Stefania Noce è una delle tante donne morte ammazzate nel 2011 per mano di un uomo. Sotto accusa è il suo ex fidanzato, reo confesso, che ha ucciso lei, il nonno e ferito la nonna. Si era introdotto in casa di Stefania armato di coltelli. Ha così messo fine alla sua vita mettendo in atto il copione classico di sempre. Mia o di nessun altro. Possesso, esercizio di potere, incapacità di gestire l’abbandono o meglio la scelta di libertà di Stefania che certo aveva pieno diritto di compiere. Stefania muore per la sua libertà. Muore di autodeterminazione. Muore di quelle cose per le quali lottava tutti i giorni nella sua militanza femminista e così la ricordano la mamma, Rosetta, e il papà, Ninni.
Ma se nei film dopo il delitto e l’arresto catartico dell’assassino leggiamo un The End e i titoli di coda, nella vita invece proprio quando si spengono i riflettori su queste gravi vicende comincia l’agonia. Un vero e proprio martirio per chi resta. Per i familiari della ragazza uccisa, per quella stessa ragazza che viene uccisa, di nuovo, una, due, tre volte, mortificato il suo ricordo tra mille ambiguità e sottintesi. Tra mille chiacchiericci di paese e poi la pietas ipocrita e cristiana che racconta di una donna morta e di un assassino vivo. Per lui – originario di Caltagirone – attenzioni, scuse, difeso da un avvocato di grido, arrestato fin da subito, un immediato passaggio alla sezione psichiatrica del carcere, rispetto per la di lui famiglia, una famiglia perbene, normale, e lui probabilmente destinato ad una diagnosi di incapacità di intendere e volere ché secondo le ultime sentenze a beneficio di femminicidi significa 5 anni di ospedale psichiatrico e nulla più.
I paesi piccoli, un paese siciliano – Licodia Eubea – in questo caso, si distinguono per la gerarchia di appartenenza delle persone implicate nella vicenda, e lei che era una ragazza fatta di meraviglia ma figlia di persona semplici, non è giunta agli “onori” della cronaca in altro modo se non per essere stata uccisa da un uomo possessivo, morboso, un assassino che non ha esitato a uccidere una, due volte, quasi tre.
Nei paesi piccoli tutto si gioca tra strette di mano nelle piazze, rapporti formali tra gente con cravatta e doppiopetto, professionisti e politicanti che spesso corrispondono, la chiesa a determinare una morale comoda per tutti quanti, il tizio che è parente del parente del parente e dunque infine tutti si conoscono e quella famiglia, poverina, è sfortunata, Dio che disgrazia che gli è capitata con quel “povero” figlio impazzito. Vergogna, chiusi in casa, mentre il paese si ricompatta e dimentica. Dimentica e si ricompatta. E’ tutto a posto. Tutto normale. Prima regola è dimenticare.
E mentre i genitori di Stefania sono ad attendere lo svolgimento della questione processuale, un’agonia che sarà lunga chissà quanto, durante la quale entrambi saranno obbligati a ricordare le fasi del delitto, dove lei è crollata senza vita, dove ha combattuto, anima bella, per sopravvivere, se lì ha urlato e poi ha cercato un perché negli occhi di quell’assassino. Sono presenti: una madre coraggiosa e un padre che tra le tante difficoltà ricorda e vive, tramuta il dolore in rabbia e si ricorda e lotta.
Ricorda di quei funerali in cui le istituzioni hanno messo la propria mano sulla bara per appropriarsi di un cadavere e farsene scudo e manifesto di una campagna elettorale prossima futura. Ricorda di sciacalli su sciacalli che utilizzavano il nome di Stefania per cercare un momento di vago protagonismo. Ricorda il giorno del suo compleanno, 4 febbraio, in cui gli amici avrebbero voluto organizzare una giornata in suo ricordo, parlare di lei e di violenza sulle donne, per non dimenticare, affinchè non avvenga più, e il politicante che dice che i locali comunali destinati a tali iniziative non sono liberi perché deve presentare – così dice Ninni – “un libro sulla sua lunga storia politica durata parecchi lustri e con prefazione dell’avvocato della difesa dell’assassino di Stefania, appartenente alla stessa area politica“.
