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#femblogcamp: pratiche politiche femministe (2)

Ancora un contributo tra quelli che sono passati per il feminist blog camp. Si tratta dell’intervento di Laura Colombo per il workshop a sua cura e di Sara Gandini, il cui intervento potete leggere qui. Per chi non c’era o seguiva altro. Buona lettura!

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Ottobre 2011. Feminist Blog Camp, Torino

Pratiche politiche femministe

di Laura Colombo

Voglio iniziare il mio intervento qui al blog camp leggendovi un piccolo pezzo di un post di Rossella sul blog di femminismo-a-sud. Rossella a un certo punto dice: “il femminismo mi ha divorato, mi ha dato radicalità, nel senso di rendermi consapevole che la rivoluzione non è là fuori. Non è solo là fuori e fatta ‘per gli altri’, ‘dagli altri’. Ma la rivoluzione è già qui. In questa stanza da dove sto scrivendo questa mail”.
In queste parole c’è il cuore di quello che mi preme dire oggi, che posso riassumere in tre punti:
– cosa mi è capitato in contrando il femminismo radicale (penso sia quello che può capitare a ogni donna)
– la singolarità delle pratiche politiche femministe
– libreria e www

Cosa mi è capitato

Ho incontrato il femminismo leggendo Carla Lonzi – da Sputiamo su Hegel, al Diario Taci, anzi parla, a E’ già politica, eccetera (1)- ed è capitato qualcosa di grosso nella mia vita, si è spezzato qualcosa perché ho intravisto la libertà femminile. Nel Manifesto Carla Lonzi a un certo punto dice: “Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell’esistenza” . Ed ecco che mi sono ritrovata tra le mani l’indicazione di “esprimere il mio senso dell’esistenza”, non consegnarmi a interpretazioni già date, ma modificare il mio rapporto soggettivo con la realtà. Cosa distante dall’ottenere una formula che dia soluzioni, perché pone al centro la prospettiva con cui si legge la realtà. Detto in altri termini, mette in primo piano la presa di coscienza che rivoluziona il rapporto di ciascuna con la realtà. È una vera e propria lotta per la trasformazione personale, che porta cambiamenti nel proprio ambiente e, di conseguenza, nel mondo.
Pensiamo agli enormi mutamenti nel rapporto tra i sessi degli ultimi quarant’anni, una vera e propria rivoluzione di quell’immaginario collettivo che si chiama ordine simbolico, in cui tutti e tutte siamo immerse perché viviamo, parliamo, entriamo in relazione, condividiamo usi, costumi e significati. L’ordine simbolico è l’insieme dei significati e dei principi accettati a livello di immaginario collettivo in una certa epoca. È noto che l’ordine simbolico patriarcale assume il sesso maschile come misura per l’intero genere umano e si pone come paradigma per entrambi i sessi, decretando che le donne appartengono alla sfera privata, quella degli affetti e della cura e gli uomini alla sfera pubblica, quella dei saperi e dei poteri. Le donne appartengono alla natura, gli uomini alla cultura. Il femminismo degli Anni ’70 ha criticato l’ordine simbolico patriarcale e ha scelto di separarsi dai luoghi misti, per disegnare un ambito di autonomia femminile. Non si è trattato solo di una critica alla realtà data, non è stato solo liberarsi da un’oppressione, è stato soprattutto la ricerca di nuove possibilità perché l’esperienza femminile autentica potesse trovare parole. Leggendo il Diario di Carla Lonzi avvertiamo i dubbi, gli smarrimenti e le invenzioni che una donna deve affrontare quando nega l’identità femminile precostituita, il posto che gli uomini hanno previsto per le donne. Da questo rifiuto è nata la libertà che oggi si riflette in conquiste sociali stabili: per le donne è normale studiare, uscire di casa senza sposarsi, viaggiare con le amiche, avere o no un figlio, amare liberamente, stare da sole, cose impensabili fino a pochi decenni fa. A livello legislativo, questa libertà è registrata, per esempio, nel nuovo diritto di famiglia del 1975, dove sparisce la figura del capofamiglia e si stabilisce che ogni decisione sulla coppia e i figli debba essere presa di comune accordo.
