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Women of the revolution in Egitto!

http://www.we-change.org/english/IMG/arton840.jpg

Abbiamo tradotto un articolo che è stato pubblicato sul sito di Al Jazeera in inglese a proposito del ruolo fondamentale svolto dalle donne nella rivoluzione egiziana. Potete leggere l’originale QUI.
Sono testimonianze molto emozionanti, di una rivoluzione di cui credo si senta il bisogno anche qui.

Buona lettura!

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Quando la ventiseienne Asmaa Mahfouz scrisse su facebook che stava andando verso la piazza Tahrir al Cairo incoraggiando tutti coloro che volevano salvare il paese a fare come lei, la fondatrice del movimento per la gioventù del 6 Aprile sperava di cogliere l’attimo, dal momento che i tunisini avevano dimostrato che era possibile, tramite una rivolta popolare, sconfiggere un dittatore.

Mahfouz ha più tardi spiegato alla tv egiziana che lei ed altri tre del movimento andarono in piazza e cominciarono a gridare: “egiziani, quattro persone si sono date fuoco a causa dell’umiliazione e della povertà. egiziani, quattro persone si sono date fuoco perché avevano paura dell’intelligence egiziana, non del fuoco. Quattro persone si sono date fuoco per dirvi di svegliarvi, ci stiamo dando fuoco cosicché vi muoviate. Quattro persone si sono date fuoco per dire al regime: svegliati. Ne abbiamo abbastanza”.
In un video che ha messo più tardi online, e che si è diffuso molto velocemente, Mahfouz ha dichiarato: “finché dici che non c’è speranza allora non ci sarà speranza, ma se scendi in piazza e prendi posizione, allora ci sarà speranza.”
Le donne egiziane, proprio come gli uomini, hanno risposto alla chiamata della speranza. Ecco come descrivono lo spirito di Tahrir – il senso di uguaglianza che hanno provato e la loro speranza che il modello di democrazia instauratosi sarà portato avanti finché gli egiziani non avranno dato forma ad un nuovo panorama politico e sociale.

Mona Seif, 24 anni, ricercatrice.
Figlia di un’attivista politica che fu imprigionata al tempo della sua nascita e sorella di una blogger che arrestata dal regime di Mubarak – Mona Saif dice che niente l’avrebbe potuta preparare alla grandezza e all’intensità delle proteste.
“Non pensavo che stava per avvenire una rivoluzione, pensavo che se fossimo riusciti a mobilitare un paio di migliaia di persone allora sarebbe stato grandioso. Ero arrabbiata per la corruzione nel paese, per la morte di Khaled Said e per la tortura alla quale furono sottoposti i sospettati, mai condannati, dell’attentato alla chiesa Copta di Alessandria”.
“Ho capito che questa cosa stava divenendo più grande di quello che avevamo pensato quando venti mila persone hanno marciato verso piazza Tahrir il 25 di Gennaio. In quel momento abbiamo visto un cambiamento; non era più per il salario minimo o per leggi speciali. E’ diventato molto di più di questo, è diventata una protesta contro il regime, protesta che chiedeva le dimissioni di Mubarak e lo scioglimento del parlamento.
La notte seguente, soprannominata “la battaglia dei cammelli”, quando gli squadristi a favore di Mubarak ci hanno attaccato, ero terrorizzata. Pensavo che
ci avrebbero sparato addosso e avrebbero stroncato la rivolta. Il punto di svolta per me è stato quando ho visto il numero di persone pronte a dare la vita per difendere i propri ideali.
Ero sbalordita dalla determinazione delle persone per mantenere questa situazione pacifica anche quando eravamo sotto attacchi mortali. Quando abbiamo catturato gli squadristi pro-Mubarak, le persone presenti li hanno protetti da coloro che volevano linciarli dicendo:“pacificamente, pacificamente, non picchieremo nessuno”. A quel punto ho pensato che non era importante quello che sarebbe successo, non avremmo mollato finché Mubarak non se ne fosse andato.”
Lo spirito delle persone a Tahrir ci ha sostenuto.

La mia amica ed io abbiamo avuto il compito di assicurarci che tutti i video e le foto da Tahrir fossero uploadate e siccome la connessione ad Internet non era buona abbiamo usato l’appartamento di un amico nelle vicinanze per assicurarci che le immagini andassero online, di modo che tutti avrebbero visto cosa succedeva in piazza. Non mi ero mai sentita così in pace e così al sicuro come durante i giorni a Tahrir, il senso di coesione ha messo da parte ogni problema – quelli religiosi come quelli di genere.

Ogni volta che prendevamo parte ad una protesta prima del 25 Gennaio, gli uomini presenti mi dicevano di andare indietro per evitare di essere ferita, e questo mi faceva arrabbiare molto.

