Leggo e rileggo da giorni questo articolo e continuo non capire. Non capisco il nesso fra la medaglia d’oro e la violenza subita dalla ragazza. Non capisco il perché del titolo volutamente shockante che mette in relazione le due cose, e non capisco come avrebbero titolato il pezzo se la Harrison non avesse vinto – ma solo partecipato – alle Olimpiadi.
La medaglia è considerata un risarcimento della violenza subita da bambina?
Pur comprendendo lo sforzo immane che deve esserle costato continuare a praticare quello sport, non credo assolutamente che l’aver vinto una medaglia olimpionica possa cancellare un’esperienza devastante come una violenza sessuale, subita per giunta da bambina.
Oppure la vittoria in quello sport ha un valore simbolico particolare? E in questo caso, perché lo avrebbe: perché si tratta di un’arte marziale del medioevo giapponese, e quindi mette in relazione l’evento con il trattamento delle donne giapponesi dell’epoca? Ma allora sarebbe stato il caso di parlarne più dettagliatamente! Oppure la medaglia e lo stupro sono in relazione perché si tratta di uno sport praticato anche per difesa personale? Ma allora avrebbe avuto più valenza simbolica una vittoria nel Win-Sung, oggi utilizzatissmo per questo scopo, e che leggenda vuole esser stato inventato da una donna per adattare alle donne il celeberrimo Kung Fu!
Non capisco, insomma, se la medaglia conquistata dall’atleta è in sostanza il simbolo di una ‘’rivincita’ sul trauma della violenza subita (come a dire: “guardate come si fa a riprendersi da un abuso sessuale: bisogna vincere una medaglia olimpionica, e dipende tutto da voi!”) – e in tal caso sarebbe doppiamente aberrante perché demanderebbe a soluzioni biografiche quello che è un problema sistemico (la violenza sessuale è fisiologicamente connaturata ad un sistema sessista e autoritario) e perché nasconderebbe un messaggio subliminale di ‘victim blaming’ (se non riuscite a superare il trauma di uno stupro con un trofeo di grande valore è solo colpa vostra). Non capisco, in alternativa, se è invece un modo per istituire una specie di giustizia risarcitoria sportiva (come a dire: “questa atleta ha vinto perchè era stata violentata da bambina proprio in quello sport nel quale ha riportato la vittoria”). Nel qual caso sarebbe un modo vigliacco di sminuire il successo riportato dalla Harrison.
In ogni caso non mi torna. Non mi torna mettere in relazione una violenza subita e una vittoria sportiva, perché sono davvero grandezze incommensurabili, e non mi torna che un articolo su una vittoria sportiva esordisca con “Violentata dal suo allenatore da bambina”. Lo trovo di una grossolanità giornalistica e mancanza di rispetto inaccettabili.
Se la Harrison non avesse vinto l’oro, avrebbero forse titolato: “Violentata dal suo allenatore, non riesce neanche a vincere il bronzo alle Olimpiadi?”
@Rete delle reti: Francamente continua a non sembrarmi così chiaro anche in virtù della frase che riporti nel virgolettato: i demoni erano dell’allenatore/stupratore, non certo della Harrison bambina!
La Harrison potrà aver avuto degli incubi (ma bisognerebbe pararne con lei) in conseguenza del trauma subito, ma all’autore questo termine non è venuto in mente ed ha optato per “demoni”, che nella nostra cultura è intriso di valenze simbolico-religiose negative, e quindi subdolamente colpevolizzanti.
No, continuo a non trovarlo chiaro, e continuo a non trovare giustificazioni per comparare uno stupro su un minore con una medaglia olimpica.
Quanto poi al “ce la puoi sempre fare” ecc., mi piacerebbe essere d’accordo, ma non posso esserlo di fronte all’approccio sciatto e superficiale con cui il tema viene affrontato. Il messaggio che si legge fra le righe, se proprio vogliamo essere generos*, è solo quello di un sensazionalismo mediatico a tutti i costi con banalizzazione del fenomeno al seguito. Non sarà un’eccezione,sicuramente, ma sarebbe il caso di non farlo diventare una regola…
il messaggio è espresso in maniera piuttosto chiara: “ha sconfitto i suoi demoni”.. vuole dire ce la puoi sempre fare, devi avere fiducia in te. Mi sembra.