘La donna che non si è evoluta’, Franco Angeli, Milano 1985 pg.21

(3) Rossella Rucco ‘Differenze sessuali nella lateralizzazione emisferica’ 1985

(4) Va rilevato inoltre, che a partire da un terreno del tutto diverso, che si potrebbe definire come premessa di una ‘filosofia ecologica’, era già stato elaborato un pensiero che si sviluppava in questo senso; si tratta di un manifesto di Anne Marie De Vilaine il cui titolo era “Donna e/è ecologia” apparso su ‘Nucleare? No!grazie’, ancora del 1977. Essa in particolare osserva: “La donna sarebbe un essere più complesso psicologicamente e fisiologicamente, più differenziato e più altamente evoluto, e cioè più adatto a situazioni più complesse”.

(5) Volendo ricollegarci all’ipotesi bio-comportamentista precedentemente citata, appare in validato il discorso secondo cui lo sviluppo dell’intelligenza sia un fatto legato al sesso, ma anzi, ‘la sofisticazione del linguaggio che porta allo sviluppo della capacità simbolica, è indispensablie tanto allo sviluppo delle battute di caccia quanto all’organizzazione della vita domestica’ (socializzazione dei bambini, invenzione degli utensili, trasporto e conservazione del cibo). Sally Slocum citata da R. Di Leo, op. cit., pg.33.

(6) Murray Bookchin ‘L’ecologia della libertà’, Antistato, Milano 1984 pg. 107

(7) Bookchin, op. cit. pg.76

(8) Bookchin, op. cit. pg. 180

(9) Bookchin, op. cit. pg. 510

(10) R. Di Leo, op. cit. pg. 20

(11) Bookchin, op. cit. pp. 474—475

(12) Bookchin, op. cit. pg. 47

(13) Parallela, per così dire, ad altre tematiche specifiche quali p. es. l’antimilitarismo, lo sviluppo delle tematiche nazionalitarie, la lotta contro la vivisezione….

(14) Bookchin, op. cit. pg. 77

(15) Luce Irigaray ‘Etica della differenza sessuale’, Feltrinelli, Milano 1985

(16) Irigaray, op. cit. pp. 82, 84

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