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Pas, creazione del consenso e inibizione del dissenso: Il contesto, la costruzione di una cultura e di una ideologia

http://nopas.noblogs.org/files/2010/11/pas-junk-theory1.jpgHo rubato e integrato varie parti di un intervento di una nostra amica a proposito della costruzione culturale, ideologica, della Pas negli Stati Uniti (mi spiace non poter illustrare le sue meravigliose slide). Ne è venuto fuori quello che vedete sotto. Buona lettura!

Pas, creazione del consenso e inibizione del dissenso

Il contesto, la costruzione di una cultura e di una ideologia

E’ interessante vedere quale strategia comunicativa ci fosse nella costruzione del consenso intorno alla Pas. Parlo della strategia culturale e comunicativa con l’analisi della parole d’ordine che l’hanno caratterizzata. Perché questa strategia di comunicazione è pensata per vendere un prodotto inesistente, come il fumo, e quello che sappiamo è che imprime fortemente una cultura e che anche quando il prodotto rimarrà invenduto tutti continueranno a canticchiare il jingle dello spot.

Facciamo dunque finta si tratti di qualcos’altro. Della vendita di un prodotto rispetto al quale sono applicati tutti i meccanismi di marketing per la sua promozione. Tentiamo anche di contestualizzare dal punto di vista storico in rapporto agli Stati Uniti.

L’inizio di questa strategia ha inizio con la fase di riflusso, fine anni ’80, rispetto alle lotte delle donne che hanno portato a tante conquiste di civiltà e che hanno ottenuto maggiori garanzie e difese.

Quali erano gli slogan degli anni settanta?

Il corpo è mio e lo gestisco io.
Che significava una serie di cose che andavano dal diritto alla maternità ad una sessualità libera e consapevole, alla libertà d’uso dei contraccettivi, alla possibilità di trovare punti di riferimento territoriali e gratuiti, i consultori, ai quali rivolgersi.

L’altro slogan era:
tremate tremate le streghe son tornate

uno slogan che si riappropriava, capovolgendone il significato, di un termine – “streghe” – usato fino a quel momento in senso negativo contro le donne e che rimandava ad una immagine non più vittimista delle donne ma combattiva, forte, perché assieme a tante altre donne, per riprendere in mano la loro vita, lottare per conquiste importanti, il diritto al lavoro, all’istruzione, al voto, alla partecipazione alla vita pubblica e nel privato dimostravano quella forza con decisioni delle quali pagavano spesso le conseguenze. Il divorzio, la possibilità di lasciare un uomo con il quale si stava male, un uomo con il quale non si andava d’accordo, un uomo violento.

Il corpo è mio e lo gestisco io
Dunque decido di non essere stuprata, di non subire più violenza

Le streghe son tornate
Perciò sono io che decido ora di denunciarti, di perseguirti legalmente per le violenze che mi hai inflitto perché le streghe non hanno paura, le streghe sono forti e determinate e sanno quello che vogliono.

Il corpo è mio e lo gestisco io
Dunque decido anche di amare chi preferisco. Posso voler amare un uomo che non mi fa del male o posso voler amare una donna e questo non deve essere proibito da nessuno.

Basta con lo sfruttamento delle donne in lavori non retribuiti. Basta con l’internamento nei manicomi e nei reparti psichiatrici degli ospedali perché non si accettava di subire convenzioni e imposizioni sociali.

Erano stati anni tremendi in cui dopo la guerra vi fu il pacifismo, le lotte per i diritti civili degli afroamericani, le lotte per le donne.
La reazione sociale e politica fu di tipo repressivo.

La società americana è strutturata su cardini conservatori. Vive sostanzialmente di alcuni dogmi. Alcuni tra questi sono rappresentati dai movimenti antiabortisti, i gruppi per la purezza che impongono l’astinenza sessuale, la psichiatria al servizio dell’ideologia e via così.
Alcune categorie sociali sono state duramente colpite dalla psichiatria. L’omosessualità veniva contestata come malattia. Le ragazze che si rifiutavano di obbedire e di diventare delle brave figlie prive di aspirazioni se non quella di sposarsi, venivano chiuse nei manicomi.
La conquista dei diritti civili che mettevano fine ad anni di schiavitù, discriminazione, sfruttamento, razzismo, crudeltà contro donne e bambini veniva aggirata da questa scienza che per fortuna al suo interno ha sviluppato una larga corrente progressista che ha operato per metterla al servizio delle persone.

