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Intervista a Beatriz Preciado

Dalle Donnole In Relazione pubblichiamo la traduzione che Gilda ha fatto di una intervista a Beatriz Preciado, filosofa spagnola, autrice, tra le altre opere, di Manifiesto Contra-sexual, Testo Yonqui e Pornotopia.

Grazie a Gilda e buona lettura!

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Tra­duco con piacere questa inter­vista alla filosofa Beat­riz Pre­ci­ado apparsa su kaosen­lared.

Ringraziando Lafra e il suo arti­colo sul post­porno.

Inter­vista a Beat­riz Pre­ci­ado: “La ses­su­al­ità è come le lingue. Tutti pos­si­amo appren­derne molte”

di Luz Sánchez-Mellado | El país

Si muove per il Cen­tro Pom­pi­dou di Parigi come Pedro in casa sua. Lo sce­nario le va a pen­nello. Alta, androgina, alter­na­tiva. Sper­i­men­tale. Pre­ci­ado non ha prob­lemi ad esi­bire la sua inte­ri­or­ità per spie­garsi a se stessa e al mondo.

Autrice del “Man­i­festo con­troses­suale”- una spe­sie di bib­bia del movi­mento trans­gen­der o queer– e di “Testo tossico”- dove spiega gli effetti che provoca nella sua vita ses­suale la auto­som­min­is­trazione di testos­terone– questa trentanovenne di Bur­gos vive come pensa e pensa come vive. In costante riv­o­luzione con­tro le norme che deter­mi­nano politi­ca­mente il sesso, il genere, il modo di cer­care e di ottenere piacere. Filosofa, attivista alter­na­tiva e pro­fes­soressa all’Università Parigi VIII, ha ha appena vinto il Pre­mio Ana­grama de Enzayo con “Pornotopia”, un sag­gio sull’impero Play Boy.

Quando aveva nove anni qual­cuno tele­fonò a sua madre e disse: “sua figlia è una virago”. Ha sof­ferto da bambina?

Andavo in un col­le­gio di monache, però non ho mai avuto prob­lemi a causa del fatto che ero diversa. Quando mi chiede­vano cosa volevo essere da grande, rispon­devo: uomo. Mi vedevo come uomo per­chè loro ave­vano accesso alle cose che volevo fare: astro­nauta o medico. Non l’ho mai vista come una cosa ver­gog­nosa o trau­mat­ica, era qual­cosa a cui cre­devo di avere diritto.

Da pic­cola avevo anche un sal­vadanaio per farmi il cam­bio di sesso.

Che rifer­i­menti aveva a quel tempo: Bur­gos, primi anni ottanta?

Nes­suno. Mi muovevo in un mondo in cui il rifer­i­mento era la par­roc­chia, immaginati.

Allora si è ori­en­tata per istinto?

Da bam­bina sì. La scuola media è stata fon­da­men­tale. Simona, una maes­tra con un figlio autis­tico, riunì dei bam­bini con prob­lemi e creò una classe. Il gruppo G. Autis­tici, super­do­tati, strani. Otto marziani brutti e atroci. Ter­ri­bili, ma coc­co­lati. Ado­ravo i miei pro­fes­sori, erano molto aperti col mio modo di essere.

Da allora ad oggi, come sop­por­tano i suoi gen­i­tori il suo attivismo sessuale?

E’ stato trau­matico e con­tinua ad esserlo. Mio padre era un impren­di­tore rispet­ta­bile. Mia madre sarta per spose. Sono figlia unica. Immag­ino che si aspet­tassero altre cose da me. Sono reli­giosi e di destra, come si è di destra a Bur­gos, in modo irri­f­lessivo. In quel con­testo sono stata ribelle, non per­chè lo volessi, ma per­chè qual­si­asi cosa facessi scan­dal­iz­zava. Io ero un ufo, sì, ma non l’ho vis­suto come qual­cosa da nascondere.

Da dove viene la sua ribel­lione, se non sof­fre di essere come è?

Per me la cosa più dura è vedere come la gente si las­cia reprimere.

Allora è una ribel­lione solidale?

Ha sem­pre avuto qual­cosa di politico. Parlavo con i bam­bini per dirgli: fac­ciamo questo, orga­nizzi­amoci. Io non mi sono fatta reprimere, però le rot­ture con i miei amici o con la mia famiglia quando non accetta­vano quello che per me era nat­u­rale sono state dolorose. Con i miei gen­i­tori è stata una lunga ped­a­gogia. Il mio carat­tere non è molto toller­ante. Ora penso: vi tollero con il vostro modo di essere, che devo fare. Ma allora è stato molto forte. A 16 anni andai con il gruppo G a Filadelfia e tor­nai con l’idea di fare la filosofa politica.