Nel frattempo istituzioni, sindaco, proclamano il 5 marzo una giornata a consegnare un encomio alla sopravvissuta, la nonna, diretto al nonno, non alle vittime in generale, ma a lui, il nonno, che diviene eroe di un paese in cui Stefania, femminista, dotata di senso critico, compagna, dunque scomoda, viene quasi costretta nell’oblio. Ovvero di quella giornata, il 27 dicembre del 2011, si intende ricordare solo ciò che può servire. E qui vorremmo chiedere a quel sindaco perché un “encomio” all’atto di eroismo del nonno, giacché le dinamiche sono ancora tutte da stabilire, e invece la banalizzazione dell’eroismo di una ragazza che lottava per la sua libertà, che resisteva alla violenza, che è protagonista di una guerra che tutti i giorni fa vittime, donne, uccise da uomini violenti.
Poi arriva l’otto marzo, o almeno sta per arrivare, e si immagina ancora una iniziativa, una giornata per Stefania nella scuola che pure lei aveva frequentato. Ma di parlare di lei, di violenza sulle donne, di questa cosa seria in un luogo in cui tutti vogliono dimenticare, in cui le responsabilità vanno sepolte nell’oblio per permettere ai vivi di tornare a camminare nelle strade, per permettere ad altri di tornare a respirare, sulla pelle di una ragazza uccisa, sulla pelle di una famiglia sterminata, non hanno voglia. Pare che la Preside abbia detto proprio di no e allora Ninni Noce ha scritto una lettera che noi qui riportiamo. E ci uniamo nella firma. Lo dica pure a noi, esimio Dirigente, perché mai in quella scuola sarebbe sconveniente parlare di Stefania e di violenza sulle donne? Non ritiene che parlarne, specie in una scuola, assumendo il carico sociale d’obbligo in questi casi a formare una coscienza civile e a offrire agli studenti e alle studentesse strumenti di lettura della violenza a prevenzione di altre tragiche evenienze, sia una cosa anzi obbligatoria da comprendere nelle attività didattiche di quella giornata?
Ecco la nota, da Ninni (che assieme a Rosetta noi abbracciamo):
Questa la nota che oggi, 27 febbraio 2012, ho fatto pervenire al dirigente scolastico dell’ I.C. “E. Fermi” (prot. n.376/A38)
AL DIRIGENTE SCOLASTICO DELL’ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE “E. FERMI”
LICODIA EUBEA
Il sottoscritto NOCE GIOVANNI, padre dell’indimenticabile STEFANIA, assassinata assieme al nonno il 27 dicembre u.s., CHIEDE cortesemente alla S.S. il perché del rifiuto alle proposte spontanee, e credo io anche legittime, di vari docenti dei due ordini scolastici dell’istituto che da giorni hanno tentato di lanciare delle attività didattiche in vista dell’8 marzo, giornata della Donna, ispirate alla figura di Stefania, donna impegnata in senso civico e politico che l’Italia intera ha voluto tributare in più modi e in più occasioni proprio per l’originale essenza della Sua natura. Essenza che di certo, anzi sicuramente, non è passata inosservata neanche tra i banchi e i corridoi di codesta scuola, dove ha sempre brillato per profitto e rapporti interpersonali.
E’giunta voce che non si è nemmeno provveduto a tutt’oggi a fornire valide motivazioni al rifiuto delle proposte suddette per cui, ci si meraviglia del perché si voglia trascurare ancora una volta un’ occasione utilissima, per meglio spedire l’azione didattica ed educativa sotto vari aspetti e promuovere, al contempo, la coltivazione di quei valori e quei concetti cari ai principi dell’istruzione, nonché la rievocazione mai fuori luogo, della figura di Stefania, ancor meglio gradita perché a pochi giorni dai tristissimi fatti.
Si richiede, pertanto, debita argomentazione scritta in proposito con particolare riferimento alle motivazioni addotte dalla S.S., per potersi così attivare di conseguenza, com’è nel diritto del cittadino, com’è previsto dalla Costituzione e come avrebbe fatto sicuramente, anche meglio, la mia Stefania.
Certo di un attento riscontro della presente, il sottoscritto porgeDistinti Saluti
Giovanni Noce