Il femminismo radicale nasce e si sviluppa nella dimensione della singolarità e della soggettività, non sul piano della rivendicazione dei diritti e della parità con l’uomo. È una politica che punta alla creazione di libertà, non alla conquista dei diritti. Non possiamo mettere direttamente in relazione la politica che fa leva sul riconoscimento dei diritti e quella che fa leva sulla presa di coscienza soggettiva per mettere al mondo nuove libertà, anche se questi due modi della politica hanno lo stesso intento: rendere più vivibile il mondo che viviamo.
Pensiamo per esempio ai neri d’America: il Proclama di Emancipazione di Lincoln, che abolisce la schiavitù, è del 1863, ma la politica e la cultura restano ancora per molto tempo segregazioniste. Un secolo dopo sarà Rosa Parks ad accendere la rivolta dei neri, rifiutandosi di cedere il posto a un bianco sull’autobus. Stanca di arrendersi alle ingiustizie, indicherà la via senza ritorno della ribellione e della libertà. Voglio dire che il problema sociale esiste, ma riguarda in grande misura la sfera interiore: se hai sempre avuto sotto gli occhi il modello della superiorità dei bianchi, non riesci a immaginare qualcosa di diverso. Un esempio italiano riguarda l’ingresso delle donne nella magistratura, per la prima volta nel 1963, nonostante dal ’48 la Costituzione avesse prescritto che alle donne erano aperte tutte le carriere nella Pubblica Amministrazione. Ancora un esempio, un fatto epocale in Italia: nel 1965 una giovane donna siciliana, Franca Viola, rifiuta il matrimonio riparatore al suo rapitore. Siamo appena prima della presa di coscienza estesa del femminismo, in un decennio di movimenti sociali e messa in discussione della cultura e della politica. Solo nel 1981 sarà fatta una legge che abolisce la possibilità di cancellare una violenza sessuale tramite un successivo matrimonio (la stessa che abroga le disposizioni sul delitto d’onore). In un’intervista a Franca Viola quarant’anni dopo lei dice: “Ero contenta quando sentivo di altre ragazze che si erano salvate facendo la mia stessa scelta, mi faceva piacere sapere che, anche se indirettamente, ero stata io ad aiutarle. Quella legge era evidentemente ingiusta e andava cambiata, c’è sempre una prima volta, e io fui quella che diede inizio al cambiamento”.
Arriviamo vicine ai giorni nostri e pensiamo alla legge sui congedi parentali del 2000, che prevede permessi per la cura dei figli anche per il padre. Gli uomini, per lo più, non colgono questa occasione. Non c’è da stupirsene: solo quando riusciranno a fare una mossa interiore di libertà, capiranno di sé ciò che la legge non potrà mai dare e dire. Le nostre schiavitù non finiranno a colpi di legge, sono vincoli che abitano la nostra mente. È da lì che devono cominciare a sparire. La sfida dell’azione politica che fa leva sulla libertà è proprio di immaginare qualcosa che non c’è, creare ciò di cui hai bisogno (come diceva Carla Lonzi). Si potrebbe pensare che una buona legge faccia il lavoro per noi, che il legislatore, con lungimiranza, predisponga quello spazio in cui avranno legittimità nuove e sconosciute libertà. Ma la vera prima mossa è lo scatto interiore di consapevolezza, la messa a fuoco, insieme ad altre, dei bisogni reali. E questo è il lavoro politico sul simbolico.

