Pare che un giornalista abbia dato il meglio di se immaginando di fare cosa gradita mentre scriveva di Yara come di una nuova Santa Maria Goretti. Perchè, secondo quanto riferisce un articolo, una ragazzina che resiste allo stupro per restare “pura” meriterebbe la canonizzazione. Sembrerebbe quasi che una donna che invece “pura” non è, nonostante subisca violenza, non meriti la stessa attenzione.
Viene in mente anche l’opinione di un Monsignore – di tutt’altra natura – che avrebbe detto che una donna che viene stuprata se la va a cercare, e temiamo che tra i due concetti si possa riscontrare qualche analogia. Così leggendo vorremmo capire in entrambi i casi in quale categoria siano inserite le donne vittime di stupro.
Per esempio: Yara, questa piccola donna che è stata brutalmente assassinata perchè qualcuno la desiderava al punto da non accettare un no, per il monsignore in quale modo se l’era cercata? Camminando per strada? Andando in palestra? Semplicemente esistendo?
E quali sarebbero le donne che non se la vanno a cercare? Quelle che stanno chiuse in casa, dove vengono stuprate anche di più? Quelle che mettono un burqa? Quelle che si sfregiano il viso per non suscitare il desiderio altrui?
E cercando di offrire nuovi spunti di analisi sulla vicenda: sa chi si concentra su questo problema che ogni donna che subisce una aggressione tenta di resistere? Lo sa che talvolta non ce la fa o che non trova degli aggressori così selettivi da ammazzarla senza prima comunque averla stuprata? Lo sa che una donna che resiste in un’aula di tribunale viene accusata di aggressione da quello stesso stupratore che in base a questo chiede una assoluzione (è avvenuto davvero)? Lo sa che invece una donna immobilizzata, che non è in grado di difendersi, massacrata, stordita dalle legnate, tenuta dal branco, in un’aula di un tribunale viene giudicata una che ci stava perchè non ha fatto abbastanza per dire no? Sa anche che se Yara fosse rimasta viva, e noi lo avremmo sperato tanto di più, si sarebbe scontrata con un sistema giudiziario che avrebbe processato lei sulla base della difesa degli accusati di stupro? Lo sa che se lei fosse rimasta viva sarebbe stata accusata di aver provocato? Che i suoi aggressori forse, come avviene in troppi casi, sarebbero stati assolti? Ha presente le storie di tante tredicenni o quattordicenni che abbiamo raccontato in questi anni? Con branchi di ragazzi che le hanno stuprate, aggredite, ridotte in fin di vita, strangolate, accoltellate, bruciate, legate e buttate in fondo ad un pozzo.
Lo sa che uno stupro è tale se si tratta di una attenzione non corrisposta? Lo sa che lo stupro è una violenza alla persona, alla sua autonomia, alla sua libertà di scelta anche in fatto di sessualità? Lo sa che lo stupro è una violenza nella violenza fatta da chi non accetta che le donne scelgano di avere relazioni che gradiscono? Lo sa che anche le donne che non sono “vergini” subiscono ogni giorno violenze su violenze?
Perchè se c’è da santificarle allora bisogna ampliare e di parecchio la casa delle sante. E il punto non è solo questo. Crediamo e anzi ne siamo certe, dato che ci occupiamo di lotta alla violenza contro le donne in modo costante, che le parole siano importanti tant’è che il web, per esempio, è pieno di persone che ci feriscono e che prendono a pretesto quello che è successo a questa ragazzina per continuare a imbastire mistificazioni che pongono le basi culturali per offrire ad un violentatore qualsiasi l’alibi per commettere un’altra violenza.
Perchè le parole hanno un peso e certi uomini non si assumono la responsabilità delle conseguenze di ogni parola pronunciata che ricadranno sulla vita di ciascuno di noi.
Ci sono centinaia di ragazzine la’ fuori che vengono aggredite, stuprate, maltrattate, da parenti, padri, nonni, amici, conoscenti, compagni, estranei, e nessuna merita di essere stuprata, nessuna se l’è cercata e nessuna può essere giudicata sulla base di convinzioni di chi ritiene più importante che si preservi la verginità piuttosto che la vita.
E’ proprio tutto sbagliato ed è in questo mondo così sbagliato che siamo costrette a vivere noi. Costrette a lottare, a difenderci ogni giorno, a sanguinare, a vederci etichettate da uomini che ci vivisezionano per stabilire chi tra noi è buona e chi cattiva, chi da uno lo stupro emerge pura e chi no, chi dalla morte manifesta un modello di santificazione e chi no.
Non è semplice capire parole del genere. Perchè il rispetto per le reciproche idee non può comunque esimerci dal dire che non siamo d’accordo. Perchè temiamo che si pronuncino parole che domani legittimeranno altri a farci del male.
Ditelo anche voi che non va bene così. Ditelo tutti/e. Perchè quello che subiamo è già abbastanza. Perchè nella lotta contro la violenza alle donne e alle bambine (e bambini) il nostro primo nemico è costituito da chi in modo in un modo o nell’altro, anche involontariamente, segna un percorso di giustificazioni morali a chi stupra e stabilisce una specie di graduatoria distinta delle donne stuprate.
Abbiamo ancora di che spiegare, faticare nella comunicazione in un contesto così culturalmente arretrato. Abbiamo di che lottare.
E chi ha mai detto che lottare contro la violenza maschile sulle donne è un pranzo di gala?
@maes
la tua intimidazione è stata archiviata, fotografata, registrata e finisce dall’avvocato (fa pure rima).
saluti