Leggo questo articolo e non mi convince per niente, a partire dal fatto che fonda tutto il suo ragionamento da un presupposto per me errato. A mio parere non è vero che nella violenza manca la parola. Essere convinti di questo tanto da fondarci tutto un ragionamento dimostra una bella base di superficialità della conoscenza del fenomeno della violenza di genere e di banalizzazione della stessa sul solo piano fisico: parla infatti di stupri, botte ecc ma dimentica la base comune di tutte le violenze agite sulle donne dai propri partner, ossia la violenza psicologica.
Senza l’isolamento e il controllo che l’uomo riesce a mettere in atto sulla compagna che molto si basa sulla parola e sulla violenza psicologica non si creerebbero quelle condizioni che legano la donna al rapposto col suo carnefice.
Poi secondo me si vuol fare una elucubrazione tutta psicoanalitica che puzza sempre un po di tentativo di portare tutto su un piano medico dove colui
che agisce la violenza è in realtà o un malato o una vittima, ponendo le donne che subiscono violenza in un piano quasi privilegiato, di chi può comprendere, curare o semplicemente scegliere. Cosa che sappiamo non essere così.
L’unica riflessione in questo senso che secondo me meriterebbe attenzione e che non viene mai fatta è quella sulla repressione del desiderio omosessuale e sull’obbligo machista e patriarcale per gli uomini di non poter scegliere il rapporto omosessuale nemmeno come esperienza, esperimento, transizione o come interrogativo per riflettere su se stessi. Secondo me l’eterossessualità obbligatoria genera mostri. Ovviamente questo mio pensiero non lo considero il nucleo centrale del problema però mi domando perché chi vuol parlare di violenza in termini psicoanalitici non tratti mai questa opzione. Se non mettiamo in discussione tutto l’impianto delle relazioni patriarcali non potremmo mai decostruire la violenza in tutti i suoi aspetti.
non che mi tiri indietro a sputare su repubblica. ma qui.. insomma
[le violenze] “si consumano nel silenzio acefalo e brutale della spinta della pulsione o nell’ umiliazione dell’ insulto e dell’ aggressione verbale. La legge della parola come legge che unisce gli umani in un riconoscimento reciproco è infranta. ”
cioè quella che manca sarebbe la parola che riconosce l’altro e lo ascolta, non quella che lo annulla anche psicologicamente. e anche il resto è sensato. amore come accettazione del proprio limite e non come possesso…
l’unica cosa veramente fastidiosa è l’Altro con la maiuscola
“o meglio non credo che la spiegazione sia quella”
e non so nemmeno se ci sia. Inizio a pensare che il male non possa essere “spiegato” (per quanto sia legittimo provare) ma solo raccontato
Sulla libertà di ognuno di esplorare la propria sessualità e “sperimentare” (sempre se si ha voglia di farlo) sono perfettamente d’accordo (l’importante è non bollare come “meno libero” o “più libero” chi vive la sessualità in un modo piuttosto che in un altro) non capisco però cosa c’entri qua: non credo che gli autori d femminicidio siano gay repressi o latenti o meglio non credo che la spiegazione sia quella. io vedo un’incapacità (patologica?) di accettare che l’altra ha diritto di vivere anche senza di te, se lo accetti non uccidi anche se come tutti/e soffri per una relazione finita. Un’altra cosa: fare riferimento a eventuali problemi psicologici di chi compie un omicidio non significa necessariamente giustificare l’atto