Dicevo a proposito dello slogan “il corpo è mio e lo gestisco io”.
La società americana non si è mai arresa al fatto che la donna sfuggisse a ruoli precisi. Quelli di cura all’interno della famiglia e quello riproduttivo innanzitutto.
Siamo negli anni ottanta, periodo in cui l’economia va bene, o almeno così sembra, le leggi sono orientate al rispetto dei diritti delle persone discriminate.
Leggi severe contro abusi su donne e bambini. Garanzia del diritto al divorzio. Difese sul posto del lavoro. Libertà di scelta.
Tante donne danno tutto per scontato.
Proprio in quegli anni assistiamo ad una recrudescenza delle violenze in famiglia, inflitte da uomini che puniscono donne che non accettano più di essere sottomesse.

Proprio in quel momento i conservatori mettono in atto la strategia di costruzione di una cultura che mira nuovamente al controllo di alcune aree sociali.

Se lo slogan era “il corpo è mio e lo gestisco io”
L’altra parte tuona “sarà così ma non gestisci quello che porti dentro”.
Il corpo delle donne diventa ostaggio di antiabortisti e familisti. Persone che dichiarano di non aver nulla da eccepire rispetto alla liberazione della donna ma che intraprendono una lotta all’ultimo sangue per il controllo del grembo materno.
Il periodo successivo è fatto di campagne di demonizzazione e criminalizzazione delle donne.
Varie individualità investono energie in una crociata senza limiti per la difesa dell’embrione. Una crociata non priva di fanatismi e integralismi che hanno talvolta portato al linciaggio e all’omicidio di medici che praticavano l’aborto.
La donna, dunque, nell’immaginario collettivo subisce una grave retrocessione.
Si stabiliscono i contorni morali entro i quali deve muoversi. Viene contestato il suo diritto a scegliere del suo corpo. Viene definita una assassina. E’ di nuovo una strega ma questa volta nel senso inteso dall’inquisizione cattolica, pronta per essere portata al rogo.
Si sceglie dunque di divulgare una immagine femminile che corrisponde ad una donna immatura, irresponsabile, che non può assolutamente decidere per sé perché non sarebbe in grado di decidere per nessun altro. Una donna, insomma, che ha bisogno di un tutore, un uomo, il padre, il marito, lo Stato o lo psichiatra.

E’ il periodo in cui il termine “femminismo” viene messo al bando perché svuotato di senso e usato come insulto contro qualunque donna dotata di senso critico e non incline all’obbedienza.
La fase delle conquiste precedenti viene demolita, giorno per giorno, con l’uso di media che diffondevano una immagine delle donne sempre negativa.
Frequenti erano i film o le serie televisive che rappresentavano donne sessualmente libere e intraprendenti nel lavoro, come arpie che attentavano alla sicurezza familiare. Spesso la donna sessualmente libera veniva descritta come una assassina. Lui, l’uomo che era caduto nella sua trappola, alla fine viene salvato dalla cara, buona, obbediente e vecchia moglie.

C’è stata la criminalizzazione dell’intraprendenza lavorativa delle donne. Una donna che lavorava veniva definita in senso dispregiativo “donna in carriera” e contro di lei sono stati scritti fiumi di parole.
Ed è appunto attorno alla figura della donna in carriera che ha inizio la campagna dei movimenti per i diritti dei padri, i cosiddetti father’s movement.

Sicuramente ricorderete il film Kramer contro Kramer. La protagonista è una donna che prima lascia il figlio per costruire una carriera e poi torna a riprenderselo e sorprendentemente ottiene l’affidamento al quale rinuncia rendendosi conto del grande amore che lega padre e figlio.
Se per un breve periodo veniva descritta come figura positiva colei che riusciva a rendersi indipendente dal nucleo familiare e che rispetto al figlio esigeva la responsabilizzazione, anche in termini, economici, del padre, tutto ciò cambiò radicalmente.

