di Lorenzo Gasparrini
L’estate, per me, è da sempre il periodo delle riflessioni. È stato sempre il periodo degli studi più intensi, poi quello delle ferie nelle quali tornare a leggere; in genere quella calura insopportabile favorisce il pensiero – almeno così la vedo io – se non altro perché scoraggia l’attività fisica.
Allora, appena posso, mi prendo il mio caffè freddo, e penso.
La cronaca, si sa, è sempre quella da un pezzo: che siano stragi, che siano omicidi, che sia la crisi economica, che sia il costo della benzina, la musica non cambia. È colpa delle donne. E a furia di sentire ‘sta cosa, ribadita da ogni media, mi viene da pensare, favorito dalla stagione. Guardo mia moglie – una donna, indubbiamente – e penso.
Penso a Melania Rea.
A leggere quel branco di idioti maschilisti che commentano sui forum, in coda agli articoli di giornale, e a leggere le parole del marito, l’unica cosa che mi viene da pensare è: ma se ci tieni tanto alla roba tua, che ti sposi a fare? Prima di arrivare a concepire lucidamente una cretinata vile come “mi conviene ammazzarla piuttosto che passare la vita a pagarla”, allora non mi sposo. Oppure faccio patti chiari da subito: tu c’hai la roba tua, io la mia, e pace così. Invece questi cretini – ai quali basterebbe parlare con un commercialista per fargli capire cosa dovrebbero fare prima di sposarsi, se ci tengono tanto ai loro beni – stanno lì a piagniucolare che tutto il sistema è contro di loro, e alla fine “conviene” ammazzare la moglie. A ‘mbecille, ma dall’avvocato vacci prima di mettere nei casini te e qualche altra persona, tipo moglie e figli; vacci quando ancora ti diverti a infilare il pisello dove capita, no? Guarda, maschione bello, è facile: devi fare come hai fatto per la tua moto, o per la tua macchina: ti informi, giri tutti i concessionari, chiedi informazioni, confronti… insomma ci pensi bene. Tutta l’intelligenza che hai usato per una cosa importante come quella, usala anche prima di sposarti, o prima di dire “ti amo” a qualcuna che potrebbe anche crederti. Vedi che poi, se ci ripensi – che è una cosa umana, può capitare – fai più bella figura e magari ti comporti da uomo civile, invece di finire in galera, o a cercare compagni di lacrime per sfogarti di un mondo brutto e cattivo nel quale le donne brutte e cattive ti vogliono togliere tutto. Povero ciccio.
Perché vedi, maschietto caro, io ti conosco. Da me non troverai la rabbia e gli insulti che ti riservano – giustamente – le donne; oltre a quelli, da me avrai altro: io ti conosco bene, perché sono del tuo stesso genere. I tuoi panni sporchi li ho visti bene. Da me troverai una speciale derisione, un modo tutto particolare di prenderti in giro e di smascherare le tue pietose vili bugie da maschietto frustrato che non può riservarti nessuna donna. Già, perché io non sono una donna. Con me le tue storielle non funzionano, neanche come riparo; e non perché io sono “contro di te”, ciccio bello, ma perché sono lì, vicino a te.
Sono negli spogliatoi del calcetto, quando confessi le tue scappatelle delle quali ti vanti tanto, mentre ridi di tua moglie che sessualmente ti fa schifo. Pensi di essere un grand’uomo, invece fai solo schifo e pena. Schifo perché menti in continuazione e hai giurato il falso chissà quante volte (magari anche “su mio figlio”!) e pena perché un uomo che sposa una donna con la quale non gli piace fare sesso è prima di tutto un misero che si è condannato da solo a una vita miserabile.
Sono al bar mentre squadri qualunque donna presente commentando misure, diametri, pesi e tranci di carne, ridacchiando di ipotesi messe in pratica dalla peggiore industria pornografica, e fantastichi di mirabolanti avventure sessuali, protagonista tu e il tuo stratosferico pisello-idrante, cilindrone d’acciaio dal quale sgorgano litri infiniti. Brutto imbecille, te la sei giocata da solo una vita sessuale degna di questo nome! Hai mai pensato ad essere un minimo decente, per piacere tu a qualcuno? T’è mai passato per la testa che forse hai tu qualcosa da imparare? T’ha mai sfiorato l’idea che hai l’esperienza sessuale – e forse manco quella – di una sola delle parti in gioco, e che forse sarebbe il caso di ascoltare anche l’altra?
