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Trova l’orrore

A volte nel sistema si crea una falla, e sarebbe un peccato non approfittarne.
Proprio ieri è uscito un ‘interessante’ articolo sulla pagina web di Repubblica (edizione di Roma) , della quale inseriamo uno screenshot enigmistico:

 

 

A quale articolo ci riferiamo? Bisogno di aiuto? Eccolo qui:

Nel saggio The Sexual Politics of Meat: a Feminist-Vegetarian Critical Theory – scritto nel 1990 e ahimé ancora non disponibile in italiano (del resto sono passati solo 22 anni dalla sua pubblicazione) – l’autrice, la femminista vegana Carol J. Adams, introduce il concetto di referente assente.  La funzione del referente assente è quella di mantenere la ‘nostra carne’ separata dal fatto che una volta era un animale, per evitare che qualcosa sia visto come quello che era stato qualcuno.  Tramite il referente assente possiamo quindi dimenticare l’animale come essere senziente.


Quindi qual è l’articolo ‘incriminato’? Ma certo, è proprio I bambini e il mangiar sano, il tour per conoscere il cibo!

Probabilmente chi ha scelto la foto da inserire e chi ha scritto il titolo e l’articolo seguente non si è accorto che inserire la foto di un vitellino circondato da bambini accompagnato da tale scritta fosse un’evidente falla nel sistema di costruzione della prassi carnivora, troppo gustosa per non approfittarne!

L’articolo, mirante ad esaltare la bellezza dell’iniziativa, corredata da altra foto (che so, i bambini di fronte a ceste di frutta) non avrebbe colpito per nulla. Anche perché all’interno dello stesso viene fatto un solo riferimento agli animali da carne, e nemmeno diretto (si parla infatti di “conoscenza del bestiame da mungitura” cancellando completamente con questo termine non solo l’animale non umano, ma neutralizzando la realtà del destino di sfruttamento e comunque di morte che sta dietro alla scelta di queste parole, e di fatto dimostrando ancora una volta quanto sia disagevole a livello etico sfruttare ed ammazzare altri esseri viventi per nutrirsi delle loro vite oltreché delle loro carni, tanto da non proferirne parola).
Ma… c’è un ma: la scelta della foto. La quale è stata scelta probabilmente perché, agli occhi dei più, ‘carina e dolce’ (più o meno, ma procediamo con ordine): e come potrebbe non esserlo, dal momento che vi sono rappresentati solo cuccioli… tanti cuccioli umani intorno ad un cucciolo di mucca. E’ difficile forse capire perché la foto è stata reputata una bella foto?

 

Analizzando questa foto possiamo leggere diverse cose: la prima e più lampante è l’attrazione, la curiosità e la positività con la quale i bambini si avvicinano agli animali, ancor di più se cuccioli. In tenera età, quando l’animalità che è in noi è ancora presente e marcata, e comunque ‘tollerata’ da chi bambino non è più, sono ancora concessi sentimenti di empatia nei confronti degli animali non umani. Tutto questo però ben nascondendo ai più piccoli la realtà del nostro rapporto di dominio e sfruttamento degli animali: con la motivazione di ‘non volerli scioccare’ – rendendo evidente che ad una mente non desensibilizzata, plasmata a concepire ‘naturali’ i rapporti di dominio, sopraffazione, sfruttamento e violenza, quello che facciamo agli animali non umani è inconcepibile – semplicemente mentiamo loro continuamente.
Perchè è proprio allora, quando si è più piccoli, che vengono subdolamente buttate le basi dello specismo, in molti e diversi modi: attraverso il referente assente si distanzia la carne dall’animale che è stato torturato e ucciso per averla, poi si abituano i bambini alle prime menzogne, quelle ad esempio delle mucche felici di dare il proprio latte (cancellando l’ovvietà che essendo la mucca un mammifero, la produzione di latte implica: a) la gravidanza forzata il più delle volte tramite inseminazione artificiale – leggi: stupro perpetrato da parte di un essere umano ‘addetto’ – b) la nascita di un cucciolo allontanato con enorme strazio di entrambi e in tempo brevissimo dalla madre, e destinato se femmina a seguire il di lei destino, se maschio all’allevamento per la carne, c) produzione di latte in stalle al chiuso, senza mai vedere la luce del sole, con ricorrenti mastiti e aggravamento in brevissimo tempo delle condizioni di salute della mucca per via della abnorme produzione lattea, d) spesso nuova gravidanza indotta nel corso della mungitura derivante dal primo ‘non allattamento’ che ha come risultato ridurre un bovino nato sano e che potrebbe vivere decenni ad essere ridotto ad una carcassa che non sta più in piedi nel giro di circa 4 anni, caricato con gru e metodi che definire inumani sarebbe gentile sui camion per essere macellate) o delle galline contente di sfornare uova (negando la realtà degli allevamenti intensivi dove vengono tenute in gabbie, mutilate fin da quando pulcini tramite il taglio del becco perché non si feriscano tra loro [forse perché stressate?], e inviate al primo accenno di calo di produzione sempre al solito macello, e nemmeno menzionando peraltro il fatto che i pulcini maschi, selezionati da addetti appositi sono immediatamente avviati vivi e in massa, tramite nastro trasportatore, verso un trituratore per diventare ‘farine animali’).

