di Elisabetta P.
“Spettabile Direttore,
la presente per esprimere sconcerto e riprovazione in merito all’articolo, pubblicato sull’edizione online del 22/08/2012 a firma Nino Cirillo, sullo stupro perpetrato ai danni di una donna nei pressi di Torpignattara, a Roma:Mi riferisco innanzitutto ad alcune considerazioni di carattere personale e svilenti della dignità della vittima, formulate dall’articolista:
“Sono quelle sere in cui la vita non ti fa sconti, ma lei l’ha realizzato troppo tardi. Altrimenti non avrebbe ingaggiato una stupida lite, mossa da una stupida gelosia, con l’uomo che da qualche tempo la ospitava, che l’aveva strappata a un’esistenza fin troppo randagia.“
Si evince già da questa frase iniziale, tra la narrazione e la cronaca, che se la vittima fosse rimasta tranquillamente a casa e avesse rispettato il coprifuoco a cui le donne loro malgrado devono sottostare, non sarebbe stata violentata. Questa è una delle tante usurate modalità in cui si celebrano anzitempo i processi sui giornali, e come spesso accade nei tribunali, la vittima viene fatta salire sul banco degli imputati al fine di stigmatizzarne eventuali abitudini e stili di vita che dovrebbero rimanere privati, demolendone la credibilità.
L’articolista dovrebbe astenersi dal definire “stupida“ la lite che ha spinto la donna ad uscire di casa considerato che evidentemente la stessa non l’ha ritenuta tale. Non solo; vorrei sperare che una donna non debba giustificarsi, e tantomeno che tali giustificazioni siano sottoposte al vaglio di un quotidiano, per essersi allontanata dalla propria abitazione in piena notte o in tarda serata.Altro giudizio meramente personale è quello relativo alla gelosia della donna, nuovamente definita “stupida“. Faccio notare, a titolo informativo, che mai mi è accaduto, leggendo testate nazionali e locali, di trovare tali termini accostati alla gelosia maschile, che secondo i media sarebbe causa di morti violente e di aggressioni; spesso al contrario gli articoli sono connotati da un tono di benevola comprensione verso “l’emozione” che miete vittime in misura tale da suscitare la viva preoccupazione dell’ONU.
Trovo poi di una gravità inaudita che l’articolista arrivi a pronunciarsi sullo stile di vita della vittima scrivendo che la sua era un’esistenza “fin troppo randagia“. Anche se la donna fosse stata una mendicante, elemento che non dovrebbe essere in alcun modo pertinente alla violenza inflitta, il termine risulterebbe quantomeno inadeguato poiché inerente alla sfera animale e non umana, e la deumanizzazione dell’individuo viene perseguita anche attraverso il linguaggio.
Ancora: “Altrimenti non si sarebbe precipitata per le scale, sbattendo furiosa la porta, per andare a rimuginare su una panchina di un parco spelacchiato, all’una di notte“Superfluo dichiarare – immagino che l’articolista abbia provveduto ad ascoltare eventuali testimoni per poter scrivere delle emozioni esternate dalla donna – che la porta sia stata sbattuta furiosamente. Il quadro di una lite, precedentemente banalizzata e sminuita dall’articolista stesso, non lascia adito a dubbi circa il travaglio interiore che può aver attraversato la donna, considerato che la spinge ad allontanarsi dall’appartamento e a recarsi nel parco adiacente. Tralascio di commentare l’uso dell’aggettivo “spelacchiato” per descrivere evidentemente un parco dalla vegetazione poco rigogliosa o comunque in stato di abbandono, perché esulerebbe dai motivi che mi hanno indotta a scriverle.
