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Sentirsi protagonisti nella relazione è un diritto!

Il post sulla sindrome del lavaggio della mutanda, ha suscitato una gran discussione. E’ piaciuto a tanti uomini e non a tutte le donne, anzi qualcuna di esse ha sollevato questioni anche prevedibili, rivendicando la libertà di porre avanti a tutto il sacrificio, la rinuncia, la dedizione, cose che certamente non sono negate da parte di nessuno ma non intendevo con questo dire che c’è un modo giusto e uno sbagliato di amare.

Mi ponevo un problema, lo facevo ad alta voce, e questo problema, mi rendo conto, va posto a partire da me, dal personale al politico, come noi siamo abituate a fare. Abbiamo un problema: c’è oggettivamente la difficoltà a liberarsi dei vecchi modelli e non basta vestirsi in modo diverso, tingersi i capelli e truccarsi un po’ per sembrare emancipate. Tutta la nostra vita e la nostra storia, lo sappiamo, si gioca dentro le nostre relazioni, familiari, con i genitori, i parenti, con i/le partner.

Dicevo a proposito dei motivi di opposizione al post (potete leggerli sulla bacheca di Malafemmina) che la rivendicazione di tante donne è oramai quella di non sentirsi criminalizzate mentre pronunciano i propri egoismi. E non vale alcuna opposizione a questo perché le relazioni, per fortuna, non si vivono tutte sull’emergenza. Se ho un compagno che versa in gravi condizioni di salute è chiaro che mollo tutto e sono presente, esattamente come penso lui farebbe per me, ma in condizioni normali, quando viviamo una regolare quotidianità, non avrò fretta di tornare a casa a preparare la pietanza se ho un appuntamento che mi interessa perché lui vorrà cucinare. Non rinuncerò alla mia assemblea con le compagne femministe per presenziare con la divisa da perfetta mogliettina alla vita del mio partner. Non pianificherò la mia vita scartando i miei obiettivi perché io ho passioni, idee, aspirazioni, e la mia vita non si realizza nella bellezza di un mobile posizionato in salotto o nella meraviglia di un letto rifatto come in caserma. Non godo della cera sui pavimenti e non mi importa di rispondere al modello che poteva piacere a mia nonna. E a proposito di nonne poco tempo fa mi sono trovata ad assistere ad una discussione che non lascia dubbi. Una anziana signora disprezzava la figlia perché non faceva tutto secondo i suoi parametri. La figlia, nonostante abbia un’età considerevole, ancora si sente ferita da questo. Continua a considerarsi inferiore, non le riesce di sentirsi amata da quella madre che in realtà adora e che accudisce, ora che non sta benissimo di salute, come fosse una bambina. Dopo l’ennesima discussione la figlia si rifugiò in un angolo, tristissima. La ritrovai accanto e le dissi semplicemente: “ma a te importa davvero fare splendere il pavimento come lo vuole lei? cioè… tu ti senti realizzata con un pavimento a specchio?“. Fece una gran risata “e certo che no” fu la conclusione e bastò quello per rimetterla in sesto.

Che davvero certe volte immaginiamo di dover rispondere a pretese assurde e dimentichiamo di chiedere a noi stesse cosa ci piace e cosa no. Se temo il giudizio di qualcuno, fosse anche quello del partner, perché lui ritiene che, non so, la cucina va sistemata così invece che cosà, bhè, può sistemarla lui, che problema c’è? Non mi sentirò scippata del mio ruolo semplicemente perché il mio ruolo non è quello di sistemazione della cucina.

Ma, dicevo, ci sono donne che trattano i partner come fossero bambini. Coltivano dipendenze e si rifugiano in esse sebbene sappiano che un adulto non va imboccato. Ci sono quelle che rivendicano la scelta di dedizione che diventa abnegazione, diventa rinuncia, e questo altre, per esempio, scelgono di non farlo perché, come si ricava da uno dei tanti interventi in rete, “amare è anche svelare i propri egoismi per poi non dover rinfacciare niente a nessuno“, perché ciò che viene vissuto come sacrificio, come una rinuncia, serve a ricavare una posizione di potere e dominante nel rapporto e non va bene. Diventa un elemento di ricatto e un rapporto in cui la bilancia delle cose fatte pesa da una parte sola è un rapporto in cui la parte dipendente è inevitabilmente privata di autorevolezza.

Parlo non a caso di autorevolezza e non di autorità. Perché un soggetto dipendente perde anche la nostra stima e dunque alla fine tutta l’abnegazione, la dedizione si tramuta solo in uno strumento di oppressione in cui abbiamo violato uno dei capisaldi delle relazioni sane: la persona che sta con noi deve sentirsi intera, soddisfatta di sé, sicuro, con una buona dose di autostima, perché ha conoscenza dei propri limiti e delle proprie capacità. Togli ad una persona i motivi affinché dentro un rapporto si senta alla pari e ci ritroveremo a fianco qualcun@ che avremo contribuito a fare sentire un’incapace.

Qualcuna diceva che ci sono forme di dedizione, poi, che “mascherano fughe dalla propria esistenza, come se l’altro fosse un rifugio per la propria vita irrisolta, un alibi a non procedere in qualche direzione“, intendendo lei invece andare avanti e considerando una relazione tra due persone adulte come un rapporto tra soggetti che vanno avanti entrambi e che si aiutano a vicenda. In cui nessuno debba rinunciare e debba diventare dipendente dell’altro.