Singolarità delle pratiche politiche femministe

Vedere più in profondità cosa sia questo lavoro politico sul simbolico significa interrogarsi sulle pratiche politiche che hanno caratterizzato e in parte caratterizzano ancora il femminismo radicale. Accennavo prima al momento della separazione dagli uomini, negli Anni ’70. È stato un gesto dirompente, un taglio che non chiedeva riconoscimento, ma spostava l’autorità dal patriarcato alla parola delle donne scambiata tra donne. Trovarsi tra sole donne ha dato la possibilità di interrogare autonomamente il desiderio femminile. Si è trattato di una mossa necessaria, che ha permesso la nascita di nuove forme di esistenza femminile e ha posto gli uomini di fronte a una nuova realtà: dopo questo gesto, alcuni uomini hanno iniziato a interrogarsi sulla propria parzialità sessuata.
Sottraendosi allo sguardo e al discorso che gli uomini avevano sempre fatto sulle donne, le donne stesse hanno creato uno spazio simbolico per far parlare la soggettività femminile nella sua concretezza, cioè l’esperienza personale, il vissuto, il modo con cui ognuna poteva sentire e rappresentare se stessa e il mondo. Sottraendosi al giudizio maschile e trovandosi in piccoli gruppi separati, le donne hanno inventato la pratica dell’autocoscienza che ha permesso l’emergere della soggettività femminile a partire dalle parole scambiate tra loro. La cosa importante è che per queste donne c’era la consapevolezza politica di trasformare, proprio attraverso il loro gesto, il rapporto con uomini e donne e di conseguenza il rapporto con il mondo. La qualità politica che le donne stesse attribuivano al loro gesto (“il personale è politico” si diceva) differenziava l’autocoscienza femminile dalle forme classiche dello stare tra donne in luoghi separati, cosa che c’era sempre stata. Nominando l’autocoscienza come politica, le donne sottolineavano la loro radicalità: nulla può essere detto o fatto se non si scommette, se no c’è il rischio dell’insignificanza. La scommessa è questa forma radicale di interrogazione del proprio essere donne da parte dei collettivi femministi, senza più bisogno della mediazione maschile e delle istituzioni, cosa che rappresenta un’eredità preziosa anche per noi che siamo venute dopo, e non abbiamo vissuto gli Anni ’70. Il partire da sé è una pratica che mette in luce la nostra verità soggettiva, una verità che sentiamo e ci tocca profondamente ma è ancora confusa perché non è ancora rappresentata, siamo noi a portarla alla luce a volte con forza a volte faticosamente. Ha elementi di autenticità che risuonano nel nostro intimo e contemporaneamente sentiamo che c’è qualcosa che va oltre noi. Come primo esempio posso citare il post di Fikasicula sulla manifestazione No Tav del 23 ottobre: nel suo scritto si sentono i discorsi che, dopo Roma, hanno attraversato i movimenti, ma lei parte innanzitutto dalla sua esperienza della manifestazione, che non è solo partecipare al corteo, ma vedere che la politica delle donne e degli uomini della Val Susa è un atto d’amore fatto di fatica, creatività, solidarietà, responsabilità collettiva, senso della condivisione di beni comuni… Quando dice che la manifestazione è un atto d’amore si sente una sua verità e anche altro: io che leggo sento che non c’è solo qualcosa che appartiene a lei, ed è sempre così quando si va a fondo di una verità soggettiva, c’è sempre qualcosa che va al di là della soggettività e appartiene alla comunità. Andare a fondo della verità soggettiva fa accedere a qualcosa che è al di là del soggettivo e appartiene a un sentire allargato. Sperimentando a fondo qualcosa scopri che il tuo sentire non è soltanto tuo.
Un altro esempio, che mi riguarda da vicino, è riflettere a partire dall’esperienza della maternità. Partire da me significa mettere in parole un acuto senso di solitudine e straniamento. Non solo e semplicemente per mancanza di servizi o sostegno famigliare, ma per difetto di pensiero, dicibilità dell’esperienza, povertà di parole condivise che restituiscano il senso di ciò che si è e si fa. Fino a
qualche decennio fa nascere donna significava un destino tracciato, la maternità stava in un preciso orizzonte di senso (patriarcale) e disegnava il confine della libertà femminile. Con il femminismo la maternità da destino si è fatta scelta. Qual è, oggi, il senso dell’esperienza della maternità? Cosa capita alle donne che scelgono di essere o non essere madri? È possibile esaurire individualmente il senso di questa esperienza? Io parlo di solitudine e straniamento, sono parole che dicono una mia verità e contemporaneamente affermano qualcosa che riguarda anche altre donne. Apro una parentesi: il 19 novembre a Milano ci sarà un convegno organizzato dalla Fondazione Badaracco sulla maternità che si intitola MADRI SENZA TEMPO? Dialogo tra generazioni in cui si gioca la scommessa di cercare una nuova misura per qualcosa che va oltre, e cercare nuove mediazioni, essendo saltato il vecchio orizzonte di senso patriarcale della maternità, che ovviamente mutilava le donne.
La pratica del partire da sé è la scommessa che nell’andare a fondo delle cose che tu cogli di te c’è qualche cosa che non è solo tuo ma vale anche per altri e altre.
Un’altra pratica del femminismo radicale, pietra miliare della politica delle donne e della conquista di libertà è la relazione tra donne. L’ho sperimentato in prima persona: la mia libertà nasce nella relazione donna con donna, dall’interrogare il desiderio insieme ad altre donne e saper leggere nei diversi percorsi di ciascuna l’opposizione attiva al potere, saper cogliere e rilanciare la distanza che ciascuna sente rispetto a ciò che dovrebbe essere desiderabile (per la società e quelli che una volta si sarebbero chiamati “valori dominanti”). L’ottica della rivendicazione e della parità ci porta a misurare le donne con modelli alienanti. La libertà femminile nasce dalle relazioni significative fra donne, che non solo ci permettono di non sentirci inadeguate, o strane, o fuori posto, ma ci aiutano a portare là dove siamo i nostri desideri: nei collettivi politici, nelle relazioni d’amore, nel lavoro, con gli eventuali figli/figlie, ecc.

