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VITE ALLA CATENA

Per Blue, Bimba, e
tutti gli animali, umani e non umani, che non sono riuscita – ancora o purtroppo
per sempre – ad aiutare.

Il mio sguardo di femminista animalista è terribilmente allenato nel cogliere le similitudini nei vari modi in cui la crudeltà umana si
dispiega verso l’altro da sé… così allenato che, il più delle volte, il mio stesso sguardo si fa sguardo Altro, causandomi una sofferenza inaudita, una rabbia e un senso di impotenza che mi lasciano annichilita.

Le catene – così come le gabbie -reali o simboliche, sono tra le più potenti rappresentazioni di dominio, di schiavitù. Tra tutti gli
strumenti di oppressione figurano tra i più efficaci: privano della libertà, costringono in uno spazio angusto, condannano alla tortura quotidiana, per mesi, anni… al dolore senza speranza di una fine, se non forse, la morte.

Il mondo nel quale viviamo è un mondo barbaro e violento: le catene che ci vengono imposte, quelle tangibili alla stregua di quelle,
invisibili, dei ricatti a cui siamo quotidianamente sottopost*, ci impediscono di aprire le ali e spiccare il volo. Allo stesso modo le catene che noi stess* imponiamo agli altri animali, umani e non, testimoniano del nostro stesso sadismo e sete di potere… di quanto sia difficile sfuggire alle logiche del dominio.

Quante volte nella mia vita il mio sguardo ha incrociato quello di un cane alla catena non lo so: tante, troppe volte… quegli sguardi si
sovrappongono e si confondono. Quello che so, è che non li ho mai dimenticati.

Esseri viventi eternamente e incolpevolmente condannati. Nessuno stimolo per loro, nessun affetto. Cose, proprietà, oggetti di cui
disporre e di cui, eventualmente, disfarsi. Li ho visti tremare di freddo in pieno inverno, l’acqua nella ciotola arrugginita – quando c’era – ghiacciata. Li ho visti ansimare affannosamente d’estate, tutto il giorno sotto un sole impietoso con un dito di liquido verde di alghe per dissetarsi. Li ho visti perlopiù magri, sporchi, e disperati.

Ho desiderato ardentemente dentro di me far provare a quegli umani che li hanno traditi, la stessa tortura, anche solo per un infinitesimo
del tempo che loro, invece, hanno dovuto subire. Farli sentire, impotenti, sofferenti, dimenticati. Sentire la rabbia, sentire la disperazione, sentire il dolore, e non poterlo esprimere. Io stessa mi sono sentita così tante, troppe volte: questa incuria mi ha flagellato e mi flagella tuttora il cuore, dal momento che, almeno in Italia, la legge permette questo ed altri vergognosi scempi.

La legge applicabile in materia sembra quasi una barzelletta:  prevede una lunghezza minima della catena – la lunghezza minima della prigionia, quasi mai rispettata – prevede ore obbligatorie di libertà – e come provare che questa libertà non è mai, MAI  concessa?  – prevede condizioni minime di sussistenza… sì, perché qualsiasi essere umano dotato di raziocinio e onestà intellettuale parlerebbe di mera sussistenza, NON  CERTO DI ESISTENZA. La tortura peggiore alla fine, è e resta quella psicologica, che il legislatore lungimirante NON HA PREVISTO.

Rivedo quegli occhi, soli, che fissano i miei: sento i guaiti disperati,  riconosco i percorsi stereotipati, i solchi per terra creati da anni di movimenti limitati.

Come ogni volta percepisco la mia mano – quasi fossi in un sogno – staccata dal resto del mio corpo, avvicinarsi porgendo un biscotto al
muso sdentato… la testa si avvicina, ma il biscotto cade, e invece sento, sotto alle mie dita, quel pelo arruffato, la testa piegata in cerca non di cibo ma… di carezze. Sento il mio cuore straziato.

Odo nuovamente nelle orecchie le scuse di quegli esseri arroganti, di quei bastardi crudeli e sadici: loro al cane vogliono bene, loro
non lo cederanno mai, il cane MORIRA’ con loro… e quelle parole, quelle stesse parole mi fanno ripensare alle violenze subite da certe donne, a quella volontà totale e assoluta di dominio su un altro essere che parla immancabilmente di morte.

Violenze che lasciano sulle vittime segni che nessuno sembra mai vedere.

Violenze che feriscono nel corpo ma soprattutto nell’animo. Legate al ricatto economico, isolate nell’oppressione dall’indifferenza (quando non dalla connivenza), chiuse nella gabbia della paura… troppe donne mi appaiono spesso invisibili come cani alla catena.