Sono in macchina con te nei viaggi di lavoro, mentre racconti spavaldo della tua “altra” vita, quella che di nascosto conduci in un’altra città, con un’altra persona, accumulando altri soldi nascosti a moglie (e figli?) che “te se magnano tutto” – come se fosse un problema di dipendenti, di contratti, di beni, e non di esseri umani che hanno scelto – i figli no, quelli non t’hanno certo scelto – di condividere con te quel tutto. Ti lamenti? La “moglie” è esosa? E quanto ti verrebbero a costare una governante, una prostituta e un maggiordomo? Pensaci, cretino, prima di rovinare la vita tua e quella di chi ti sta intorno. Pensaci prima, così ci risparmi i tuoi delitti, le tue bugie, le tue associazioni di sfigati e i tuoi deliri in rete.
Vuoi da me comprensione? Vuoi da me complicità? Devi esserti davvero bevuto il cervello. Non mi sono certo costruito la vita per essere avvicinato da un vigliacco rincretinito come te, che passa la vita a cercare scuse per i suoi fallimenti e sfoghi alle sue frustrazioni. Ma curati, piuttosto, e scansati, ché puzzi forte.
Penso al divorzio.
Va bene, diciamo che io, figlio di divorziati, non ho un parere molto neutro. Ho visto, era il 1980, mio padre dichiararsi nullatenente (ovviamente non era vero) e farla franca con tutta la mia testimonianza davanti al giudice, passando a mia madre gli alimenti (scarsi perché misurata sui suoi finti scarsi redditi) fino al mio diciottesimo anno d’età ma tenendosi la casa e tutti i beni. Per quanto mi riguarda, quello che vanno starnazzando certe associazioni di padri è fuffa a vantaggio della loro lobby politicoeconomica. Detto ciò, passiamo alle cose serie.
Io e mia moglie abbiamo caratteri molto diversi. Andiamo d’accordo su pochissime cose e discutiamo su ogni aspetto della nostra vita in comune. Il tutto senza minimamente intaccare la comunione di vite che abbiamo voluto. Ciascuno ha il suo lavoro, il suo mezzo di trasporto, tratta la propria famiglia d’origine come vuole – senza ingerenze dell’altro – ed è libero di trattare la famiglia d’origine dell’altro come vuole. Beni in comune, conti correnti cointestati. I soldi si spartiscono fino all’ultimo e si rendicontano tutti, decidendo insieme anche le spese personali dell’altro. Cicci belli che protestate, quando c’è la trasparenza totale le questioni “economiche” stanno a zero. Non puoi avere paura di perdere quello che è tuo, prima e subito, agli occhi dell’altro. Il falso non lo si può dire, perché carta canta. Nessuno può “portare via” niente all’altro perché è chiaro fin da subito che l’unica soluzione possibile è dividere, senza ripicche né avvocati – perché bisognerebbe pagare a metà pure quelli. Le vostre menate sullo spettro della povertà sono problemi causati da incapacità, ignoranza, miopia – ed egoismo, ovviamente.
Divorziare vorrebbe dire buttare via la metà della mia vita, tutto quello che ho fatto finora. Può succedere, non sono né ingenuo né idealista, ma l’ultima cosa cui penserei sono i soldi. Perché sono la cosa meno importante: ci sarebbe da rifare tutto un progetto di vita, ritrovare il motivo per alzarsi la mattina, gestire la situazione emotiva e sociale dei figli… una vera tragedia. Invece vedo in cronaca idioti violenti – spesso assassini – che pensano a stronzate come “l’onore”, “la reputazione”, “l’orgoglio”, gestendo la propria ex compagna di vita come uno dei tanti oggetti comprati che all’improvviso manifestasse un difetto di fabbrica. Che idioti. Come se un divorzio o una separazione non fosse già di suo un problema, ci aggiungono i sotterfugi, le cose di nascosto, le storie parallele, e la loro immagine di maschioni che devono difendere anche a costo di rovinarsi la vita. Bravo, vedrai che in galera ti faranno i complimenti. Ah già, per te è meglio la galera e un cadavere sulla coscienza che dividere i beni o pensarci prima. Povero scemo.
Penso al matrimonio.
E ci penso sì. Io e Nicoletta ci siamo sposati dopo otto mesi che ci conoscevamo. Sembra una barzelletta, ma a un certo punto era chiaro che o ci mandavamo a fare in culo a vicenda o ci sposavamo. Sì, perché per difendere quella cosa bellissima che c’era tra noi serviva un progetto, una cosa da fare insieme, una cosa che era più di noi due messi insieme. Ed è andata così, e sono quasi dieci anni che va così, e che va bene. Il tempo passa e i sentimenti diventano scelte, cose, luoghi, giorni, anni.
