Qualche giorno fa condividevamo qui un appello per a liberazione di Amina, una blogger sequestrata in Siria.
Contemporaneamente si diffondeva in rete la notizia che Amina in realtà non sia mai esistita, che si tratti di una invenzione e che nessuno l’ha mai vista di persona.
Pensavo perciò che a prescindere dal fatto che esista o meno e che il colpo di scena sia inventato ad arte per ottenere attenzione sugli argomenti che racconta restano comunque le cose che scrive.
La rete è fatta così. Puoi essere chiunque tu voglia. A patto che tu non rubi l’identità o non cloni nulla di già esistente. A patto che tu non ti serva delle tue cyberidentità per diffamare, fare stalking, fare del male a qualcuno perchè quello in ogni caso è perseguibile dato che per ogni nickname o nome inventato c’è comunque un ip, una linea di connessione, un pc di partenza. E quelli sono ineludibili.
In generale però la presenza in rete rivestendo ruoli di qualunque tipo, affidando alle parole il ruolo principale, abbattendo gerarchie, differenza di classe, di sesso, di etnia, di religione, che comunque restano perchè alla fine la rete è fin troppo lo specchio della realtà, tutto questo è postgender, c’è la dimensione cyber, quindi non capisco la sorpresa.
Non capisco tutta questa voglia di schedare la gente. Mi sembra più compatibile con una esigenza di controllo, sebbene in questo caso cercare di capire se Amina esista oppure no corrisponda alla preoccupazione che l’ultimo post pubblicato da una presunta cugina che raccontava del suo rapimento abbia suscitato.
Semmai sarebbe interessante capire, se è vero che il personaggio sia stato inventato per fare audience, da chi è stato inventato e per quali ragioni. E questo può giudicarlo solo chi l’ha letta valutando i suoi argomenti prima che la sua identità.
E valutare gli argomenti prima che i titoli e le identità bisognerebbe farlo sempre dato che la rete, come noi sappiamo, è piena, per esempio, di maschilisti/misogini che copiano i siti femministi per ficcarci dentro le loro porcherie, i loro insulti nei confronti del genere femminile, le loro diffamazioni, la loro istigazione alla violenza contro le donne, il loro negazionismo.
Direi che da questa storia, se emerge (e io francamente spero si resti nel dubbio) che lei non è quella che dice di essere, spero si riesca a trarre questa fondamentale lezione.
Nel web l’abito cyber non fa il monaco e i contenuti contano più dell’apparenza.
Per Amina, chiunque ella sia: spero che tu stia bene!
“La blogger Amina Araf, la “ragazza gay di Damasco” diventata un simbolo della rivolta in Siria è in realtà un uomo, un americano di 40 anni della Georgia.”
http://27esimaora.corriere.it/articolo/amicizie-online-con-persone-mai-viste-ma-sappiamo-davvero-chi-ci-sta-davanti/