Tornando all’articolo, quello che stona, e che probabilmente ora è più chiaro invece, è che il referente assente nell’articolo viene, in maniera sicuramente del tutto involontaria, mostrato nella foto. In una foto che stimola invece il senso di piacere innato che dona la vista di qualsiasi cucciolo, umano o meno (ancor meglio se i cuccioli sono insieme).

Ma la foto ci parla ancora, raccontandoci anche altre storie, meno piacevoli, se la guardiamo con occhi disincantati: la capezza intorno al muso del vitello, trattenuto per essere fotografato insieme ai bambini, ci parla della sua schiavitù, l’espressione corporea ci dice che probabilmente è spaventato, lui da solo, senza la madre vicino in mezzo ad esseri – spesso vocianti e agitati – di un’altra specie, della quale avrà già conosciuto la brutalità. Del resto ai bambini non viene insegnato a rispettare l’animale, a coglierne i segni di paura, anzi viene forzato a restare fermo nell’essere toccato e trattato in definitiva come un peluche di morbida pelle calda, oggettivizzandolo e privandolo delle proprie naturali emozioni (pensiamo invece come reagiscono la maggior parte delle persone quando un bambino viene avvicinato da altri animali, anche se cuccioli… terrore!)
I bambini hanno al contrario del vitello l’aria felice, poiché sicuramente non hanno la più pallida idea di cosa significhi essere il cucciolo di un’altra specie che non sia umana, e nessuno alla visita gli avrà raccontato come stanno veramente le cose, come quel cucciolo, così simile a loro, non potrà bere il latte della propria madre che invece loro berranno, non potrà godere del calore del suo corpo, come loro faranno la sera quando esausti e felici della gita torneranno a casa, non potrà nemmeno guardarla più negli occhi o sentirne l’odore: verrà messo all’ingrasso, solo, spaventato e stressato, in un ambiente artificiale e privo di stimoli, senza poter giocare, come a tutti i cuccioli piace tanto fare, marchiato o cartellinato poiché già diventato prodotto, nella continua cancellazione delle sue esigenze, emozioni e sentimenti di essere vivente. E quando verrà mandato al macello, per concludere la sua breve vita, avrà già conosciuto così tanto strazio e dolore che la sua morte violenta sarà soltanto l’ultima di un ciclo di efferate e impunite violenze.
Loro, i bambini nella foto invece, saranno solo un poco cresciuti, di lui si saranno dimenticati, le rimozioni, le bugie e la desensibilizzazione avranno già fatto il loro corso, e andranno sicuri, sostenuti da quegli stessi ‘amorevoli’ genitori verso la loro ‘normalità’ di individui specisti.

A livello verbale il processo fisico della macellazione viene riassunto con termini che ne sanciscono l’oggettificazione. Gli animali sono trasformati in non-esseri, in unità produttive di cibo, ridotti a consistere di parti commestibili e parti non commestibili. Essi, dopo l’uccisione, scorrono su una catena di smontaggio e perdono parti del loro corpo ad ogni fermata. L’essenza della macellazione è quindi, tramite gli strumenti utilizzati, la sparizione totale di creature indifese, che debbono essere considerate come oggetti inerti, da sezionare fino a renderli adatti al consumo.
Il consumo è il completamento dell’oppressione, l’annichilimento della volontà, dell’identità separata. Attraverso la frammentazione, l’oggetto viene scisso dal suo significato ontologico e quando viene consumato esiste solo tramite ciò che rappresenta. I pezzi dell’animale, rinominati, permettono al consumatore di cambiare la propria concettualizzazione dell’animale, per allontanare ancor di più l’animale vivo, il cucciolo. La cottura, l’aggiunta di spezie, aromi e altro contribuiscono a oscurare la vera natura di ciò che si trova sul nostro piatto. Privata del referente-animale macellato e sanguinante – non dimentichiamo che i macelli sono da sempre luoghi chiusi e separati dalla realtà sociale – la carne diventa un oggetto consumabile
La macellazione è un atto che appartiene solo agli esseri umani, gli animali carnivori uccidono e consumano direttamente la preda, per loro non esiste un referente assente, ma solo un referente morto. Il consumo da parte degli esseri umani del referente assente-animale reitera l’annichilimento di quest’ultimo come soggetto importante in se stesso e nello stesso tempo evidenzia il tristissimo contrasto tra i vegetariani, che nella carne vedono la morte, e i carnivori, tanto convinti che la carne sia vita da voler oscurare e camuffare con tutti i mezzi e a tutti i livelli ciò che essa è in realtà. (parti in corsivo tratte da: “l’animale come referente assente” di Paola Segurini).

“Stella stellina la notte si avvicina: la fiamma traballa, la mucca è nella stalla. La mucca e il vitello, la pecora e l’agnello, la chioccia coi pulcini, la mamma coi bambini. Ognuno ha la sua mamma e tutti fan la nanna.”

 

Magari.

 

Posted in Animalismo/antispecismo, Comunicazione, Pensatoio, R-esistenze.


One Response

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  1. Mangiarfiori says

    Che male :’-(

    “Conta le mandorle,
    conta ciò che fu amaro e ti tenne desta,
    contaci anche me”