E come cani alla catena ad un certo punto anche loro smettono di guaire, si rassegnano:  quando capiscono che nessun orecchio le
ascolterà, nessuno sguardo si poserà su di loro, sulle loro sofferenze, sui loro lividi violacei, sulle loro richieste di aiuto, sulle loro vite condannate.

Anche le loro schiene, ad un certo punto, verranno spezzate nel più assordante dei silenzi mai uditi, proprio come quelle dei cani.

Dove siamo noi? Abbiamo o no il coraggio di aprire gli occhi? Di soffrire con loro, di lottare al fianco di chi non è in grado di farlo,
contro la sopraffazione? Sapremo tenere testa al violento, e a chi con lui collude, anche quando si tratta di noi stess*?
O al ‘rappresentante della legge’, che rimprovera un sadico criminale come farebbe con un bambino sorpreso a rubare le caramelle di ‘non farlo più’, mentre la vittima di tanta brutalità ci guarda negli occhi, aggrappata all’unica flebile speranza in una vita odiosa e disperata? Riusciremo a non arrenderci alle enormi difficoltà, agli inevitabili fallimenti, all’insormontabile angoscia che ci spingerebbe altrimenti a voltarci, a pensare ad altro, ad indurire la pelle, a gelare lo sguardo, a dire a noi stess* che ‘abbiamo fatto ciò che potevamo’ che ‘dipendesse da noi, ma…’. E’ una fatica immane, per questo non dobbiamo lottare sol*. Dobbiamo cercarci, aiutarci, essere vicin*.

Il dominio è un’Idra dalle infinite teste, da cui nessuno può dirsi immune.

Ognun* di noi può però fare tantissimo, riconoscendo in sé i germi dell’alienazione che ci rende mondi separati incapaci di comunicare.

Per un mondo senza catene, senza gabbie, senza confini, per tutt* quell* che non hanno potuto e non avranno ancora per troppo tempo occasione di conoscerlo… a tutte le vite private della propria dignità e sparite nel nulla, dedico la mia lotta e tutto il mio amore.

 

Posted in Corpi, Ecofemminismo, Omicidi sociali, Pensatoio, Personale/Politico, R-esistenze.


2 Responses

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  1. Imma says

    E non solo la connessione è lampante – il senso di possesso, l’animale ridotto ad oggetto di proprietà, meglio morto che con qualcun altro che se ne prenda cura – ma c’è anche un’altra ulteriore lettura di tutto ciò.
    Da molto tempo mi ritrovo a pensare a come i pregiudizi sulle donne ben si sovrappongano a quelli sui gatti. Da gattara ne ho viste e sentite di ogni ed ho sempre trovato molto disprezzo nei confronti dei gatti proprio da quelle persone, in gran prevalenza uomini, che sentono il bisogno di dominare gli altri: queste in genere dicono di amare i cani, che chi i cani sì che son veri animali, i cani sono fedeli, i cani vogliono bene al padrone e soprattutto lo rispettano, gli si sottomettono. Di fatto, nonostante il loro dichiarato amore li considerano come schiavi che devono subire passivamente ogni cosa.
    E queste stesse persone, quali caratteristiche riconoscono ai gatti che glieli fanno disprezzare tanto?
    I gatti sono indipendenti: questa pare essere la più grave, la più imperdonabile; i gatti sono opportunisti: a loro interessa solo quello che di materiale hai da offrire; i gatti sono traditori e dei venduti: quando ciò che tu, materialmente, offri non basta più o non è di gradimento sono pronti a mollarti ed andare col primo capita, che li avrà comprati offrendo di meglio; i gatti non rispettano il padrone: credo vada letta con “non si sottomettono”; i gatti sono infidi, negativi, pazzi, non ci si può fidar di loro.
    Di norma – per quel che ho visto, saputo, conosciuto direttamente – queste persone non hanno un grande amore nemmeno per le donne. E non scordiamoci che l’animale associato alle streghe era proprio un gatto.

  2. antonella says

    grazie…è bello leggere ogni tanto di sorelle femministe antispeciste.
    ne dovremmo parlare di più.
    la presa di coscienza può rendere molto sensibili ad ogni piccolezza impercettibile che l’occhio empatico coglie quando si posa lo sguardo sugli altri animali e la natura tutta.
    stesse gabbie, stesse catene.
    la connessione è lampante.
    antonella f.