Cos’è che attrae un’adolescente nella ricerca filosofica?

Io ero molto por­tata per le scienze, volevo fare la biologa genet­ica. Però dopo il diploma mi resi conto che le ques­tioni a cui volevo dare delle risposte non le avrei risolte con la biolo­gia, e che il posto giusto era la filosofia.

Lei usa con­cetti quali “biouomo”, “biodonna”, “biopo­lit­ica”, la biolo­gia è pre­sente nel suo lavoro.

Sì, mi inter­essa la vita, ma nella sua dimen­sione somat­ica, car­nale, corporea.

Parla anche di architet­tura, della città come organismo.

Forse l’origine di tutto è il corpo, ma non come organ­ismo nat­u­rale, bensì come arti­fi­cio, come architet­tura, come costruzione sociale e polit­ica. Quello che immag­ini­amo sem­pre come bio­logico– la divi­sione tra uomini e donne, tra maschile e fem­minile– e che è invece una costruzione sociale. Mi inter­essa la dimen­sione tec­nica di quello che sem­bra essere naturale.

Par­liamo di genere in occi­dente nel 2010. Ma pen­si­amo a un bam­bino che nasce in Mali, anche il suo sesso e il suo genere sono un arti­fi­cio biopolitico?

E’ chiaro, fai atten­zione alle dis­tinzioni che sta­bilisci. Per indi­care la natura pensi all’Africa, come se qui ci fos­sero la tec­nolo­gia e l’artificio, e in Africa la natura. Le stesse dis­tinzioni fun­zio­nano per il maschile e il fem­minile. Il maschile come tec­nica, costruzione, cul­tura. Il fem­minile come natura, ripro­duzione. Quello che è costru­ito è questa dis­tinzione natura/cultura, che non esiste, che è fittizia.

I cro­mo­somi XX e XY non sig­nif­i­cano niente?

Sono un mod­ello teorico che appare nel XX sec­olo per cer­care di com­pren­dere una strut­tura bio­log­ica, punto.

Sostiene che la ses­su­al­ità è plas­tica. Che non è una costante nella vita, e neanche in un giorno. E’ questa l’essenza della sua teoria?

In parte sì, nel senso che della ses­su­al­ità, che è in forma più ampia la sogget­tiv­ità, fanno parte l’identità e l’orientamento ses­suale, i modi del deside­rio, i modi per ottenere piacere, che sono plas­tici. Ed esat­ta­mente per questo sono sot­to­posti a rego­lazione polit­ica. Se fos­sero nat­u­rali e deter­mi­nati una volta per tutte, questo non accadrebbe.

Per rego­lazione intende il fatto che si deter­mini se si sia un uomo o una donna dal DNA e che a questo cor­rispon­dano X diritti, X doveri, X ruoli?

Esatto. C’è un enorme lavoro sociale per mod­u­lare, con­trol­lare, fis­sare questa plas­tic­ità. E non soltanto politi­ca­mente, ma anche psi­co­logi­ca­mente. Ogni indi­viduo è una istanza di vig­i­lanza suprema sulla pro­pria plas­tic­ità ses­suale. Quando mi ha chiesto da dove venisse la mia ribel­lione: è da qui. Come è pos­si­bile non essere in riv­olta costante, che questo non sia la rivoluzione.

Per­chè io, donna, eteroses­suale, sposata, madre di due bam­bini e mod­er­ata­mente in accordo con la pro­pria vita, dovrei ribellarmi?

Dovresti ribel­larti per­chè c’è una chiusura, una clausura della tua iden­tità che impedisce qual­si­asi altra pos­si­bil­ità. Dal momento che dici: io, biodonna, sposata, madre…

Mi sto già per­dendo delle cose.

Esat­ta­mente. Anche dichiararsi eteroses­suale pre­sup­pone un insieme di soluzioni pos­si­bili, ma pre­sup­pone una core­ografia tanto ristretta che mi sem­bra ter­ri­bile il fatto che la si accetti come inamovi­bile. Non credo nella iden­tità ses­suale, mi sem­bra una finzione. Un fan­tasma in cui ci si può istal­lare e vivere confortevolmente.