Se “donna libera” sta dunque per “donna cattiva”. “Donna che lavora” sta per “donna egoista”, che pensa solo a se stessa. Di contro la donna che non lavora a che esige il mantenimento per i figli diventa una donna avida o una mantenuta.
La conquista dei diritti civili subisce un arresto.
Le donne vengono aggredite in ogni modo possibile. La loro identità viene distrutta.

Siamo in pieno periodo di riflusso e la strategia di comunicazione che realizzava le basi per una revisione delle leggi crea una forte divisione sociale tra i generi.

Siamo in periodo di guerra fredda che è sintomo di persecuzione di sentimenti progressisti. Tutto si fa per amor di patria e tutti i comportamenti non allineati vengono giudicati antiamericani.
Va di moda l’esaltazione di una figura di donna ricorrente in molte produzioni televisive e cinematografiche. La moglie del soldato, fedele e obbediente fino a che lui non torna in patria.

In questi anni si rafforza la convinzione che il corpo delle donne è delle donne ma fino ad un certo punto.
Il loro diritto ad una maternità responsabile torna ad essere un dovere da svolgersi entro recinti ben precisi.
Meglio se dentro il matrimonio. Fanno scandalo le donne che scelgono di avere un figlio da sole. Ancora di più fanno scandalo quei figli che nascono o vengono adottati da coppie lesbiche o gay.
I figli diventano lo strumento attraverso il quale la società patriarcale impone un freno al progresso.
Arriviamo agli anni novanta, nell’America che fu di Reagan e che sarebbe stata dei Bush. Un progresso viene descritto come un regresso e un regresso viene descritto come qualcosa di nuovo.
L’America vive di suoi integralismi. Gli americani sono educati a suon di inno nazionale e paure.
La paura dei nemici, dei terroristi, dei comunisti, dei gay, delle lesbiche, delle donne disobbedienti, dei pedofili (quelli estranei poiché si censurano invece informazioni sui pedofili in famiglia).

Scorrono simboli di uno Stato forte, che usa la paura per riuscire a tenere saldo il potere.

Le stesse lotte per i diritti civili perdono la capacità laica di trovare soluzioni sociali senza aderire alla logica dei linciaggi.

Era culturalmente sparita la donna determinata e decisa, in grado di difendersi dalle violenze di un uomo e in grado di difendere suo figlio. Veniva soppiantata da una donna vittimista, che rivolgeva la sua richiesta di aiuto ad un potere superiore, che aspettava sempre di essere salvata dallo Stato o da un altro uomo. L’eroe. Il patriota.

Era stata soppiantata da una donna che non riusciva più a coltivare sorellanze con altre donne perché anche lei educata a pensare che delle donne non poteva mai fidarsi.
Nel momento stesso in cui le donne hanno cominciato ad aderire acriticamente alle stesse formule securitarie introdotte nell’ordinamento giuridico delle varie nazioni degli stati uniti, perdono credibilità e perdono anche la possibilità di gestire il dibattito pubblico per portarlo ad un livello culturale differente.
Noi sappiamo, per esempio, che nonostante la pena di morte, la certezza della pena, presunta o reale, i braccialetti elettronici, gli agenti di sorveglianza, i registri pubblici dei condannati per abusi sessuali nei confronti di minori, comunque le cifre delle violenze non sono diminuite. Anzi.

Le donne non hanno la forza di spingere affinchè la campagna contro la violenza sulle donne sia ragionata a partire dalla critica alla comunicazione e alla propaganda politica. Lo stupratore non si trova per strada, non è un estraneo ma più spesso è in famiglia. Il pedofilo raramente è un estraneo ma molto più spesso sta in famiglia. Colui che mette in pericolo la vita di donne e bambini è più spesso in famiglia.

