Skip to content


Registi disperati, padri piagnucolosi: non salvatevi sulla nostra pelle!

Carlo Verdone ha deciso di girare un nuovo film.
Il promettente titolo è “Posti in piedi in paradiso” e Repubblica dedica un lancio online in anteprima.
Tra molti elogi, tutto sommato, l’intervista è un insieme di contraddizioni; l’aspetto socialmente più preoccupante è il messaggio che passa, ottimamente sintetizzato dal titolo dell’intervista.
Mentre infatti Verdone si annoia “Seduto nel salotto dell’attico trasteverino” dice “Sui borghesi c’è da raccontare solo una grande noia” (spietata autocritica?) e siccome il suo cinema è figlio della realtà “cerca spunti per il suo cinema sui giornali” (intendendo forse la realtà che non conosce) quindi parte con:
“Alla prima occasione ci propone la convivenza […] Giallini ha in serbo mille sorprese negative: usurai e figli ed ex mogli che lo inseguono.”
“Ho tenuto il timone saldo sulla commedia. Feroce, ma anche affettuosa nei confronti di questi uomini che spesso hanno sbagliato, ma che pagano duramente la loro condizione.”
a concludere con un trattato di pericolosa idiozia:
“Il mio non è un film contro le donne. I miei padri hanno i loro difetti. Le donne sono dure per necessità. Ma il vero elemento positivo è rappresentato dai figli. A loro affido la salvezza dei padri.”

La passione per l’elogio dei padri disperati e la condanna a furor di popolo della madri tiranne è un’insidiosa premessa per la legittimazione di false sindromi come la PAS, nel nome della donna malefica e madre malevola che vuole punire l’ex- marito e la distruzione di strumenti di tutela delle donne, come i centri antiviolenza.
Il messaggio mediatico che arriva -dall’intervista per il momento- è che vi sia una sproporzione tra la pena economica, pecuniaria, sociale, che devono pagare gli uomini separati e gli atti commessi, minimizzati peraltro a errori di uomini con difetti.
Verdone, padre separato, è ingenuo o tendenzioso nella sua narrazione?
Nella società della rappresentazione, in cui il video veicola una possibilità di identificazione sociale, spalleggiare il negazionismo con una commedia, che fa ridere e distrae, affettuosa verso i piagnucolosi padri separati, martiri degli alimenti che “con la crisi si ritrovano in grande difficoltà economica, sulla soglia della povertà.” è grave.

Quali sono le figure a cui ammicca lo spettatore? Un cinquantenne separato che vive in una casa condivisa con altri due divorziati (ma sulla metropolitana, che si sta come all’Aquila, magari chiediamolo a un aquilano delle tendopoli come si sta all’Aquila) comprando viagra e facendosi le lampade, inseguito dalle mogli e dai figli, figurante che è l’evoluzione del rozzo buzzicone scialacquatore, irritante ma simpatico. Cialtrone.
Gli altri due sono il padre caduto in disgrazia per punizione meritata, altro figurante della situazione e il vero protagonista, cioè il romantico padre lasciato dalla moglie emigrata a Parigi, probabilmente la figura buona del film, quella su cui si concentra la possibilità di recupero grazie all’unica figura femminile positiva, una donna svampita e svanita (cardiologa però, non sia mai), innocua e dolce, che è l’antitesi delle donne ritenute negative dall’intervistatore, dure per necessità, ma algide e distanti.
Modelli differenti, macchie di una commedia in maschera, Arlecchino, Pulcinella, Pantalone, che permettono però un’immedesimazione, da cui derivano le successive giustificazione ed empatia.
La gravità di questo passaggio è data dalla discrepanza con la realtà.

Un altro dato è la involontaria (?) ferocia della commedia verso le donne, che sono dure e spietate: basterebbe far cadere il velo della mimesi per comprendere la condanna alle donne che reagiscono, che hanno ben preciso il loro diritto e si tutelano, senza adempiere al ruolo di vittime tragiche della situazione. La donna vittima, annichilita, infatti non esiste: sarebbe stata più difficile da ridicolizzare e da tratteggiare senza insinuare dubbi nella creazione di consenso, perché è un’immagine più difficile da attaccare.

La rappresentazione è questa perché è più facile demolire un soggetto libero ed autonomo, che si ribella, piuttosto che una vittima acquiescente; e proprio per questa supposizione la donna che emerge vincente ed umana della rappresentazione è quella neutra ed estranea alla dinamica di separazione, una donna che scende a patti con gli uomini soli e presta loro cure (è dottoressa): un sogno di salvezza eteronormato a padri separati uniti, nel suo essere svanita, svampita, “sexy da paura”.

Simpatizzare verso il romantico padre separato e ridurre la donna a ruolo di cattiva sanguisuga inumana vuol dire dimenticare le dinamiche relazionali reali, gli abusi, le violenze, i femminicidi che sono la quotidianità. Significa occultare la realtà ed edulcorarla, stravolgerla in una narrazione altra: un paradosso per un autore paladino del concetto di cinema della realtà.
Si tratta quindi di commedia dell’assurdo oppure di riabilitazione mediante l’inganno?

Infine, devono essere proprio i figli a salvare i padri incapaci? (il figlio di Verdone comunque no, non disperiamo, lui recita nei film di papà, nella migliore tradizione clientelista italiana ed è tanto incazzato).
Perché Verdone non continua a descrivere la noia borghese, che conosce bene, ed è meno pericolosa che l’apologia del povero maschio italiano contro la donna cattiva, visto che di riduzione delle tutele nei confronti di queste cattive donne ce ne sono fin troppe?

Posted in Anti-Fem/Machism, Comunicazione, Corpi, Misoginie, Pensatoio, R-esistenze.


3 Responses

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. Paolo84 says

    comunque il mio parere sui padri separati è il seguente: ho l’impressione che alcuni si ricordino di essere padri solo dopo la separazione e mi stupisce che le loro associazioni non si battano a favore dell’occupazione femminile, e per misure che aiutano i genitori a conciliare impegni familiari e lavorativi (come ad esempio congedi obbligatori pure per i lavoratori padri)..sono cose che andrebbero anche a loro vantaggio: più donne che lavorano e sono indipendenti economicamente vuol dire meno ex mogli che avranno bisogno del mantenimento..

  2. frapa says

    Dopo questa giustissima analisi non andro’ a vedere il film (ma già lo faccio io vedo solo film girati da registe). Il modello della donna forte e indipendente ,che per fortuna c’è, è sempre legato al commentato :”Ma d’ altronde è fatta cosi’ perchè non ha figli”tutto ,per noi donne, si riduce al ruolo di madre e perchè non vale anche per gli uomini? ” E’ un bravo uomo peccato che non è padre”.

  3. Lorenzo Gasparrini says

    Scusate l’autocitrazione da FB:
    Un bel padre separato e ricco che usa tutti i mezzi per farci sapere dei suoi problemi – e della sua sbagliata visione del mondo. Finché rimani dietro Woody Allen – anni luce – va bene anche che mi fai ridere con gli stereotipi “italiani”; quando ti butti nelle cose che non sai, diventi solo uno che caga fuori dal vaso, con l’arroganza tutta italiana del vecchio cineasta che pensa di avere ancora qualcosa da dire. Per me questo film è già la lapide di Carlo Verdone.