E felici.

Cer­ta­mente. Ma il fatto è che questo è pre­cisa­mente il suc­cesso della biopolitica.

Che noi man­giamo il “soma” e per di più contenti.

Total­mente. Quando par­liamo di biopo­lit­ica, sti­amo par­lando del con­trollo esterno e interno delle strut­ture della sogget­tiv­ità e della pro­duzione di piacere. Mi definisco trans­gen­der, ma sono uscita con biouo­mini, biodonne, con trans. E ti posso dire che quando sei biodonna, asseg­nata social­mente come donna, ed esci con un biouomo, asseg­nato come uomo, sper­i­menti una rior­ga­niz­zazione del tuo campo sociale. Imme­di­ata­mente la tua famiglia è con­tenta. E’ un sis­tema di comu­ni­cazione com­p­lesso, nel quale emetti segni che sono decod­i­fi­cati: sono in accordo con il sis­tema di pro­duzione, e ripro­ducono lo Stato così come lo conosci.

Anche se sei infedele, o sei un gay in incognito.

Chiaro, la macchina di con­trollo sei tu, e inter­es­sante è il modo di dis­at­ti­varla. Per questo mi inter­essa scri­vere, inseg­nare, l’attivismo. Ci sono pos­si­bil­ità di ribel­lione dappertutto.

Questo attivismo è una posa intel­let­tuale o le esce dalla pancia?

Ma cos’è la mia pan­cia? Tor­ni­amo alla stessa dif­ferenza. Io sono nata con una defor­mazione della mandi­bola. In casa non face­vamo foto per­chè io ero deforme. Dai sette anni ho incon­tri rit­u­ali con il sis­tema medico. A 18 mi fanno un’operazione fun­zionale, ma anche estet­ica. Era nec­es­saria, ma non ho neanche avuto la pos­si­bil­ità di dire di no all’apparato medico. Avevo una fac­cia atroce, da cav­allo, e appena uscii tutti mi dis­sero che ero fan­tas­tica. Ho vis­suto questa oper­azione come un cam­bio di sesso, nel senso che era un cam­bio di identità.

Per­chè la riportò all’ovile della “normalità”?

Sì, è stato un modo di nor­mal­iz­zare la mia fac­cia. A par­tire da quel momento inizio a dis­tanziarmi da tutto questo: che sei tu nat­u­ral­mente, o che è la tua pan­cia, o che la fac­cia è lo spec­chio dell’anima. La mia fac­cia non è lo spec­chio dell’anima, è lo spec­chio della med­i­c­ina plas­tica della Spagna degli anni ’80.

Sem­bra che la sua ribel­lione abbia delle origini.

Qual­cosa c’è. Quando uscii dalla oper­azione, spesi il denaro risparmi­ato per cam­biare sesso in viaggi. Mi resi conto che la mia immag­ine e quella che gli altri vede­vano non coin­cide­vano né coin­cider­anno mai. E’ come l’anoressia. Io chiedo ancora alla mia fidan­zata se oggi mi è cresci­uta la mandi­bola. Per questo vedo il corpo come architet­tura, come relazione con le isti­tuzioni mediche, giuridiche e politiche.

Leggendo la sua opera, la sua vita sem­bra una costante battaglia con­tro la norma. Per­chè non si rilassa?

Io mi vedo rilas­satis­sima, molto più degli altri. Quello che osservo nella gente è una ten­sione, anche se inco­sciente, per adeguarsi a quello che si sup­pone sia il fem­minile, il maschile, alla eteroses­su­al­ità o alla omoses­su­al­ità. Ho anche sper­i­men­tato la pres­sione omoses­suale quando dico che non sono un tipo né una tipa. Nell’omosessualità ci sono restrizioni, regole pre­cise. La ten­sione è qui, la riv­o­luzione è un’altra cosa.

Il suo stato naturale?

No (ride), mi piac­erebbe. Ci sono volte che non posso evitare di dire: zero sol­i­da­ri­età con il genere umano e la sua cul­tura di guerra.

Per­chè questa man­canza di speranza?

C’è una teor­ica queer amer­i­cana, Sed­wick, che diceva che la riv­o­luzione è un modo per uscire dalla depres­sione polit­ica. E’ come se vives­simo in uno stato pato­logico, vedo una grande depres­sione col­let­tiva i cui seg­nali sono il con­sumo aber­rante, la pro­duzione di dis­eguaglianza, la nor­mal­iz­zazione ecces­siva, il super­con­trollo, la cul­tura della guerra.