Ci sono donne che vogliono sentirsi necessarie e ancora si ricordava come questo potesse andare bene per le nostre mamme che avevano solo il marito e i figli da accudire pur considerando che “ci possano essere molti punti di equilibrio per quelle persone che scelgono una situazione di quel tipo“.

Ma oggi, che è il tempo in cui le donne dalle aspirazioni altre vengono criminalizzate e vengono descritte in senso dispregiativo come “donne in carriera”, ci troviamo di fronte a persone di intelletto, che hanno esigenza di coltivare altre esperienze, di misurarsi con dibattiti più ampi di quelli fatti entro le mura di casa. Abbiamo una vita pubblica, che non si esaurisce su facebook, per fortuna. Siamo animali sociali e viviamo le nostre agorà per crescere e costruire, progettare, sognare un futuro. Inventiamo grandi cose e non ci importa niente di quanto splenda il nostro pavimento o di quanto siano simmetricamente posti i quadri alle pareti. Non abbiamo ossessioni casalinghe e puliamo il cesso per igiene e non perché dobbiamo superare una ispezione formale di qualche controllo.

E tornando a parlare delle nostre forme di seduzione così come ci sono quelle che immaginano di sedurre lasciando intendere di essere dedite alla cura meglio delle crocerossine in guerra, ce ne sono altre che in presenza di bambini si lasciano andare in moine inspiegabili “quasi a voler dimostrare al loro partner o uomo che vogliono attirare in quel momento che loro possono essere brave mamme“. Sono le stesse che forse non sanno fare nulla di più di quelle moine perché non immaginano i bambini come persone ma come strumenti di conquista per il loro partner. Così, se chiedete a Meno&Pausa com’è andata un bel giorno in treno in una situazione in cui c’era una bambina che piangeva e andava soccorsa, vi dirà che c’era una donna che faceva le antipaticissime moine e che quando la bimba ha cominciato a piangere quella donna stava semplicemente a guardare perché non sapeva fare altro. Meno&Pausa invece stava a scrivere al computer, con le cuffie sulle orecchie, ad ascoltare musica a tutto volume e non aveva alcuna esigenza di fare moine, ma negli occhi di quella bambina vide una persona e le consegnò una cuffia per farle ascoltare un po’ di musica e poi parlò con lei, disquisendo di gusti musicali. Certo che la bimba non rispose ma smise di piangere perché qualcun@ si era accorta della sua esistenza.

La casalinghitudine e l’esibizione di un improbabile istinto materno sono considerate forme di seduzione e se parliamo di emancipazione bisognerebbe considerare che noi siamo le nostre peggiori nemiche perchè, come dicevaVirginia Wolf, “si può combattere tutta la vita contro l’Angelo del Focolare che vive in ogni donna a causa dell’educazione o dei modelli sepolti in noi…sempre che nostra nonna non fosse Calamity Jane

Ci sono donne che usano queste “competenze” per mostrare supponenza e superiorità morale nei confronti di altre donne. Come la vecchia mamma della donna che conosco, come altre che fanno fatica ad ammettere che può esistere altro e che se si sentono attaccate dall’esistenza di modelli diversi forse devono cercare le risposte dentro di sé e non altrove.

Perché ci sono uomini che non apprezzano quella forma di dedizione perché “non vogliono mamme o balie ma vogliono accanto persone autonome anche in grado di dire no“. E questa diversità di opinioni tra donne non può e non deve essere giudicata come qualcosa che predispone alle ferite. Che nessuna si senta inadeguata perché ciascuna cresce come vuole. Purché corrisponda all’idea che aveva di sé. Perché la priorità di tutte sia sempre “la libertà d’essere ciò che vogliamo senza se e senza ma“. Vale per noi e vale per gli uomini che non possono essere privati del diritto a sentirsi protagonisti della relazione che stanno vivendo.

Posted in Anti-Fem/Machism, Disertori, FaceAss, Pensatoio, Personale/Politico, R-esistenze.


One Response

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  1. HCE says

    non voglio mamme o balie (ho già dato)
    voglio accanto persone autonome che sappiano dire. *e ricevere*. un no

    a cominciare dal banale “un altro po di pasta/grazie no”, che già è una cartina di tornasole esistenziale. che distingue una persona che si prende cura di te da una che invece di vivere si prende cura di te. e quella è violenza su di me. patologia, roba da cui devo liberarmi. al passivo e all’attivo.

    per me *c’è* un modo giusto e uno sbagliato di amare.
    quello giusto comincia dall’amare se stessi e poi è tutto in discesa. e quello che dai è solidarietà, generosità, impegno preso liberamente.
    quell’altro è rinunciare ad amare se stessi per amare qualcun altro. e quello che dai è pegno di codipendenza.

    ma questo è quello che va bene – quello che voglio per – me.

    la cosa più difficile è che altri vogliono altro per la propria vita. magari vogliono proprio quella codipendenza deteriore. tipicamente la vogliono perché ne sono soggiogati. ma puoi imporgli che vogliano qualcosa di meglio, solo suggerirlo.

    intanto, devi accettare che ognuno si faccia del male come preferisce.