Dal 25 gennaio le persone hanno iniziato a trattarmi come una loro pari; si percepiva questa ammirazione silenziosa per ognuno dei presenti in piazza.
Abbiamo attraversato molti alti e bassi insieme, sembrava che la società fosse cambiata; c’era un Egitto dentro Tahrir ed un altro fuori.
Quando Tahrir si è aperta, abbiamo visto un sacco di persone che non erano mai state là prima, e c’erano report di donne che erano state molestate.
So che l’Egitto è cambiato e ci sforzeremo di trasferire lo spirito della piazza al resto del paese. Prima di Tahrir se fossi stata molestata mi sarei fatta qualche remora a chiedere aiuto,
perché molte persone mi avrebbero incolpata. Ma credo che lo spirito della rivoluzione ci abbia dato la forza di divulgare il sentimento che abbiamo affermato sempre più in profondità. Da ora in poi se mi succederà qualcosa griderò, e chiederò aiuto, e so che troverò delle persone pronte ad aiutarmi.
Ero davanti al palazzo della televisione quando è stata divulgata la notizia che Mubarak si era dimesso. Mi sono trovata spazzata via in mezzo da una folla di persone che urlavano e applaudivano. E’ stato un momento molto emozionante, che ho celebrato con persone sconosciute. Le persone mi abbracciavano, mi stringevano la mano, mi sorridevano, distribuivano dolci. In quel momento eravamo una cosa sola.
Non mi sono più sentita alienata dalla società. Ora cammino per le strade del Cairo e sorrido agli estranei in continuazione. Ho guadagnato un senso di appartenenza con tutti, in queste strade – almeno per ora. Prima del 25, volevo lasciare il paese. Ora no, ora voglio restare.
Questo è un effetto del nostro ruolo nella rivoluzione, dobbiamo restare qui per contribuire a cambiare la nostra società.”

Gigi Ibrahim, 24 anni, attivista politica.
L’attivista politica Gigi Ibrahim ha giocato un ruolo importante nello spargere la voce della protesta.
“Ho iniziato il mio attivismo politico semplicemente parlando alle persone che erano impegnate nel movimento operaio. Poi sono diventata più attiva, e tutta la cosa è diventata come una droga. Andavo a degli incontri, prendevo parte alle proteste. Ho imparato molto velocemente che la maggior parte degli scioperi partivano dalle donne.
Nella mia esperienza, le donne giocano un ruolo centrale in tutte le proteste e in tutti gli scioperi. In ogni posto dove la violenza emerge, le donne si fanno avanti e combattono la polizia, e vengono picchiate esattamente come gli uomini. L’ho visto durante le proteste per Khaled Said nel giugno 2010, dove molte donne sono state picchiate e arrestate. Musulmane, cristiane, tutti i tipi di donne protestavano.
La mia famiglia é sempre stata contraria al mio prendere parte alle proteste. Mi intimavano di non andare, perché sono una ragazza. Erano preoccupati dei rischi. Ho dovuto mentire per andare alle manifestazioni.
Quando la polizia ha sgomberato con la violenza la piazza il 25 gennaio, mi hanno sparato nella schiena con dei proiettili di gomma mentre cercavo di scappare dalla polizia che ci lanciava dei lacrimogeni. Sono ritornata in piazza, come molti altri, il giorno dopo, e ci sono tornata ancora per i 18 giorni seguenti.
Man mano che gli avvenimenti ingigantivano, mio padre si preoccupava sempre di più. Il 28 gennaio mia sorella mi voleva chiudere in casa. Hanno provato a cercare di non farmi scappare, ma ero determinata e me ne sono andata. Mi sono trasferita a casa di mia zia, che è più vicina a piazza Tahrir, e ogni tanto andavo là a lavarmi a riposare prima di tornare in piazza.
All’inizio la mia famiglia era davvero preoccupata, poi man mano che le cose si facevano più grandi hanno iniziato a capire e a supportarmi. La mia famiglia non è per niente attiva politicamente. La vita quotidiana non era facile. Molti di noi usavano il bagno della moschea vicina. Altri andavano negli appartamenti vicini dove le persone gentilmente aprivano le loro case ai manifestanti.
Ero in piazza Tahrir il 2 febbraio, quando gli squadristi pro-Mubarak ci hanno attaccato, con molotov e sassi. E’ stata la notte più terrificante. Ero intrappolata in mezzo alla piazza.
I confini della piazza erano come una zona di guerra. Più la situazione peggiorava, più eravamo determinati a non fermarci. Molte persone erano ferite, e molte morirono, e questo ci ha spinto ad andare avanti. Pensavo che se gli squadristi fossero entrati dentro la piazza, sarebbe stata la fine. Eravamo disarmati, non avevamo niente. Quella notte ho avuto paura, che è diventata però determinazione. Quella notte le donne hanno giocato un ruolo molto importante.
Siccome eravamo meno numerose, abbiamo dovuto mettere in sicurezza tutte le uscite nella piazza.
Le uscite tra ogni via di fuga dalla piazza avrebbero preso 10 minuti per essere raggiunte così le donne sono andate ad allertare altre persone da dove il pericolo sarebbe arrivato, e si sono assicurate che le persone che stavano combattendo si potessero dare il cambio, così da potersi riposare e poi tornare fuori a combattere ancora.
Le donne si sono anche prese cura dei feriti in luoghi di pronto soccorso improvvisati nella piazza. Alcune erano in prima linea insieme agli uomini, a tirare pietre.
Io ero sul campo di battaglia a riprendere il tutto con la mia telecamera. Era una cosa che non avevo mai provato, né visto prima. Durante i 18 giorni, né io né nessuna delle mie amiche siamo state molestate. Ho dormito a Tahrir con cinque uomini intorno che non conoscevo, e mi sentivo al sicuro.