Libreria e www

Un esempio di quello che ho appena detto, una pratica di relazione che rilancia il desiderio e modifica il contesto, è il sito della Libreria delle donne di Milano. La Libreria è un luogo in cui penso e in cui trovo una profonda radicalità dello sguardo, senza che ci sia la pretesa di trovare soluzioni valide una volta per tutte. Il progetto del sito, fin dal suo inizio, è stato strettamente intrecciato alla Libreria delle donne, o meglio, alle domande che ci siamo poste su quello che la Libreria rappresenta per noi, sull’eredità di questa esperienza politica femminista, su quello che noi vogliamo assumere e portare nel mondo con la nostra voce. Il senso che assume l’eredità del femminismo e della politica delle donne non è lo “scambio tra generazioni”, ma un movimento di continuità/discontinuità di esperienze tra noi e le donne che ci hanno precedute. Ci sono alcune conquiste teoriche che le donne hanno fatto partendo dalla loro esperienza (il partire da sé di cui ho parlato prima, per esempio) che sono strumenti fondamentali anche per la nostra possibilità di comprendere noi stesse, gli altri e il mondo – ossia per fare politica. E c’è un’esperienza nostra, che ci preme portare nella politica. Di più, vogliamo portare anche quello che non ci torna delle pratiche che altre hanno saputo trovare, perché condividiamo lo stesso presente insieme a quelle che ci hanno precedute, ma è uno spazio allo stesso tempo differente, in quanto colto ed esperito da prospettive e punti di accesso diversi.
Per darci la possibilità di sperimentare il presente in prima persona, per trovare una misura che fosse anche nostra abbiamo pensato al sito, la cui pratica costante ha portato a una differenziazione con la Libreria: questa è il luogo storico creato e pensato da alcune che hanno pratiche più che trentennali e una grande esperienza politica, il sito è invece qualcosa che ci appartiene più direttamente, pur essendo legato alla Libreria. Il collettivo del sito è ora composto anche da alcune donne che hanno fondato la Libreria, ma è indubbio che noi, in prima persona, abbiamo rilanciato il nostro sapere e il nostro desiderio in una sfida tutta nostra, guadagnando in prima persona la consapevolezza che l’origine non è l’inizio: l’origine che le donne grandi rappresentano per noi, non è l’inizio della cosa che interpella solo noi, le nostre contraddizioni più intime, le nostre speranze e progettualità, il bisogno di creare a nostra volta. Non è facile entrare in un movimento che esiste già, in una riflessione già creata e strutturata. Il sito ha rappresentato la nostra sfida per la politica. E’ una sfida che riguarda – oltre al desiderio di far politica – anche le nostre relazioni con le donne venute prima, con le quali lavoriamo e ci confrontiamo costantemente nel portare avanti questa impresa. Quello che posso dire oggi è che far leva principalmente sulla relazione con Sara ha cambiato la geografia delle relazioni in quel contesto, ci ha dato più forza e permesso maggiore libertà. Abbiamo vissuto momenti di difficoltà e conflitto profondo, nei quali però ci siamo chiarite sempre più che la nostra relazione è fondamentale, così come il riconoscimento reciproco della capacità, della forza, della possibilità di pensare insieme. Questo ha permesso che si scompaginassero le carte nello spazio politico del sito, che ora è in relazione con la Libreria a partire da una propria differenza. Per dare qualche esempio