Mentre decine di telefilm e prodotti cinematografici mostravano al mondo come erano efficienti le forze di polizia nei confronti del predatore estraneo e nomade alla ricerca di ragazzine, le donne, le madri, restano sole a gestire l’unico contesto intoccabile, quello che nessuno vuole mettere in discussione, quello in cui tutto apparentemente funziona a meraviglia, quello su cui si basa il welfare economico di ogni stato esistente, ovvero la famiglia.

I conservatori che mirano al mantenimento dei loro privilegi colgono il momento per infliggere il colpo di grazia alle donne.
Da perseguitate vengono descritte come persecutrici perché aderenti ad una modalità fortemente giustizialista. Gli uomini vengono descritti in quanto vittime di una caccia alle streghe. Vengono descritti in quanto martiri. Delle donne si costruisce un modello positivo solo se accettano di tacere, dunque di accettare la logica dell’omertà.

Frequente la raffigurazione di un’immagine femminile misogina che incarna un banale sillogismo ampiamente diffuso:
la donna odia l’uomo;
la donna vuole vendicarsi con tutti gli uomini;
la donna accusa un uomo spinta da odio.

All’uso dei media per schierare colpevolisti e innocentisti in processi di vario genere si affianca la nascita di gruppi che usano l’immagine negativa attribuita alle donne come attenuante e come tecnica di difesa.
Persone che si dotano di specialisti, o presunti tali, che offrono consulenze all’interno dei vari processi.
Il ruolo di consulente testimone della difesa è una professione ambita. Si accede a tale professione se si ha un curriculum, vero o presunto tale, e qualche pubblicazione all’attivo.
Se poi si è così bravi da elaborare perfino una teoria che può spostare la discussione, allora tutto diventa più semplice.
Una delle tecniche frequenti all’interno di processi in tanti sistemi giuridici è quella di screditare l’accusa e restituire credibilità alla difesa.

E’ complicato però screditare l’accusa in un contesto che sembra indignarsi fortemente contro abusi e violenze. Viene perciò costruita un’estetica della vittima di violenza. Mai aggressiva, arrabbiata, ma passiva, fragile, confusa.
Perché è più semplice demolire l’immagine di donne che reagiscono, tacciate di aggressività attribuendo alla rabbia e al diritto alla difesa una caratteristica negativa. Ed è molto più complicato demolire l’immagine di vittime di violenza adempiendo al ruolo della donna fragile che si affida, che riconosca un salvatore, un eroe, che la salvi dalla sua situazione.

Schiacciate da quella dimensione, nella quale qualsiasi reazione autonoma delle donne viene comunque considerata negativa, possono muoversi solo in un piccolo spazio entro il quale è difficile difendersi dall’accusa di essere bugiarde. Costrette al ruolo passivo di vittime, è difficile rialzare la testa mentre c’è chi le accusa di essere affette di una sindrome che chiameremo Pas.

In termini comunicativi che cos’è la Pas se non la riedizione del Malleus Maleficarum, il martello delle streghe, quello scritto dal frate domenicano e che fu strumento di persecuzione delle donne in tutto il periodo dell’inquisizione cattolica. Bisogna leggere i testi di Gardner per capirlo.

E’ essenziale analizzare il gergo.
La sindrome viene definita “della madre malevola”. L’origine del male per Gardner, teorico della Pas, è quell’immagine di donna che difende se stessa e i suoi figli.
Una donna che lui descrive come cattiva, bugiarda, che sarebbe in grado di inventarsi qualunque cosa pur di punire l’ex coniuge.
E’ il capolavoro, la meravigliosa opportunità al culmine di una strategia di regresso sociale che mira anche a rimettere al proprio posto le donne.
Le donne che denunciano di aver subito violenza dai mariti vengono accusate di un utilizzo spregiudicato di false accuse per ottenere vantaggi economici e l’affido dei figli. Se nel corso di una separazione i bambini dichiarano di non voler stare con i padri e li accusano di abusi allora in quel caso la strategia cambia.
E’ sempre impopolare accusare un bambino di essere un bugiardo. Dunque la colpa sarà sempre della madre, ovvero colei che l’ha indotto a dire una bugia e che perciò risulterebbe affetta da una malattia.
Non lo fa perché è cattiva. Lo fa perché è malata. Perché è pazza. Dunque bisogna che lo Stato, a lei debole, fragile e indifesa, che si è adattata nel ruolo di vittima, passiva, che si è affidata allo Stato che avrebbe dovuto salvarla dalle violenze, le imponga una cura e così la guarisca.

