In Lazio, poco tempo fa, si è svolto un convegno importante in cui tra le altre cose sono stati diffusi i dati epidemiologici della violenza sulle donne ricavati dalla meticolosa indagine sulla documentazione presente nei pronto soccorso. All’iniziativa, invitata la presidente della regione, non si è presentata e dunque della questione, così come degli importanti dati resi pubblici in quella occasione, non ne ha parlato quasi nessuno se non in qualche piccolo trafiletto locale.
Si tratta di un progetto realizzato dall’Agenzia di sanità Pubblica della Regione Lazio, in collaborazione con la Società Italiana dei Medici di Emergenza-Urgenza (i medici dei pronto soccorsi) e con le associazioni che gestiscono i centri anti-violenza a Roma e nel Lazio (Differenza Donna, BeFree, Telefono Rosa)
Tra le pagine del sito insieme ai dati sulla violenza alle donne e ai bambini nel lazio si può trovare anche l’elenco completo e aggiornato con le mappe dei centri anti-violenza di Roma e del Lazio.
Il progetto prevede la messa a punto di linee-guida medico-assistenziali per l’accoglienza delle donne vittime di violenza nei pronto soccorsi e la formazione degli operatori al fine di sensibilizzare medici e infermieri/e, insegnargli a individuare e valutare i casi sospetti, mettere la donna nelle condizioni più agevoli e meno scoraggianti per decidere eventualmente di denunciare, raccogliere e conservare correttamente i campioni e i tamponi di valore medico-legale che potranno essere utilizzati in sede processuale , emettere prognosi adeguate (ad esempio una prognosi superiore ai 15 giorni fa scattare un’indagine d’ufficio anche se non c’è una denuncia da parte della donna).
Iniziative del genere possono essere sollecitate anche in altre regioni
Ormai da anni le regioni, che gestiscono la sanità, gestiscono anche i cosiddetti sistemi informativi sanitari, ovvero la raccolta dei dati di tutte le prestazioni sanitarie erogate negli ospedali o nel territorio dai cosiddetti “soggetti erogatori” sia pubblici (ASL, Ospedali, policlinici Universitari e IRCCS – Istituti di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico) che privati autorizzati (che erogano servizi sanitari totalmente a carico dei cittadini, quindi totalmente privati) o accreditati (che erogano servizi sanitari per conto della regione, i cosiddetti convenzionati, con le stesse tariffe del pubblico).
I dati vengono raccolti sia a fini statistico-epidemiologici, che a fini di programmazione dell’offerta sanitaria: strutture, servizi, uffici, valutazione dei bisogni, programmi di prevenzione (screening) e di formazione (sia degli operatori sanitari su questioni specifiche di sanità pubblica, che campagne informative rivolte ai cittadini )
Tutti i soggetti erogatori sono obbligati in base a leggi nazionali, decreti del ministero della salute, e leggi regionali ad hoc a raccogliere questi dati.
I dati informatizzati (nel caso dei sistemi informativi ospedalieri) non sono altro che la trasposizione informatizzata delle cartelle cliniche di pronto soccorso o di reparto di ricovero.
Nel caso dei pronto soccorsi sono direttamente i medici e gli infermieri a inserire i dati.
Nel Lazio ci sono 130 ospedali (52 pubblici, il resto privati autorizzati o accreditati compresi i policlinici e gli IRCCS privati e gli ospedali a diretta gestione della chiesa cattolica) elenco completo qui. Di questi 57 hanno anche il pronto soccorso
Ogni anno i PS del lazio producono circa 2.000.000 di cartelle cliniche informatizzate (RPS) in cui vengono registrate una enorme quantità di informazioni (identificazione della cartella, dati anagrafici del paziente, caratteristiche dell’arrivo del paziente in PS condizioni cliniche del paziente all’entrata in PS, breve storia clinica ed esame clinico del paziente, descrizione dell’attività svolta in PS (diagnosi, esami e interventi), destinazione del paziente, caratteristiche della dimissione dal PS, indicazioni fornite al paziente dimesso (prognosi, prescizioni, raccomandazioni), dichiarazioni di consenso informato per l’accettazione o il rifiuto di pratiche mediche, refertazione (referti medico-specialistici, medico-legali o affini assicurativi e previdenziali, generalità e firme: generalità dell’accompagnatore, firma del paziente o del tutore).
Tutto questo per chiarire che i dati sulla violenza contro le donne pubblicati in occasione di questo convegno sono inconfutabili perchè rimandano alle cartelle cliniche e qundi non parliamo più di stime, di inchieste telefoniche di cui si può criticare (strumentalmente) l’impostazione, ma parliamo dell’emersione di un problema di salute pubblica e di costi che vengono pagati da tutta la società.
L’unica “critica” che si può fare è che siccome i dati analizzati sono relativi solo ai casi di “aggressione” dichiarata, tali dati non possono che sottostimare il fenomeno.
Basterebbe infatti analizzare i casi di donne che accedono con le stesse diagnosi (le diagnosi vengono codificate secondo il sistema internazionale di classificazione delle malatie ICD-IC-CM versione 2007) ma dichiarando un motivo diverso dall'”aggressione” (ad esempio dichiarando “incidente domestico”) , o i casi di accessi ripetuti (più del 40 % delle donne vittime di violenza vanno più di una volta in un anno in Pronto Soccorso, quando normalmente le persone secondo la letteratura scientifica internazionale e anche secondo quanto ognuno di noi può facilmente percepire guardandosi intorno, vanno una volta ogni 2-3- anni,).
Cosa fondamentale da ricordare è che ogni regione possiede questi dati gestiti da un ente omologo dell’agenzia di sanità pubblica del Lazio (vedi qui per un elenco), e magari non hanno ancora pensato, come si è fatto nel Lazio, di analizzarli in un ottica di genere e di andare a vedere i casi di violenza che arrivano alle strutture sanitarie o noi non ne siamo informate.
Dunque per chi è interessat* a trarre questa informazione può eventualmente scrivere e sollecitare la pubblicazione di questi dati.
O può chiedere un elaborazione ad hoc per conto di un gruppo o di una associazione, o anche come studenti o professionisti per una tesi di laurea, una ricerca o un articolo scientifico.
Perchè si tratta anche di un problema di open-data e di democrazia. Ogni anno gli enti sanitari raccolgono dati fondamentali sulla nostra salute e sulla qualità delle nostre vite. Ad oggi tali dati sono utilizzati dai politici solo per giustificare i tagli ai servizi sanitari.
Sarebbe ora che si cominciasse a utilizzare questi dati per il bene comune, e nell’interesse di tutti i cittadini uomini e donne.
Sullo stesso sito che vi abbiamo segnalato potete trovare altre interessanti pubblicazioni a questa pagina
-rapporti annuali sulle nascite e sugli aborti
-rapporti sull’uso (abuso) di ricorsi al taglio cesareo nei repari di maternità pubblici e privati
-indagine sui servizi svolti dai consultori del lazio ed elenco completo degli indirizzi dei consultori