M’è piaciuta molto l’idea di sposarmi, perché sento molto l’attaccamento alla mia città, alla mia comunità, e ho voluto proprio fare una promessa pubblica, davanti al rappresentante della comunità nella quale vivo, perché penso che un impegno pubblico sia più costruttivo di uno solo privato. Abbiamo voluto fare una cosa che avrebbe cambiato i nostri reciproci rapporti e quelli tra noi e il resto del mondo, e così è stato. Per me questo è il senso del mio matrimonio – poi possiamo discutere su tutto, compreso il nome che ha questa cosa, ma a me l’idea piace ancora. Questa idea mi è anche stata molto d’aiuto, perché nei momenti di crisi – ce ne sono stati e ce ne saranno, mica è facile, sapete? – ti ricordi che in questa cosa che stai portando avanti sei coinvolto tu, la tua compagna, e pure tutti gli altri che vivono intorno a te, davanti ai quali hai promesso di fare tutto il possibile affinché quella cosa duri a lungo. Questo pensiero mi ha aiutato molto, mi ha fatto sentire meno solo – sì, a volte capita di sentirsi soli anche nel matrimonio – e mi ha fatto capire che non si tratta, come vogliono i luoghi comuni, di “compromessi”, ma di libertà. Di esercitare e mettere in gioco la libertà più difficile, quella di una coppia. A volte è difficile, a volte molto difficile, a volte serve addirittura l’aiuto di qualcun altro, ma sento che devo proprio tentarle tutte; lo devo a me stesso e ai sentimenti che provo, a Nicoletta, a Ivan, ad Andrea, e a tutti gli altri.
Penso alle vacanze.
Finalmente. Non ho scelto io questa società che mi permette di stare con la mia famiglia un mese (scarso) all’anno, ma più di tanto non posso fare. Intanto, quel mese lo difendo. Sento di gente che “si organizza” le giornate riempiendole di attività da fare soli. Ma quello non è il lavoro?
Per me la vacanza è stare senza fare assolutamente niente di utile, né alle finanze né alla salute. Non m’importa di quello che mangio, non m’importa di quello che faccio, né quasi m’importa di dove sto – purché sia al mare, grazie. Voglio solo obbedire inerte a figli e moglie, alla famiglia, dato che per tutto l’anno ho dovuto dire no sempre e soprattutto a cose da fare con loro. Io in vacanza dico sempre di sì. L’unico progetto è stare insieme, il resto verrà.
So’ strano? Sicuramente, ma a me piace così.
L’estate, per me, è da sempre il periodo delle riflessioni. È stato sempre il periodo degli studi più intensi, poi quello delle ferie nelle quali tornare a leggere; in genere quella calura insopportabile favorisce il pensiero – almeno così la vedo io – se non altro perché scoraggia l’attività fisica.
Allora, appena posso, mi prendo il mio caffè freddo, e penso.
Lorenzo Gasparrini
—>>>Questa è la quarta delle Storie di un padre NON separato che Lorenzo condivide su questo blog. Per la #1 Storia di un padre NON separato puoi leggere QUI. Per la #2 puoi leggere QUI. Per la #3 puoi leggere QUI. Potete leggere gli scritti di Lorenzo sul suo Tumblr “Questo uomo no“. Altre storie di diserzione alla categoria “Disertori“.
Mi viene in mente un racconto di Philip Dick (ovviamente parliamo di fantascienza) in cui il matrimonio veniva stipulato con un contratto quinquennale che a decorrenza dei termini scadeva automaticamente. Volendo lo si poteva rinnovare con il consenso di entrambi. Eh ma, ripeto, parliamo di fantascienza… Ma del resto, a mio avviso, siamo nella fantascienza anche quando si parla di matrimonio, cioè di un contratto, cioè di un vincolo che forza due persone a fare determinate cose; a far “durare un rapporto” che, se non vuole, è inutile che uno sta lì a forzarlo. E poi, diciamolo pure, nel rapporto finisce l’amore, non la possibilità di un’amicizia e di una complicità durature che, se vengono meno è solo per l’odio e il rancore che la libertà dell’altro (nostro possesso) scatena.
Ciao Lorenzo!
Sei grandeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
Elena