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Esaltazione del femminicidio a teatro. Con tanto di applausi

La settimana scorsa ho accompagnato una mia amica a teatro; mi ci ha invitato perchè mi voleva far vedere quanto in basso fosse caduto il teatro in Italia. Non mi aspettavo una cosa così. Il testo dello spettacolo si chiamava “La Sora Pia c’aveva du fije…”, e voleva essere una commedia ambientata a fine dell’Ottocento nella Roma trasteverina. La storia ruota intorno a Sora Pia che deve “sistemare” le sue due figlie, Rosa e Maria: la prima, incarnazione di quella che non vuole mettere la testa a posto, e che deve mettere a tacere la sua esuberanza stando con gli occhi bassi e imparando a fare le faccende, sennò “nessuno te se pija”, e l’altra invece è l’incarnazione della santa, che sta sempre a pulire, lavare, stirare agli ordini della madre-padrona, che non “fa la scema” con gli altri ragazzi, insomma, la figlia perfetta, che inoltre, ovviamente, vuole farsi suora.

A Rosa aspirano 3 giovani: il timido, il coatto-aggressivo, il brutto ma buono… Tralasciando i commenti su quanto i personaggi non avessero una loro coerenza interna (tipo il timido che al momento del duello diventa improvvisamente coatto, spanzando con un coltello il brutto ma buono), i tre si sfidano, appunto, a duello, mostrando così ancora una volta che la donna, nonché ciò che lei pensa, non conta nulla. Indovinate un po’ come va a finire? Che Maria non si fa più suora, e si prende in sposa il brutto ma buono che lei aveva amorevolemente curato dopo le ferite riportate dal duello (e quindi lui la sposa proprio perchè si era presa cura di lui e perchè non si ribellava mai e non alzava mai gli occhi, al contrario della sorella), mentre la vicenda di Rosa è più complessa: all’inizio deve
andare in sposa ad un nobile forestiero di Napoli, il quale la stupra (non si dice, ma si lascia intendere dal fatto che lei si vergogna di ciò che è successo nei campi dove sono andati per una gita, ed è lecito, per l’autrice della commedia, che se ne vergogni, facendo passare il messaggio del “se l’è cercato”), e poi scappa. Lei deve vivere il suo disonore di donna senza verginità, e inoltre non ha più pretendenti: il brutto ma buono ama ormai l’altra sorella, il timido è andato a Firenze, dove ha conosciuto un’altra, e gli rimane quindi l’aggressivo, che se la vuole sì prendere in sposa, ma prima di ufficializzare il fidanzamento che fa? La prende a sberle in faccia. Il dialogo è andato più o meno così: “Non lo fai più, vero?” Ceffone, lei piange: “No…”, ripetuto in altre varianti più e più volte. Le avrà dato cinque/sei ceffoni.

Prima ancora di sposarsela, le dice che l’avrebbe maritata solo a patto che lei avrebbe smesso di fare la “ciovetta” (=civetta, ma anche puttana in generale). La picchia per circa 10
minuti, poi l’abbraccia, come ogni bravo femminicida fa. Le nozze si ufficializzano, e le due sorelle si sposano, ma c’è il problema dell’abito per Rosa: lei porta su di sé il disonore (messo in continuazione in evidenza, facendo passare il chiaro messaggio che lo strupro è una colpa!!), per cui: abito bianco sì o no? Lei piange, da
brava madonna redenta, e alla fine glielo si concede. Oltre al fatto che la commedia non mi è piaciuta per niente, qualcun@ potrebbe obiettare che in fondo si voleva rappresentare la donna nel passato e le sue condizioni all’epoca. Sì, peccato che lo stupro, le botte, il senso di colpa dello stupro che la ragazza deve sentir d’obbligo su di sé, e ancora, il fatto di _meritarsi_ le botte, sono cose che accadono ancora oggi, e nonostante ciò vengono presentate in chiave comica, dove lo sberlone e lo stupro fanno ridere il pubblico (lobotomizzato). Una donna picchiata non solo fa ridere, ma il suo persecutore viene anche applaudito a gran voce.

Femminicidio e sua esaltazione, a teatro, quindi, e con tanto di applausi.

Posted in Pensatoio, Personale/Politico, Scritti critici, Vedere.


2 Responses

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  1. Luz says

    Ma che orrore! Grazie per la recensione: non andrò mai a vederlo!

  2. Sergio says

    Il teatro in Italia non é solo caduto in basso…ma é già nel baratro…