Ho dovuto rileggere più volte, nell’incredulità, tale affermazione: “...Franca se vogliamo, con i suoi 48 anni carichi di fallimenti. “.L’articolista si lascia andare ad un durissimo, arbitrario, giudizio sul vissuto della donna. A riguardo vorrei di nuovo far presente che eventuali “fallimenti”, o “successi” conseguiti, non dovrebbero essere oggetto di una cronaca di stupro.Mi chiedo poi, in ordine a quale scala di valori e in base a quali elementi oggettivi, l’articolista sia giunto a tale conclusione, ma soprattutto perché voglia renderne partecipi i lettori e le lettrici.Ennesima incursione nella vita privata della donna: “ Tre figli avuti da due uomini -il più grande ha già 30 anni-, un divorzio, il lavoro da donna delle pulizie appena perduto…”. Ennesimo interrogativo da parte mia: quale rilevanza ha nella cronaca di una violenza sessuale il fatto che i figli della donna abbiano padre differente? Oppure l’articolista ritiene rilevante che la donna, non solo abbia avuto figli da due uomini, ma che il maggiore di loro abbia “ già 30 anni “? Perché rimarcare l’età avanzata del primo figlio rispetto all’età della donna se non per sollecitare nel lettore e nella lettrice un giudizio moralistico sulle abitudini sessuali della donna? E quanto pesa un giudizio moralistico sulla vittima in un caso di stupro? Purtroppo ancora molto nell’ Italia di oggi, sia in ambito giudiziario, sia nella percezione dell’opinione pubblica, che articoli come questo hanno la capacità di condizionare.Vi chiedo d’ora in poi di usare un linguaggio e contenuti appropriati e responsabili che non ledano la dignità e la riservatezza di chi ha subito o rischiato di subire un crimine indicibilmente atroce.Mi permetto inoltre di inviarvi un prezioso documento dell’Ordine dei giornalisti del Trentino-Alto Adige, in relazione proprio al tema trattato, sperando possa essere per i professionisti e le professioniste de Il Messaggero un’opportunità di riflessione e di rinnovamento dell’approccio giornalistico alla violenza di genere.“Trento, 25 luglio 2012Ai direttori e alle direttrici delle testate ed emittenti del Trentino-Alto Adige/Südtirol
Cari direttori e direttrici,
Il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti del Trentino Alto Adige esprime a tutti i colleghi la sollecitazione ad utilizzare nel loro lavoro un linguaggio che sia attento e non lesivo della sensibilità dei lettori e degli ascoltatori soprattutto nel trattare argomenti legati alla cronaca nera. In particolare nell’affrontare notizie, purtroppo sempre più frequenti, che riguardano violenze subite dalle donne.
Nell’esprimere questa sollecitazione il Consiglio dell’Ordine ha tenuto conto delle osservazioni pervenute da parte delle operatrici deiCentri antiviolenza e Casa delle donne, dal movimento locale di Se Non Ora Quando, a seguito delle cronache del recente omicidio di una donna nel Meranese. Cronache che in qualche caso sono state giudicate “irrispettosa sulle presunte abitudini sessuali della vittima” e contenenti “considerazioni moralistiche di stampo sessista sulla sua sfera privata”.
Il Consiglio dell’Ordine ritiene l’alto numero di “femminicidi” in Italia (gli omicidi in cui le donne vengono uccise dai loro compagni o ex compagni, perché si oppongono alla loro volontà) un dato sociale allarmante, frutto di pregiudizi sociali e culturali che i giornalisti possono e debbono contribuire a rimuovere.
Intende quindi accogliere la sollecitazione, che arriva dalla società civile, di un’assunzione di responsabilità da parte dei media nel fare informazione con maggiore rispetto alla dignità femminile e senza differenze moralistiche tra uomo e donna. Una sollecitazione in questo senso è espressa anche nel Decalogo della IFJ (International Federation of Journalists), sottoscritto anche dalla Fnsi nel 2008 a Bruxelles.
Consapevole che i salti culturali non si fanno con atti prescrittivi e censori ma con la buona volontà, il Consiglio invita pertanto i colleghi e le colleghe, i direttori e le direttrici, a porre maggiore attenzione e controllo all’uso di un linguaggio rispettoso e non sessualmente discriminante nell’informare sui fatti di cronaca che attengono allo stalking, alla violenza e alle uccisioni di donne.
Il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti
del Trentino-Alto Adige/Südtirol”
Fonte:Distinti saluti.
E.P.”