Quello che lei chiama “regime far­ma­co­pornografico” è un nuovo fas­cismo basato sul sesso?

No, il fas­cismo non è depres­sivo, bensì istri­on­ico, men­tre il momento farma­pornografico è un momento di superas­sue­fazione, super­con­sumo, dis­truzione. Come se aves­simo cre­ato col­let­ti­va­mente le con­dizioni della nos­tra stessa dis­truzione e fos­simo dac­cordo. Dico questo con la coscienza che posso sem­brare un padre gesuita.

Ma questa non è una cul­tura edonista?

No. il fatto che quello che muove la cul­tura sia il piacere non sig­nifica che il fine sia edonista. L’obiettivo è la pro­duzione, il con­sumo e, come ultimo ter­mine, la dis­truzione. La sfida per quella che dovrebbe essere una sin­is­tra del XXI sec­olo è pren­dere coscienza di questo stato di depres­sione col­let­tiva, a dif­ferenza della destra, che vive nell’euforia del con­sumo, della pro­duzione di dis­eguaglianze, della dis­truzione. La sin­is­tra deve dire: merda, siamo fre­gati, e questo deve portare a un risveg­lio riv­o­luzionario. Credo che questo possa venire da quelli che abbi­amo cac­ciato ai mar­gini del politico: i gay, le les­biche, i tossici, le put­tane. Qui ci sono modi di pro­duzione strate­gici per la cul­tura e l’economia, e qui si stanno pro­ducendo soluzioni.

E come con­tribuis­cono questi “detriti del sis­tema”, come lei li chiama?

Inven­tano nuove forme di relazione per­son­ale e polit­ica che escono dalle coor­di­nate che si col­legano alle politiche colo­niali dal sec­olo XV e che hanno a che vedere con la famiglia, la nazione, la razza. Questa linea si è prosci­u­gata, bisogna aprirsi al non famil­iare, non nazionale, non razz­iale, non di genere.

E’ cosciente della dif­fi­coltà di com­pren­sione e di “ven­dita” di questo modello?

Non aspiro a venderlo. E non è così dif­fi­cile. Nelle mie con­ver­sazioni sento che questa cosa dello stato depres­sivo ha riscon­tro. Nonos­tante la com­p­lessità enorme del mondo con­tem­po­ra­neo, vedo una ter­ri­bile riduzione alle cose di sempre.

E’ grazioso il pas­sag­gio di “Testo tossico”, quando torna a Bur­gos e vede le su ex fidan­za­tine che passeg­giano per l’Espolòn con i loro bam­bini e le loro mèches perfette.

Le rispetto e le adoro. Soprat­tutto per­chè so che dietro le loro mèches e i bam­bini con­tin­u­ano a resistere, sono vive.

Si definisce come una ter­ror­ista, una guerrigliera.

Così mi vedono gli altri. Io facevo le mie cose, tutti dice­vano: fer­mate quella riv­o­luzione, e io non capivo che la riv­o­luzione ero io. Godo dell’intelligenza col­let­tiva, il mio primo Gay Pride a New York fu il più grande scos­sone di estasi vitale della mia vita. Eravamo 3000 les­biche per la strada, quello spazio che ci veniva proibito. Mi resi conto che un altro mondo è pos­si­bile, che la realtà può cam­biare, questo mi affascina.

I trans­es­su­ali recla­mano di entrare nei pro­to­colli di riasseg­nazione del sesso. Tut­tavia lei deplora il fatto che vengano rego­lati dallo Stato.

C’è una molteplic­ità di modi di essere trans­es­suale. Sono stato in asso­ci­azioni di les­biche rad­i­cali e, in tre anni, la metà aveva cam­bi­ato sesso. Dif­fido dei dogmi circa l’identità ses­suale, per­chè ho visto tutto e il con­trario di tutto. I pro­to­colli sono un modo di nor­mal­iz­zare la plas­tic­ità ses­suale. La Spagna è una specie di ibrido tra la Turchia e la Svizzera. C’è una base biopo­lit­ica i cui emblemi sono il genere, l’eterosessualità, la famiglia, la razza e lo stato. Ma anche un regime farma­pornografico nel quale il sesso è oggetto di con­sumo e pro­duzione. La col­li­sione di questi due regimi porta ad una situ­azione deli­rante, nella quale è pos­si­bile accedere ad oper­azioni di cam­bio di sesso, ma solo nelle con­dizioni richi­este per normalizzarti.