Siamo di nuovo, come tanti anni prima, alla patologizzazione delle rivendicazioni delle donne. Siamo di nuovo all’uso della psichiatria per il mantenimento di alcuni privilegi e per reprimere le diversità e i diritti individuali.

Qualunque donna che rivendica garanzia di diritti, garanzie per la propria incolumità e per quella dei suoi figli, è descritta come una donna cattiva, o bugiarda tout court.
E’ una donna malata. Bisogna aiutarla, curarla. Così come bisogna curare quel bambino che aveva denunciato di non voler restare con il padre perché magari lo aveva visto picchiare sua madre o era stato picchiato o abusato lui stesso.

La terapia viene definita “della minaccia”. E si tratta effettivamente della minaccia di allontanare un bambino dalla persona che prova a proteggerlo. E’ una minaccia che induce al silenzio per paura di perdere contatto con la madre. L’altro termine terapeutico che viene citato spesso è “de-programmazione” lasciando intendere che il bambino sia stato sottoposto ad un “lavaggio del cervello“. Nella pratica: se un bambino denuncia di aver subito violenza dal padre e qualcuno riconoscerà in lui gli incredibili sintomi della Pas allora sarà sottoposto a deprogrammazione, ovvero sarà allontanato dalla madre, che è l’unica persona con la quale vorrebbe restare, e gli sarà praticato un “lavaggio del cervello” affinchè dichiari, a seguito della minaccia di non poter rivedere più sua madre, che le sue accuse sono state inventate.

La strategia di comunicazione a sostegno di questa teoria si compone di vari elementi.
Innanzitutto, la demonizzazione e la patologizzazione delle vittime e la vittimizzazione degli accusati.

Poi: l’accreditamento delle teorie. Dunque dare un ruolo specifico differente a chi le ha pronunciate.
Di Gardner taluni diranno che era uno psichiatra docente alla Columbia University e il New York Times, in una errata corrige dice:

Correction: June 14, 2003, Saturday An obituary on Monday about Dr. Richard A. Gardner, a psychiatrist and psychoanalyst, misstated his position at Columbia University. He was a clinical professor of psychiatry in the division of child and adolescent psychiatry — an unpaid volunteer — not a professor of child psychiatry.

Che la sua posizione presso la Columbia era invece quella di volontario/ricercatore, dunque gli era proibito tenere lezioni.
Taluni diranno che le sue teorie sono state ampiamente seguite e tanti altri, qualificati per fare queste affermazioni, invece specificheranno che le sue teorie sono Junk Scienze, Scienza spazzatura.

Un folto gruppo di affezionati discepoli fa largo uso delle sue teorie, documentandole in ogni luogo possibile. Larga parte dei siti in lingua inglese dedicati all’argomento usano come fonte bibliografica esclusivamente i testi del Signor Gardner. Quei testi che lui stesso si era pubblicato.

Molti siti di autorevoli associazioni americane, di scienziati, avvocati, procuratori legali,  spiegano che si tratta di teorie non comprovate, non sperimentate, che nella loro applicazione in sede giuridica hanno determinato serissimi problemi per i bambini.

Lo spiegano anche i Corageous Kidz, i bambini coraggiosi, che a suo tempo sono stati affidati, grazie alla Pas, ai padri violenti e che ora denunciano di pretendere un risarcimento dallo Stato per tutte le violenze subite.

Le pagine di Wikipedia (in questo caso parliamo di quelle in lingua inglese), che possono essere redatte da chiunque, sono piene di notizie, prive di fonti attendibili, che riguardano la Pas, così come sono piene di un gergo che i movimenti che la sostengono hanno appositamente inventato.

Tra i termini descritti ne ricorre uno, che realizza perfettamente tutto il percorso a ritroso nei diritti civili per le donne che abbiamo definito fino ad ora:

nazifemministe.

