Da http://vogliamotuttopisa.noblogs.org
Adesione allo spezzone degli ombrelli rossi del corteo pisano da parte delle compagne di Arcilesbica – Pisa.
Buona lettura!
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«Alla fine questo lavoro ti vogliono spingere a diventare lesbica, no. Perché i potenti si elettrizzano quando vedono giochini a due e tre. Quindi vogliono che tu ti trovi una tua amichetta di giochi.» (Sara Tommasi, intercettazione).
Essere lesbica non è essere il gioco di carne di un uomo, non siamo barbie saffiche mood off/mood on, né vogliamo esserlo. È il momento di rivendicare in piazza la nostra identità di lesbiche, come scelta affettiva, di vita e politica.
La rivoluzione è lesbica (cit.) e questo voyeurismo machista che vuole che la lesbica sia un trastullo innocuo per il patriarca è una conformazione eterosessista perché integra la lesbica in un sogno erotico da youporn e ne sopprime così il potenziale rivoluzionario, perché non mette in discussione un certo modello sociale e riduce la sovversione a gioco che sostiene e autoalimenta il potere.
Il Rubygate (ultimo della serie degli x-gate riguardanti gli impasse, per usare un eufemismo, del premier Berlusconi), da cui prendono spunto le ultime riflessione sul ruolo della donna nella società patriarcale italiana oggi, e che spinge a popolare le piazze contro una mentalità machista e maschilista, manca di una voce importante nel movimento delle donne e cioè le lesbiche.
La riflessione di questi giorni sulla mercificazione del corpo femminile, in senso non già di libera e fiera prostituzione che sceglie di usare il suo corpo e non lo riduce a merce, ma di annullamento cortigiano della propria autodeterminazione, testimonia una realtà in cui spesso il potere- ed in senso lato la società che lo sostiene, accoglie e tollera, legittimandolo- oggettifica (e non soggettificata) la donna in un elemento disponibile, accondiscendete e ammiccante in camera da letto o relegata ad un ruolo utilitaristico con funzioni di assistenza, creazione di ricchezza e cura, nella perpetuazione di un suo e nostro ruolo subalterno.
Che non vogliamo essere oggetti utili al mercato e al mantenimento del potere erotico del macho italiano è cosa già detta da molteplici voci, rimane da indagare il valore della nostra esperienza come lesbiche e non è cosa di poco conto.
La rappresentazione mediatica che ci viene data è squallida, non soltanto per il contesto esclusivamente sessuale in cui la lesbica è legittimata ad esistere (dove sono le lesbiche altrimenti? Siamo costrette a scomparire, siamo presenze invisibili) ma anche per la negazione del nostro valore identitario che risulta dalle semplificazioni di questi giorni: se la donna perbene è colei che è madre, moglie, nonna e la donna per male è la femmina del maschio alfa, noi lesbiche che non siamo madri (o meglio, che non possiamo esserlo con questa legislatura, non con le nostre compagne, o perlomeno non qui in Italia) e di certo non siamo mogli e che per giunta abbiamo anche la pretesa di non sottostare al mondo fallocentrico, chi siamo e dove siamo?
Non ci siamo.
Il valore della nostra esistenza viene negato, continuamente, perché riconoscere la nostra esistenza, la nostra esperienza, vorrebbe dire scardinare la costruzione dell’impianto sociale attuale e ridefinire i ruoli in un’ottica femminista e non eteronormante. Vorrebbe dire togliere il potere dalle mani dell’uomo a cui sia stato dato soltanto perché uomo ed eterosessuale.
Se il nucleo base è uomo-donna, la presenza di nuclei di lesbiche e di gay che non si riconoscono in questo modello, per ragioni ovvie, altera nel profondo la regola e mette anche in discussione la validità di un modello patriarcale. Dichiararsi lesbiche e gay è quindi sovversivo.
E’ per tale ragione che la lesbica viene integrata nel modello sociale tramite la sua strumentalizzazione a gioco di piacere per l’uomo (questo è uno dei metodi, l’altro è l’assimilazione della donna lesbica a uomo, nell’annullamento della diversità), perché se la lesbica esiste soltanto come mezzo per deliziare il padrone, allora in assenza di potere e di padrone la lesbica non esiste. E infatti ai festini di potere spesso sono le donne eterosessuali che rivestono il ruolo delle lesbiche, pronte però ad accogliere e rassicurare in un coito finale l’uomo, in un tripudio di maschilismo, perché il tutto diventi ancora più innocuo e perché il lesbismo sia ridotto infine alla violenza del potere che esige quella fantasia e che la distrugge quando decide che è sufficiente per essere soddisfatto, procedendo in seconda istanza a sottomettere, dominare la sua donna oggetto.
Noi non siamo lesbiche per soddisfare le frustrazioni di uomini fiacchi e incapaci di indagare nella loro identità e nella loro sessualità, perché sappiamo -e talvolta deriva da un percorso lungo e di difficile mediazione- chi siamo: l’abbiamo scelto più volte.
Rivendichiamo ogni giorno la nostra identità e lo faremo anche il 13 febbraio in piazza. Cerchiamo la solidarietà di tutte e tutti coloro che credono che la libertà di essere sé stesse e sé stessi sia importante e che scardinare le regole sia vitale e salutare quando queste regole validano il dominio, la repressione, la negazione.
Vogliamo la libertà di essere, anche se questo esserci è scomodo e necessita una ridefinizione di ruoli, anche di quelli più consolidati, vogliamo la libertà di autodefinirci, di amare e di godere.
Vogliamo tutto!
Arcilesbica – Pisa