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La giornata dell’indignazione virtuale

Una buona colazione per ottenere il giusto slancio. Un rapido sguardo alle notizie e la verifica, con brio, di qualche aggiornamento da poter dare in pasto all’indignat@. Sono i manutentori della democrazia, quelli che “l’illusione che la libertà di parola esiste” è tutto, quelli della dialettica indiretta. Sono i controllori e le controllore dei due minuti d’odio formato facebook, che basta un titolo, una immagine, poi ruttano due microgrammi di verità color verde rancido e ritengono di essere meno fascisti dei fascisti, meno violenti dei violenti, meno stronzi degli stronzi.

E ‘ la legittima difesa del diritto all’odio che presto si tramuta in diritto al linciaggio, verso un bersaglio apposito o verso chi vorrebbe impedirne l’accoppamento. Di discussioni serene non si parla. Arriva lei e recita il suo mantra per sfogare frustrazione. Arriva lui e recita il suo mantra per rispondere con altrettanta frustazione. Un gioco che si autoalimenta, dove l’un@ corrisponde all’altr@. Dove non si finisce mai di riprodurre lagnanze se non c’è chi interrompe il gioco.

Prova a buttare nella mischia un commento che ragiona di cose vissute, riflessioni sparse, vite che dicono, decidono, invece che subiscono, persone che determinano e allora non ti caga nessuno. Nessun commento, nessuna attenzione, perché la modalità virale prende soltanto se alimenti il flame. Perché non vogliono informazioni ma dettagli morbosi o news che tocchino le corde dell’indignazione. Un intero popolo educato a esprimere un “like” se posti l’immagine di una stronza che infilza con un tacco un animale o di uno stronzo che picchia una donna col bastone.

E se per esempio lasci decantare e dopo un po’ produci una riflessione vedrai che nessuno ti si fila. Perché l’argomento non importa, non interessa, non lo fanno proprio, non leggono, ascoltano, capiscono, non elaborano. Perfino le peggiori crudeltà vengono mangiate, masticate, ingoiate, sputate o al massimo cagate senza che lascino traccia nell’infinito nulla di persone con coscienze sulle quali nulla attecchisce per davvero. Come quando vedi la guerra in televisione che ti convinci che non è guerra. E’ solo uno spettacolo, per dirla alla Debord, è solo quel tanto che serve a chi si nutre d’odio e di indignazione. Non c’è una elaborazione successiva. Non c’è la capacità critica di sezionare quelle immagini e di dotarsi di strumenti per capire, ragionare, provare a modificare la realtà e i comportamenti sociali.

Ciò che viene degnato di attenzione è dunque qualunque cosa rappresenti un pretesto, un qualunque pretesto da cui derivi uno spunto di indignazione per il popolo dall’odio gratis a tutte le ore. Ce n’è per tutti, nessuno escluso e chi dà in pasto carne da sbranare ai linciatori e alle linciatrici da tastiera non è meno responsabile del clima culturale che con ciò si determina. Così si comportano oramai i media in generale e chi lo sa se hanno cominciato prima loro o se i social network hanno dato il via. E’ certo, però, che i quotidiani, le televisioni, i media mainstream, per fare maggiore audience cercano dettagli morbosi o inventano notizie shock, da fenomenologia della demonizzazione, come e meglio di un qualunque reporter dal tempo dell’inquisizione. Fa bene Caterina Guzzanti ad essersi inventata il personaggio parodia dell’inviata speciale che indaga sul delitto dell’adolescente grattuggiata da un ignoto grattuggiatore.

Non siamo più in grado di pensare, di produrre un ragionamento sereno. Non siamo in grado di riflettere scambiando l’odio con la lotta e l’assenza di empatia con una qualche forma di resistenza. Mietendo vittime su vittime indotte a proseguire sulla linea del rancore, dove il rancore bisogna che diventi lucida sostanza e serena espressione di una legittima posizione politica.

Siamo già al pranzo e valutiamo che su facebook quel tale post ha ottenuto già migliaia di visite, che la somma di insulti e giudizi lapidari equivalgono soltanto a quella dell’inquisizione, li vedi lì, incappucciati, pronti con l’ascia in mano, ciascun@ a sfogare la propria personale incazzatura, con quei maestri più o meno giustizialisti che hanno trasformato i partecipanti in pubblico e il pubblico in tifoseria.

Arriva il pomeriggio e c’è l’attacco del tal dei tali che sminuzza le ovaie su twitter, Poi un’altra rissa. Perché gli avatar rissano, gli uomini rissano, le donne rissano, i cyborg rissano, battlestar account. La sera hai l’impressione di aver fatto il tuo dovere, hai salvato due centimetri di pianeta virtuale, hai vinto uno scontro con quel tal commentatore, hai fatto proseliti grazie alla tal commentatrice e nel frattempo pianifichi la prossima avventura che darà fiato ai tuoi indici di ascolto.

E’ notte, dormi, ti sei pers@ il sole. Ti sei pers@ una passeggiata, una chiacchiera di presenza senza avere commentatori o commentatrici tra le scatole, ti sei pers@ un buon film. Fortuna che io ce l’ho una vita. Infatti esco. Fatelo anche voi.

Posted in Comunicazione, Pensatoio, Scritti critici.