Un termine inesistente. Un ossimoro. Perché non si può essere naziste e femministe allo stesso tempo. Le femministe sono antinaziste per formazione, pratica, per l’ampia partecipazione alla resistenza antifascista.
Termini come questo ricorrono con l’uso di immagini retoriche che favoriscono una ulteriore demonizzazione delle donne.
Una demonizzazione che ricorre ai toni dell’emergenza.

Le donne che disobbediscono, che si ribellano alla violenza, che difendono i figli, che rivendicano i propri diritti, diventano nemiche, cattive, addirittura identificate con le naziste. Vengono descritte come donne pericolose che andrebbero rinchiuse, punite.
E i toni sono talmente esasperati che l’identificazione in negativo delle donne potrebbe diventare il pretesto per taluni fanatici che immaginano perfino di dover ricorrere alla violenza per difendersi.
Si tratta di eventualità plausibili. A Montreal, si ricorda ancora il tristemente famoso Massacro del Politecnico in cui Marc Lèpine, un tizio noto per la sua misoginia, entrò armato in una classe del Politecnico, separò i ragazzi dalle ragazze, intimò ai ragazzi di allontanarsi e sterminò 14 studentesse.
Non dimenticando lo sconosciuto che pochi mesi fa, a gennaio, sparando, si è fatto largo tra la folla, uccidendo anche una bambina di nove anni, per colpire la deputata del congresso Gabrielle Giffords, impegnata anche nella difesa del diritto di scelta nell’interruzione di gravidanza.

La demonizzazione è sempre seguita da una vittimizzazione. Uomini denunciati o condannati per violenze dichiarano che è tutto falso. Dichiarano di essere vittime di una persecuzione.
Si tratta di un totale capovolgimento di senso. Che include una critica feroce alla magistratura e un dibattito in cui frequentemente si fa riferimento alla depenalizzazione di alcuni reati che puniscono la violenza su donne e bambini.

Uomini accusati per stupro dichiarano che le donne hanno inventato tutto o che si trattava di rapporti consensuali.
E in spazi di dibattito, in talune occasioni durante le quali si discute di un uxoricidio, non è raro trovare commenti che giustificano l’assassino. Si trovano perfino spazi in cui si fa l’apologia di stragi già avvenute. Un anno fa è stato arrestato un blogger canadese per aver esaltato la figura di Marc Lepine, l’autore del massacro del Politecnico.

Dunque la donna è cattiva anche se uccisa. Perde così l’ultima occasione per poter definirsi vittima.
Vengono diffusi dati sulle cosiddette false accuse. Cifre che oscillerebbero intorno all’80% secondo i sostenitori della Pas e cifre che invece si attestano al 6% secondo le procure e le associazioni di soggetti che operano in campo legale che hanno realizzato una specie di vademecum in cui si definiscono i dieci miti attorno ai quali ruota tutta la questione.

Poi vengono confutati i dati sulla violenza contro le donne. Il negazionismo è l’ulteriore strumento di propaganda e accreditamento di movimenti maschili che insistono nel dire che la violenza contro le donne è un fatto assai ridotto e che spesso si risolve all’interno delle famiglie per responsabilità delle donne.
Invece viene diffusa con insistenza qualunque notizia che parli di violenze commesse dalle donne.

Il martellamento è continuo. La donna è cattiva, bugiarda, violenta e avida.
L’altra categoria propagandistica è quella che definisce le ex mogli come donne che impoveriscono gli ex mariti per gli alimenti.
Attorno a questa teoria, che viene esibita prendendo ad esempio divorzi tra vip, in cui le cifre sono certamente diverse da quelle di tutti i comuni mortali, si è costruita una scienza che parla di contratti prematrimoniali.
Nulla a proposito del fatto che un divorzio, rappresentando la frattura di un progetto portato avanti insieme, è certamente una cosa che impoverisce tutti e che mette in seria difficoltà le parti economicamente più deboli che spesso non trovano alcun sostegno.

Poi c’è la pratica comunicativa di chi esalta la Pas come strumento di salvezza di bambini vessati psicologicamente dalla madre. Ed ecco fiorire pagine piene d’amore nei confronti di bambini, definiti vittime inconsapevoli di madri crudeli.

