C’era una volta Genova e poi ci sono tutti i sopravvissuti, tanti, che a genova hanno resistito a manganellate, idranti, lacrimogeni (cs ustionanti per servirci). I sopravvissuti hanno ancora qualche difficoltà a superare il trauma collettivo e nel frattempo il revisionismo compie il suo sporco lavoro, per cui Carlo Giuliani, ragazzo, morto ammazzato perchè le forze dell’ordine hanno attaccato una piazza autorizzata, lanciati con mezzi blindati contro la gente, puntando le pistole su di noi, lanciando pietre e varie altre cose simpatiche, tutte comprovate nei processi a carico di soggetti che hanno ricevuto promozioni per il loro magnifico operato in piazza, quel Carlo lì all’inizio era un ragazzo, un po’ vittima e un po’ no ma ancora il ministro La Russa provava un po’ di pudore, pronunciava parole tipo “con tutto il rispetto per i parenti del Giuliani” e aggiungeva poi che era una specie di vandalo. Oggi saltano le scuse, il rispetto del dolore e infangano la memoria di tutte le persone aggredite in quelle piazze parlando di terroristi. Carlo finisce per essere un criminale e chi l’ha ammazzato viene definito eroe. E come tale in effetti è stato trattato, se di lui si tratta, perchè l’hanno congedato con pensione anticipata e tante buone cose alla famiglia.
C’era una volta Genova e nella testa di tanti è rimasto intatto il rumore dell’elicottero, le urla delle persone picchiate, il fumo di quei lacrimogeni, la sensazione claustrofobica di una città senza via d’uscita, dove i diritti erano morti prima di Carlo Giuliani e dove la sospensione dei diritti aveva messo in gioco una crudeltà efferata che qualcuno ha giustamente definito macelleria cilena.
C’era Genova e c’era il sangue, sangue vivo, vero, dei compagni e delle compagne. C’erano le carte d’identità di persone disperse che erano state prelevate e rinchiuse a Bolzaneto. C’erano i genovesi che ci hanno soccorso e che ci hanno dato acqua per salvare gli occhi massacrati dai Cs e poi ci hanno fatto passare attraverso i loro giardini per farci sfuggire alla crudeltà di gente in divisa che in quel momento realizzavi che di sicurezza non te ne dava neanche un po’.
Gente pagata con le nostre tasse che usava quei soldi per massacrarci, con violenza, crudeltà, dedicandoci parole d’odio, sessiste, canzoncine fasciste. Nazisti con gli occhi da tossici, invasati adrenalinici che ci guardavano come si guardano gli insetti e cercavano soltanto di schiacciarci.
C’era genova e noi volevamo manifestare, rivendicare uno spazio per il dissenso e siamo rimasti soli, centinaia di migliaia di persone sole, solissime, con il terrore in faccia, la paura di morire, la forza di difendersi, andare avanti e aiutarsi l’un l’altr@ perchè il nemico era quello lì vestito di scuro, con una divisa e la faccia coperta. Quei blec bloc senza numero di riconoscimento nelle divise che stavano a picchiarci e sfotterci e logorarci dal punto di vista emotivo e poi raccontavano un mare di balle.
Vi picchiamo perchè non siete autorizzati. Non era vero. Vi picchiamo perchè ci avete lanciato sassi. Non era vero. Vi picchiamo perchè avete occupato la Diaz, non era vero niente. Bugiardi, tutti. Un branco di buguardi dai capi in giù e in su a coprirsi l’un l’altro per non rispondere delle loro responsabilità. Omertosi, mafiosi, pericolosi.
C’era una volta Genova e chi è tornato vivo da lì alla fine non credo abbia più guardato le forze dell’ordine allo stesso modo perchè lì abbiamo visto quello che possono fare, l’enorme potere che un esercito ha e come può usarlo per importi il silenzio, per farti rinunciare ad esistere e respirare.
Erano in tanti, un assedio militare, che arrivavano dappertutto e noi avevamo il brutto difetto di essere vivi e di essere dei testimoni di quanto stava succedendo perchè chi aveva sul petto la scritta Press prendeva legnate su legnate e vedevi distruggere la tua telecamera, la macchina fotografica perchè dovevano essere sicuri che tutto restasse entro quelle mura, quei vicoli, quelle strade.
Invece c’era il media center e c’erano questi ragazzi e ragazze che da ogni parte del mondo portavano testimonianze, sanguinanti, stanchi, sfiniti ma determinati a dire al mondo quello che stava succedendo e infine il sabato notte la punizione, perchè tutti avevano saputo, perchè la versione dei media mainstream non aveva retto l’urto di immagini crude che parlavano di un morto, tanti feriti, tanta crudeltà.
C’era una volta Genova e ci siamo noi che non vogliamo dimenticare e che ogni anno, in qualunque luogo e in qualunque modo ricordiamo quello che è successo, anche se non vorremmo, anche se ci fa male, anche se ci procura un dolore immenso e ci fa stringere il cuore e lo stomaco e ci fa sentire ancora una volta fragili, piccoli, minuscoli di fronte alla forza crudele del potere e dei suoi servi in manganello.
C’era una volta Genova e c’è ancora e ci siamo anche noi che non ci stancheremo di ricordarvi quello che è successo perchè è successo anche se tutti vorrebbero farci passare per matti. Trecentomila matti che hanno visto tutti le stesse cose e hanno subito gli stessi traumi.
C’era genova. Ci siamo noi. E vaffanculo al mondo, siamo vivi. Ed è vivo anche Carlo, che ride e sta con noi in corteo a dirci quanto è buffo quel coglione che lo chiama terrorista e quanto è bello il sole di questa giornata di luglio, una tra le tante, una bella giornata come quella in cui il sangue ha colorato di rosso Piazza Alimonda.
Siamo vivi e ridiamo perchè sappiamo convivere con l’immagine del sangue di compagni e compagne massacrate alla Diaz.
C’era Genova. Ci siamo noi.
Il 23 luglio, in piazza, ancora.
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