In “Testo tossico” lei è l’oggetto della sua ricerca. Non ha pudore di questa esposizione?

No, e sono stata edu­cata dalle monache, e ho stu­di­ato filosofia a Comil­las con i gesuiti. Li adoro, erano coin­volti fino in fondo con il marx­ismo e la teo­ria della lib­er­azione. Sono fan­tas­tici. Con­tinuo ad avere rap­porti con Juan Masià, un filosofo che è stato sco­mu­ni­cato per aver detto che il preser­v­a­tivo è una cosa di buon senso. Ci scam­bi­amo opere.

Davvero? E che pensa un gesuita delle sue pratiche ses­su­ali in “Testo tossico”?

Niente. Ma non importa, so che mi apprezza e ci vogliamo molto bene.

quello che volevo sapere è se non le dà pudore esporre la sua sessualità.

Al con­trario: la mia ses­su­al­ità è sem­pre stata invis­i­bile. Quello che era vis­i­bile era lo stereotipo che la gente aveva sulla ses­su­al­ità les­bica o trans. Allora non la vedo come una forma di espo­sizione senza pudore, bensì come un modo di pro­duzione di vis­i­bil­ità. C’è un ele­mento di pro­pa­ganda. Un’amica, Itziar Ziga, ha scritto un libro, “Diventare cagna” in cui dice: noi scopi­amo di più e meglio. Scopi­amo al di fuori delle vostre restrizioni nor­ma­tive e questo è un piacere che non conoscerete mai. E se siete ten­tati di conoscerlo, well­come to the revolution.

Questo sarebbe l’orgoglio “queer”: scopi­amo di più e scopi­amo meglio?

Sì, e forse vivi­amo in un altro mondo, un mondo che è qui, pro­prio accanto.

Lei è una celebrità nei cir­coli “queer”, dà lezioni all’Università Parìs VIII, ma è sconosci­uta in Spagna. Si vede come pro­fes­soressa alla Complutense?

In Spagna ci sono isti­tuzioni quasi feu­dali. E all’interno di esse, in un caos stra­or­di­nario, accadono cose para­dos­sali. In qual­si­asi uni­ver­sità ci sono ele­menti riv­o­luzionari, punte di resistenza. La riv­o­luzione non è da un’altra parte, è qui, anche alla Complutense.

Mag­ari la nom­i­nano figlia prediletta di Burgos.

(ride) Ora, con il pre­mio, mia madre dice: che bello figlia, esci sul gior­nale, ma hai la brutta idea di dis­eg­narti dei baffi, non sa che il mio grande orgoglio medi­atico è la prima pag­ina della riv­ista trans­gen­der americana.

Dal di fuori, il suo può sem­brare uno spet­ta­colo provocatorio.

Sì, esiste sem­pre il ris­chio di apparenza cervel­lot­ica e con­sumo mor­boso, però c’è vita più in là del mondo normalizzato.

Per scri­vere “Testo tossico” lei si è som­min­is­trata testos­terone in gel per quasi un anno. Con­tinua a farlo, visto che nel libro si dichiara “tossicodipendente”?

Occa­sion­al­mente. Rispetto ad altre assue­fazioni che conosco, quella del testos­terone è sop­porta­bile. La vedo come una pos­si­bil­ità e non come una neces­sità. Per me il cam­bio di sesso non è il passo del muro di Berlino; ha qual­cosa di questa fron­tiera polit­ica, ma io lo vedo come uno spazio di pratiche del corpo.

Cosa ottiene dal testos­terone? Qual­cosa ne ricaverà.

E’ una droga ses­suale. Se fosse ven­duta lib­era­mente, sarebbe il Via­gra per le donne. Ti manda a mille. Però ho iniziato a pren­derla per un ele­mento di sper­i­men­tazione, di trasgres­sione, quasi un’orgia ormonale.

Cosa le sug­gerisce, lei che si dichiara al di là del maschile e del fem­minile, l’espressione “vio­lenza di genere”?

