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Triumph: da sempre vicina alle donne? Solo alle consumatrici, please!

Dopo la Omsa anche la Triumph pare stia facendo di tutto per liberarsi delle lavoratrici/zavorre così da poter trasferirsi con più facilità. Non vanno all’estero. Solo in un’altra città, ma tanto basta. Con tutti i problemi di mobilità che questo comporta. Chi non si muove o chiede garanzie per muoversi è sostanzialmente un peso. Sempre che la mobilità sia un’opportunità per tutte. Perciò le dipendenti parlano di pressioni nei confronti delle lavoratrici madri.

Riceviamo infatti segnalazione, richiesta di supporto (noi non compreremo più Triumph!) e leggiamo una comunicazione/denuncia da parte delle Lavoratrici del Cobas Triumph International sede Trescore Balneario (Bg):

Da alcune settimane, nell’azienda dove siamo impiegate, le lavoratrici con figli, piccoli soprattutto, vengono chiamate in colloqui individuali dal capo del personale e messe sotto pressione perchè accettino di firmare le dimissioni “volontarie” in cambio di una magra buonuscita.

Per ogni lavoratrice/mamma, il direttore del personale, ha davanti una scheda informativa contenente i dati personali sulla famiglia e i bambini (età…nomi), ed in base a queste informazioni, imbastisce una conversazione dai toni fintamente amichevoli, nel corso della quale cerca di blandire le lavoratrici tentando di convincerle che la massima aspirazione di ogni donna dovrebbe essere quella di fattrice/massaia, a tempo pieno. Sottolineando che questa è un’occasione da cogliere al volo poiché difficilmente verrà riproposta nuovamente.

E quando le lavoratrici, offese e umiliate da questa “offerta”, che peraltro nessuna di loro ha mai chiesto, rispondono “no, grazie preferisco lavorare” i toni cambiano e tra le righe cominciano a filtrare le intimidazioni.

L’azienda si sta trasferendo, senza alcuna motivazione credibile, a più di 60 km dalla sede attuale, chi sceglierà di seguirla dovrà farlo alle sue condizioni e “senza lagnarsi” perchè “…qualcuno potrebbe diventare cattivo”.

Beh niente di nuovo…da qualche centinaio di anni…purtroppo, ma la cosa un po’ strana è che siamo nel 2012 e noi non lavoriamo in un laboratorio gestito da cinesi o in nero, in un sottoscala, magari al sud, bensì nella sede italiana di una multinazionale tedesca, leader in italia e nel mondo nel settore dell’ abbigliamento intimo; e che da 50 anni ha sede nel produttivo (fino a qualche anno fa) cuore della “padania”. Nella nostra provincia infatti, come del resto succede in tutto il paese, da tempo, le aziende chiudono, una dopo l’altra, lasciandosi alle spalle centinaia, migliaia di disoccupati/e senza prospettive o quasi.

Lo stesso è successo anche per la “nostra” multinazionale. Alcuni anni fa è toccato alla produzione (-113 operaie) trasferita in paesi dove probabilmente il basso costo del lavoro continua permettere alla proprietà maggiori profitti, poi è stato il turno del magazzino (-56 addetti/e) che in parte è stato accorpato in un unico sito europeo ed in parte è rimasto qui, sparpagliato in diverse logistiche della zona dove, ci lavorano schiavi “a norma di legge”. Mentre 2 anni fa, con lo stesso trucco andato a vuoto ora (spauracchio del trasferimento + pressioni + una buonuscita) l’azienda era riuscita a liberarsi di una quindicina di impiegati di lungo corso, dimissionati “volontariamente”. Questi nostri colleghi sono stati rimpiazzati da giovani laureati, stagisti o con contratto a tempo determinato che negli ultimi 2 anni si sono avvicendati a decine al nostro fianco. Ragazzi/e costretti dalla precarietà ad accettare di lavorare anche 9/10 ore, senza (quasi) fare pause e spesso invitati a portarsi il lavoro a casa per proseguire (gratis) la sera e nel fine settimana.

E’ chiaro chi sceglierà l’azienda, tra noi e loro non appena ne avrà l’opportunità. Pare si chiami libertà di impresa, anche se a noi sembra tanto caporalato anni ‘50.

Solo una ventina di anni fa eravamo più di 500, ora siamo una sessantina.

Tutti impiegate/i, in maggioranza donne, con un’anzianità di 15/20/30nni, considerati dal nuovo management poco più che dei pesi morti, probabilmente per via di alcuni gravi handicap che ci trasciniamo da tempi antidiluviani, ovvero, contratto a tempo indeterminato, discreto stipendio e probabilmente qualche tutela di troppo.

A questo punto, siamo stati messi di fronte a questo trasferimento di cui non ci si spiega i motivi se non quello di incentivarci “all’esodo”. Per noi tutti/e infatti è evidente che dietro questa decisione si nasconde (nemmeno troppo) l’intenzione di liberarsi del personale più “datato”, per lo più residente nelle vicinanze della attuale sede.

Ma nonostante siamo consapevoli che, con lo spostamento, le nostre giornate lavorative si allungheranno come minimo di 4 ore, abbiamo deciso di seguire l’azienda chiedendo però che questa si impegni a coprire le spese di vitto e trasporto _che altrimenti si mangerebbero 2 dei nostri stipendi ogni anno. Ovviamente la risposta è stata “No, non ci sono soldi” che però magicamente sono apparsi quando si è cercato di convincere le lavoratrici/mamme a ritornarsene a casa.

E così, mentre dai media politici di tutti i colori farneticano di tutela delle donne lavoratrici, pari opportunità e quote rosa (sic!) a noi viene chiesto insistentemente di ritornare ad occuparci della casa e della prole.

Nessuna di noi lavora per noia, lo stipendio ci è necessario per poter vivere dignitosamente, non chiediamo elemosine né tantomeno commiserazione. Vogliamo solo poter continuare a lavorare!

Quando abbiamo realizzato quali erano i piani dell’azienda ci siamo guardate in faccia, abbiamo 35/40/50anni e per noi le possibilità di trovare un’altra occupazione, fuori da qui, sono pari a zero. Allora ci siamo organizzate in un sindacato di base, decise a difendere il nostro posto di lavoro. Il 22/06 scorso il nostro sindacato ha chiesto un incontro interlocutorio all’azienda, ma questa l’ha ignorato dichiarandolo illegittimo. In spregio allo Statuto dei Lavoratori che sancisce la libera scelta della rappresentanza sindacale a tutti i lavoratori (evidentemente Marchionne fa scuola).

Allora, 2 settimane fa circa, abbiamo indetto una conferenza stampa per denunciare la situazione, ma la stampa locale (dietro pressioni di varia natura) ci ha completamente boicottato. Forse perchè gli inserzionisti vanno lasciati tranquilli, qualsiasi cosa combinino. O forse perchè, si sa, i lavoratori fanno notizia solo se muoiono bruciati (possibilmente in numero superiore a 5) oppure se si suicidano, in sequenza, perchè il lavoro non ce l’hanno più.

Per questo motivo cerchiamo qualcuno che dia la rilevanza dovuta alla nostra voce, non perchè questa storia sia così fuori dal comune, anzi, ma forse proprio perchè questo atteggiamento verso i lavoratori, sta diventando la norma, crediamo sia necessario amplificarla, ora più che mai….al tempo della crisi.

Grazie per l’attenzione.

Le lavoratrici del cobas Triumph International sede Trescore Balneario (Bg)

Posted in Fem/Activism, Iniziative, Precarietà, R-esistenze.


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