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Sleep Dealer

Sleep Dealer è un film di Alex Rivera. Ha vinto un Sundance Festival e come molti altri che parlano di Messico e immigrazione riesce a usare un linguaggio come la fantascienza per raccontare il presente con metafore assolutamente credibili.

Dopo la costruzione del muro che separa il Messico dagli Stati Uniti e che blocca il flusso di migrazione tra un paese e l’altro, tuttavia gli Stati Uniti trovano il modo per sfruttare l’energia vitale dei migranti senza accettarne i corpi.

Nasce il sistema della connessione a distanza attraverso la quale un corpo umano può attivare le funzioni di un robot che svolgerà delle mansioni a seconda di ciò che il datore di lavoro richiede. Così ci sono decine e decine di individui connessi a delle macchine, le quali sono pericolosissime per la salute dell’uomo ma questo ai lavoratori nessuno lo dice.

In un contesto in cui l’acqua è stata privatizzata, in cui società di monopolio statunitensi si sono appropriate delle fonti idriche, realizzando dighe e monopolizzando i prezzi di vendita del liquido, in cui l’esercito americano sorveglia quei siti impedendo ai contadini di accedere alle risorse, e in cui è possibile che un ragazzo, un hacker, per il semplice fatto di voler comunicare con il mondo esterno sia scambiato per un terrorista e sia oggetto di una missione militare.

Città senza futuro, in cui i quartieri malfamati sono frequentati dagli spacciatori di innesti e meccanismi di connessione, in cui è possibile vendere ricordi e sogni in un moderno social network in cui la privacy non esiste e in cui tutto diventa mercificabile e mercificato, perfino l’amore, in cui le fabbriche di umani, le sleep dealer, i luoghi di connessione dei dormienti, sono l’unica possibilità per gli schiavi che non possono più lavorare la terra e non possono contare sull’acqua per innaffiare i campi e sviluppare una economia indipendente dai colonizzatori.

Chiara metafora di quello che avviene effettivamente in Messico, così come qui da noi. L’europa e le sue mura, l’esigenza di far arrivare manodopera a basso costo e la campagna d’odio che mette i migranti ai margini e ne criminalizza tradizioni, cultura, look, religione.

Un film ben fatto, con un solo appunto che mi permetto di dedicargli, ovvero il fatto che perfino in un film in cui i lavoratori e le lavoratrici sono dei dormienti connessi a distanza comunque c’è una separazione di genere per i lavori che andranno ad eseguire.

Un robot è un robot. Può fare qualunque cosa, immagino. E dunque perché le donne connesse vengono assegnate a ruoli di camerierato e gli uomini al settore dell’edilizia?

Per il resto, comunque, un gran film. Da vedere.

Posted in Pensatoio, Vedere.


2 Responses

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  1. Paolo84 says

    “e dato che il film vuole essere una allegoria della realtà ”
    allegoria, metafora..l’importante è che sia sufficientemente credibile, verosimile nel rimandi alla realtà..e sopratutto al di là di ogni altra considerazione politica o morale, il film deve essere efficace nel raccontare quel che vuole raccontare col linguaggio del cinema

  2. Paolo84 says

    forse i robot ricevono la stessa forza fisica degli uomini e delle donne a cui sono connessi, forse i lavori differenti dipendono da questo, e dato che il film vuole essere una allegoria della realtà mette in scena i lavori che nella realtà vengono svolti in maggioranza da migranti uomini e migranti donne, comunque questo film vuole una essere una riflessione sulla realtà dell’immigrazione in USA e se a quanto dite, riesce a rifletterci usando il linguaggo del cinema di genere, è un dato interessante. Se arriva in Italia spero di riuscire a vederlo per farmi un’idea mia