http://www.youtube.com/watch?v=3QPZfcYTUaA
Pink Ribbons Inc il documentario promosso da BCAction cerca distributore in Italia. Mi dice Grazia via twitter.
Di cancro e della pinkizzazione delle campagne di cosiddetta sensibilizzazione avevo parlato qui ricordando ciò che meglio racconta Grazia che questa cosa se l’è vissuta e se la vive sulla propria pelle.
Lascio dire a lei di che si tratta e perché varrebbe la pena far girare questo documentario in Italia ora che anche qui il fenomeno ha avuto spazio. Buona lettura!
Pink Ribbons Inc
Il rosa non e` mai stato il mio colore preferito. Anche quando, da piccola, ero una bimba-barbie super-leziosa e sempre in gonna non mi piaceva. Mia sorella, undici anni piu` di me e scassambrella professionista anche lei, lo chiamava “rosa pipi`”. Ci faceva e ci fa abbastanza schifo.
Il cancro al seno e` stata una batosta. Non sto nemmeno qui a spiegarvi il motivo. E` self-evident, come dicono gli inglesi. Ho dovuto mandare giu` il boccone della diagnosi, le terapie ai limiti di ogni umana tollerabilità eccetera eccetera eccetera. Quello che proprio non sono riuscita a mandare giu` e` stato sentirmi rappresentata dal nastrino rosa, dal pink ribbon. Quel rosa mi puzzava. “Di pipi`”, direbbe sicuramente mia sorella.
Pensavo di essere la sola ad avere questa sensazione. Un giorno, invece, per puro caso, mi sono imbattuta nel trailer di un documentario, uscito da poco in Canada e negli Stati Uniti, “Pink Ribbons Inc.” (il link e` in fondo alla pagina). Ho fatto partire il video e finalmente non mi sono sentita piu` la sola ad avercela col rosa. Il sospetto si e` sostanziato della denuncia di cui un nutrito gruppo di donne si faceva portavoce nel trailer del documentario. Mi si e` spalancato un mondo.
Un paio di googlate e ho scoperto che dietro il documentario c’era un’organizzazione “Breast Cancer Action” (http://bcaction.org/) che da anni e` impegnata nella promozione di un tipo di approccio al cancro al seno radicalmente diverso da quello a cui siamo abituati. Il loro colore simbolo non e` il rosa, ma il rosso. Le donne di “Breast Cancer Action” non sono delle pazze invasate che non hanno niente di meglio da fare. Sono donne come noi, hanno avuto un cancro al seno e hanno deciso consapevolmente di rompere con schemi precostituiti che non condividevano e che, a ragione, consideravano dannosi. L’obiettivo di queste donne e` – si legge sul sito – di “mettere fine all’epidemia di cancro al seno”.
Ma torniamo al trailer del documentario. L’ho guardato decine di volte e mi gasa sempre di piu`. Sono le donne stesse a parlare e pronunciano parole molto decise. “Possiamo fare un passo indietro per capire cosa sta succedendo?” chiede Barbara Brenner, attivista da anni in prima fila contro il cancro al seno e il business che ci gira intorno.
Torniamo allora al 1992. Quell’anno la casa produttrice di cosmetici Estée Lauder distribui` per la prima volta decine di migliaia di pink ribbons a chi acquistava i suoi cosmetici. L’idea, rivelatasi eccezionale sul piano del marketing, era stata letteralmente rubata a una donna Charlotte Haley che, avendo avuto il cancro al seno, aveva dato vita a una sua campagna per fare si` che il National Cancer Institute devolvesse piu` fondi per la ricerca sulla prevenzione della malattia: il simbolo della campagna di Charlotte era un nastrino color pesca che lei stessa produceva in serie a mano a casa sua e distribuiva davanti ai supermercati e nei luoghi pubblici ricavandoci nulla.
La trovata del pink ribbon frutto` invece a Estée Lauder una vagonata di quattrini e cosi` ebbe inizio il business del cancro al seno. Lo chiamano marketing sociale. La gente compra i prodotti piu` di quanto farebbe normalmente perche` crede in buona fede di dare una mano alla ricerca. In realta`, solo una parte del ricavato delle vendite finisce nelle mani delle organizzazioni che si occupano di raccogliere fondi e che, tra l’altro, non sempre li gestiscono con la dovuta trasparenza. Il resto sono profitti per le imprese. Fanno profitti sul cancro al seno.
C’e` un ulteriore aspetto della faccenda che vale la pena sottolineare. Tutto questo rosa, abbinato a prodotti di uso comune, dal rossetto al mocio vileda, fa si che il cancro al seno diventi anch’esso una cosa comune, normale, quasi alla moda. Ma non e` normale affatto, e` una cosa tremenda, e` una malattia che uccide, che spezza anime e vite. Il business, pero`, non ha nessun interesse a fermarlo perché fa guadagnare. E` contro questa “normalizzazione” del cancro al seno che dobbiamo mobilitarci. Dobbiamo cominciare a boicottare il rosa, le aziende che se ne servono per aumentare le vendite. Dobbiamo gridare che il cancro al seno non e` normale, che ci fa schifo che così tante donne si ammalino e non sia possibile sapere perche`. Facciamolo ora, prima che sia troppo tardi, prima di non accorgerci piu` di niente.
http://www.tucancroiodonna.it
la mia mostra fotografica su cancro e femminilita’ a vicenza dal 6 al 21 ottobre
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