Ma tutto questo è cambiato nel momento in cui Mubarak si è dimesso. Il tipo di persone che veniva lì non era interessata alla rivoluzione. Erano lì per fare foto. Erano arrivate per l’atmosfera da carnevale, e quello fu il momento in cui le cose cominciarono a cambiare. Quando venne dato l’annuncio delle dimissioni, tutti gioimmo. Urlavo e piangevo. Abbracciavo chiunque intorno a me. Dalla felicità e dalle lacrime passai allo shock: ci volle solo un momento perché avesse presa su di me.

La rivoluzione non è finita. Tutte le nostre richieste ancora non sono state ascoltate. Dobbiamo continuare. Qui inizia il vero lavoro, ma esso non consisterà più nel fare sit-in in piazza.
Ricostruire l’Egitto sarà difficile, e tutti dovremo partecipare. Si stanno organizzando scioperi per chiedere diritti per una paga decente e condizioni migliori dei lavoratori, e queste sono le battaglie da vincere adesso.

Salma El Tarzi, 33 anni, regista.
Non essendo mai stata politicamente attiva, Salma El Terzi era scettica sulle possibilità dei manifestanti di vedere le proprie richieste accolte, fino al giorno in cui si è affacciata dal balcone e ha visto la folla. Ha deciso di partecipare alle proteste e da allora non è tornata indietro.
“Stavo protestando da sola il 26 e il 27, ma il 28 mi sono imbattuta per caso in mio fratello minore nella folla. Da allora siamo andati sempre avanti. Ciò che ci ha spinti a continuare è stata la convinzione che non c’era nessuna altra scelta – o si restava a combattere per la libertà oppure si finiva in prigione. Mio padre ci ha supportato molto. Andava dritto al punto quando ci diceva: “Non scappate dal fuoco delle armi, corretegli incontro”.
A Tahrir ricevevamo tutti chiamate minacciose, che dicevano che se non avessimo sgomberato la piazza saremmo stati cacciati ed uccisi. Ma non ci importava più. Eravamo ad un punto di non ritorno. Tahrir divenne un piccolo modello di come dovrebbe essere la democrazia. Vivere lì non è stato facile. Per lavarci andavamo nel bagno della moschea vicina, o a casa degli amici che vivevano nelle vicinanze.
Ma devo ammettere che le condizioni non erano ideali, faceva molto freddo e dormivamo per terra. Alcuni avevano la tenda, altri se le fecero da sé.
Mettiamola così, a causa delle difficili condizioni, l’abbiamo chiamato “odore di rivoluzione”.
Ero una delle molte donne, vecchie e giovani, presenti. Eravamo attive come gli uomini. Alcune facevano le infermiere e badavano ai feriti durante gli scontri, altre aiutavano a distribuire acqua.
Ma tante erano donne in prima linea che tiravano pietre contro la polizia e contro gli squadristi pro-Mubarak. I compiti erano divisi nella piazza, eravamo molto organizzati.
Qualcosa è cambiato nella dinamica tra i generi, in piazza Tahrir. Quando gli uomini videro le donne combattere in prima linea  la loro percezione di noi cambiò, ed eravamo tutti uniti.
Adesso eravamo tutti egiziani.

Il modo di guardare alle donne è cambiato per molti. Non ci fu neanche un caso di molestia sessuale nei 18 giorni di occupazione della piazza, fino alle dimissioni di Mubarak. Questo ha rappresentato un grande cambiamento per l’Egitto.
Le barriere della paura non c’erano più. Quando prendevamo parte alle protesta era solo una protesta per i nostri fondamentali diritti umani, ma il regime la ha fatta diventare una rivoluzione. La loro brutalità e la loro violenza l’ha trasformata in una rivoluzione. Quello che è cominciato come un giorno di rabbia, è diventato una rivoluzione che ha in seguito rovesciato il regime al potere da trent’anni.
Il regime ci ha dato potere attraverso la sua violenza. Ci hanno fatto credere nel sogno della libertà ancora di più. Ci aggiravamo tutti feriti, ma siamo andati sempre avanti.
Abbiamo anche curato i cavalli feriti che avevano usato [la polizia, n.d.T.] nei loro attacchi brutali contro di noi.
Prima del 25 gennaio non credevo che la mia voce sarebbe mai stata ascoltata. Non pensavo di avere il mio futuro tra le mani. La metafora usata da Mubarak – che lui era nostro padre e noi i suoi figli  – ci faceva sentire come privati di qualunque motivazione.

La rivoluzione ci ha svegliati – una coscienza collettiva è stata risvegliata.

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