Credo che quando si dice vio­lenza maschile non si incide tanto sulle pratiche di dis­crim­i­nazione, quanto sulla mas­col­in­ità. Come se la mas­col­in­ità fosse una vio­lenza in se stessa, che si esercita con­tro le donne. Si igno­rano tutta una serie di pratiche vio­lente trasver­sali. Ci sono vio­lenze all’interno dell’omosessualità, della trans­es­su­al­ità. Credo che il genere stesso sia vio­lenza, che le norme di mas­col­in­ità e fem­minil­ità, così come le conos­ci­amo, pro­d­u­cano vio­lenza. Se cam­bi­as­simo i modi di edu­cazione nell’infanzia, forse mod­i­ficher­emo quella che chi­ami­amo vio­lenza di genere. Pen­si­amo sem­pre che la bam­bina possa difend­ersi e non aggredire. Siamo onesti: in una cul­tura di guerra è dis­crim­i­na­to­rio non equipag­giare tec­ni­ca­mente e prati­ca­mente una parte della soci­età per­chè sia capace di accedere a tec­niche di aggres­sione quando sia necessario.

Pro­pone di inseg­nare alle bam­bine non difesa per­son­ale, ma attacco personale?

Esatto.

Cerco alter­na­tive rad­i­cali alla cul­tura di guerra, e una è l’accesso egual­i­tario alle tec­niche della vio­lenza. Toni Negri diceva: bisogna dare armi al popolo, dato che lo Stato è armato. Io direi: bisogna dare armi alle donne, dato che gli uomini sono armati.

Piover­anno le proteste.

Questa è una guerra fredda: tu hai armi, io anche.

In “Testo tossico” pro­pone alle donne di pren­dere testos­terone, crede che così romperemmo il tetto di cristallo?

Questa è una fan­ta­sia di politica-finzione. La filosofia fa questo, pro­duce finzioni che ci aiu­tano a mod­i­fi­care il modo in cui vedi­amo la realtà. Però niente impedisce che tutte le donne pren­dano testos­terone e domani siano uomini. La pos­si­bil­ità è così sem­plice che sono nec­es­sarie mis­ure restrit­tive per evi­tarlo. Il mio prog­etto politico è serio e ludico allo stesso tempo. Immag­i­nati che mondo pieno di tipi pelosi. La strut­tura della dom­i­nazione è così anco­rata che è chiaro che c’è il tetto di cristallo. Ma anche repres­sione del lato maschile. Neanche loro stanno bene.

La famosa crisi dell’uomo moderno?

Se c’è qual­cosa che è in crisi è la mas­col­in­ità. Dal fem­min­ismo si è avuto un lavoro critico, ma dal lato degli indi­vidui niente. Per questo mi stupisce che non si ribellino e dicano: voglio mostrare le mie gambe stu­pende senza cellulite.

Oggi gli uomini si depilano più che le donne.

Uno dei cam­bi­a­menti del regime farma­pornografico è che il corpo maschile diviene oggetto di pro­duzione del mer­cato. La nuova mas­col­in­ità o met­roses­su­al­ità non è altro che questo. Qui c’è pos­si­bil­ità di ribel­lione per i bioindividui.

E’ felice?

Mi con­sidero fortunata/o. Cam­bio di genere par­lando e scrivendo.

E in varie lingue, non si confonde?

Di fatto la ses­su­al­ità è con­frontabile con le lingue. Appren­dere un’altra ses­su­al­ità è come appren­dere un’altra lin­gua e tutti pos­sono par­lare quelle che vogliono. Solo bisogna appren­derle, così come la ses­su­al­ità. Chi­unque può appren­dere le pratiche della eteroses­su­al­ità, della omoses­su­al­ità, del masochismo…

Ci sono quelli negati per le lingue.

Anche quelli pos­sono farfugliare les­bico o gay.

C’è una lin­gua madre, una ses­su­al­ità madre?

C’è una ses­su­al­ità che cos­ti­tu­isce la tua base di addot­tri­na­mento. Quella che hai imparato a riconoscere come nat­u­rale. Ma quando apprendi una sec­onda lin­gua sai che ce ne sono altre, che puoi perfino abban­donare la prima lin­gua che hai par­lato senza prob­lemi. Io sono stata anni senza par­lare spag­nolo e lo fac­cio bene, no?

Posted in Corpi, fasintranslation, Pensatoio, Personale/Politico, R-esistenze, Scritti critici.


3 Responses

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  1. violet says

    semplicemente geniale

  2. s-q says

    Se ci ripetono continuamente che le gambe senza cellulite sono belle, non capisco come sia possibile che noi uomini non abbiamo ancora iniziato a girare scosciati per ammirarci reciprocamente.

  3. Virginia says

    Molto interessante.
    Però, non capisco cosa ha contro le cellulite …