Pagine che si contrappongono a quelle dei Corageous Kidz e che raccontano invece il punto di vista di bambini che dicono di aver apprezzato l’uso della Pas.

Esistono scritti che proclamano la giornata dell’Alienazione genitoriale e individuano la data nel 25 aprile. Quindi momenti simbolici e celebrativi per passare dalla teoria al consolidamento di una tradizione popolare.

E poi pagine di forte opposizione, nei confronti di qualunque articolo o video che svolge in senso critico l’argomento.
E’ il caso di un video abbastanza conosciuto, Breaking the silence: Children’s Stories, che è basato sulle storie di bambini che hanno subito diagnosi di Pas, che sono stati sottratti con la forza alle madri e che sono stati vittime di uomini violenti.

La contestazione più frequente è stata quella che quel video, per l’eco che ha avuto, avrebbe dovuto contenere anche l’opinione opposta e contraria. Come dire che i sostenitori americani della Pas ambivano a una par condicio.
E’ utile dire che tra i documenti analizzati e favorevoli alla Pas non è dedicato un rigo alle critiche poste, salvo quando le stesse critiche non vengono accuratamente demolite. Questo perché ovviamente, come dovrebbe avvenire in ogni democrazia, ciascuno può fruire di propri momenti di incontro e propri spazi per parlarne.

Da molti anni oramai in America di questo argomento si discute con toni più blandi perché la materia ha perso d’interesse e perché – secondo le notizie raccolte – sembra che non sia considerata definitivamente affidabile dal punto di vista scientifico.
C’è tuttavia chi alimenta il dibattito o chi lo sollecita – attribuendo alla presunta sindrome un altro nome: “Disordine di alienazione genitoriale” – nella speranza che dopo la bocciatura d’ammissione al DSM IV, il manuale diagnostico dei disturbi mentali, in cui sono definite le malattie prese in considerazione da una specifica commissione, il 2012 diventi invece un buon momento per un parere positivo.

Serve dire che per accreditare una qualunque teoria presso la commissione si sollecita di allegare la lista dei luoghi in cui quella teoria è stata applicata e istituzionalmente legittimata. Un controsenso: una presunta malattia legittimata dai tribunali prima ancora di essere riconosciuta come malattia. L’unica presunta malattia la cui terapia viene imposta dal giudice e non da un medico.

Quindi i toni del dibattito sono quelli di una campagna elettorale.
Spesso perde la caratteristica di un dibattito che dovrebbe svolgersi in modo laico, giacchè parliamo di scienza, ovvero qualcosa in divenire che deve lasciare spazio alla ricerca, alle osservazioni critiche. Non si tratta di un dogma, anche se viene imposto come tale, sicchè i contrasti tra le varie parti assumono toni esasperati, che con estrema difficoltà si concedono un ragionamento.

Non è raro trovare contenuti che definiscono scandalose le critiche che si oppongono alla Pas, quasi avessero commesso reato di vilipendio alla sindrome, alla Pas. Si possono trovare infatti pagine di vera e propria denigrazione, anche in termini personali, dedicate a chi – eretici ed eretiche – ha pronunciato critiche alla Pas. Pagine dai toni diffamatori.

E se la propaganda è arrivata a questo punto, riuscendo a criminalizzare l’opposizione per qualunque critica, siamo andati oltre la strategia di marketing per la vendita di un prodotto.

Il prodotto è già sul mercato. Il messaggio seguente è: Guai a chi lo tocca!

-→>>Tante conclusioni e analisi sugli Stati Uniti sono documentate dal libro di Susan Faludi, Il sesso del terrore. Gran parte di ciò che riguarda la Pas i linguaggi dei suoi sostenitori è documentato in tutte le traduzioni della documentazione in lingua inglese che potete trovare alla categoria Pas.

Posted in Misoginie, Pas, Pensatoio, Scritti critici.


2 Responses

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  1. cybergrrlz says

    Grazie Andrea! 🙂

  2. Andrea says

    COM-PLI-MEN-TI!!