concreto, il sito ha partecipato con un suo striscione alla grande manifestazione del 13 febbraio (qualche anno prima anche a quella del 14 gennaio 2006), mentre molte femministe storiche della Libreria hanno una posizione di radicale distanza rispetto alle manifestazioni di piazza. Noi che pratichiamo la rete, crediamo che “C’è una politica diffusa che in questi anni, e soprattutto in questi ultimi mesi, è riuscita a mobilitare e incidere con fantasia e libertà nella vita politica del nostro paese”, come spiega bene Laura Milani nel suo articolo Tremate tremate le farfalle son tornate pubblicato su Via Dogana n. 98. Quello che possiamo vedere e vivere in prima persona è il bisogno di esposizione collettiva nato da discussioni vivaci sulla rete, dove è forte il desiderio di protagonismo di tante donne e uomini che vivono in mille contesti diversi. La rete che ci piace, quella che in poco tempo riesce a convogliare persone e idee verso un’impresa comune, spesso un appuntamento di piazza, è politica di relazione prima di tutto, politica del simbolico: le diverse soggettività emergono e costruiscono pensiero insieme, mail dopo mail, intervento dopo intervento, su facebook, nei blog, nei siti, nelle mailbox. A noi preme esserci per far emergere le questioni politiche che le femministe hanno da sempre posto al centro del loro discorso. La cultura politica che ha portato al potere “il signor B” non cambierà cacciandolo, e noi vogliamo arrivare a un cambio di civiltà radicale. Questo può avvenire solo trovando parole che sappiano leggere in modo nuovo la realtà, mediando con chi vive in altri contesti e ha pratiche politiche differenti. Il 13 siamo scese in piazza con la sciarpa rossa (Sara e altre anche con un rossetto rosso fuoco), per festeggiare la passione politica delle donne e la nascita di una diffusa consapevolezza rispetto alla questione maschile.
Riflettendo su quello che è capitato negli ultimi mesi, posso dire che trovo essenziale non fossilizzarmi sull’identità e l’appartenenza. Io non mi sento “della Libreria delle donne” ma appassionatamente faccio politica lì, e a causa di questo mi capitano delle cose, anche dei conflitti, che segnano la mia differenza rispetto a certe posizioni, a certe pratiche eccetera. È uno starci nella non-appartenenza (intendendo per appartenenza un’identificazione totale). Questo scarto tra me e me (non sono tutta identificata con la cosa; l’esperienza, seppur appassionante, non esaurisce tutto di me) è uno spazio di libertà preziosa, che dà ossigeno anche alla politica. E credo sia una risorsa a disposizione di tutte.
Termino il mio intervento dicendo che secondo me è possibile e fruttuosa una politica che si basi sulle relazioni e sul conflitto. Penso alle relazioni tra soggetti politici diversi ma anche tra le persone in generale (prendiamo per esempio i movimenti diffusi che hanno portato alla vittoria dei referendum lo scorso giugno). E sono convinta che esista un agire politico proprio delle donne (noi siamo qui e lo stiamo facendo!) che è alternativo alla politica dei partiti e dei numeri. Si tratta di un agire che non è finalizzato, non si pone obiettivi positivi ed è aperto all’imprevisto di ciò che capita nella relazione.

(1) I libri di Carla Lonzi sono editi da Rivolta femminile e sono reperibili presso la Libreria delle donne di Milano. Si possono avere anche per posta scrivendo a info@libreriadelledonne.it

 

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