Sicuramente vi è capitato di incontrare una donna che immagina di godere di una speciale immunità dagli eventi pubblici, come se non attraversassero la sua vita esattamente come condizionano la mia. Come se le decisioni politiche prese in questo paese non si riflettessero sulla sua vita di tutti i giorni.
Mi irritano parecchio quelle donne che dicono “non mi interesso di politica”, “la politica è una cosa sporca”, “ ho cose più importanti da fare” e via di questo passo. Come se il loro tempo fosse ben speso mentre il mio fosse sprecato. Come se io fossi una visionaria che insegue una dimensione astratta immutabile. Come se la politica fosse qualcosa di estraneo alla nostra vita di tutti i giorni. Come se le leggi che i politici producono fossero eventi alieni e inspiegabili.
Odio il fatalismo e credo profondamente nel fatto che noi determiniamo le nostre vite. Fosse anche soltanto per una millesima parte della mia esistenza io voglio comunque determinarla e combattere come posso e come credo giusto contro quello che non mi piace e che mi priva di piccole e grandi libertà.
Mi fa arrabbiare questa presunzione, l’aria da donna vissuta di chi mi vede penare perché il mondo non va come dovrebbe e sorride come se io fossi una bambina alla quale deve essere concesso lo spazio di un gioco mentre gli adulti fanno sul serio.
Penso spesso a questa distanza enorme tra me e questo genere di donne e giusto oggi ne ho incrociata una alla quale credo di aver fatto pagare lo scotto di essere capitata sulla mia strada.
Ho radiografato tutta la sua esistenza dimostrandole che tutto quello che le succede ha una origine precisa. La sua vita, le sue difficoltà, la sua precarietà, l’assenza di prospettive, la mancanza di servizi, di strutture, perché le cose non avvengono perché è “normale” che avvengano.
La storiella che ci sarebbe un dio a decidere quali “prove” farci vivere per meglio prepararci al passaggio nell’altro mondo è una bugia. Un’alibi per fare in modo che ricchi e potenti continuino a decidere sulle nostre teste massacrando le nostre vite e quelle dei nostri figli.
Quello che ci succede lo dobbiamo ad altre persone che decidono per noi e decidono male perché quando lo fanno pensano solo a loro stessi. Perchè non c’è nessuno che possa meglio rappresentarti di te stessa. Perché “partecipazione” non significa partecipare al televoto e non significa neppure andare a votare.
La partecipazione la esprimi tutti i giorni dando il giusto peso a quello che ti succede e individuandone le cause invece di perderti in inutili vittimismi, in piagnistei senza soluzione, senza prendere in mano la tua vita e con rabbia e determinazione dirigerti per tentare di migliorarla. Puoi farlo da sola. Puoi farlo assieme ad altre persone che hanno un problema come il tuo, purchè tu lo faccia e non ti aspetti che le cose cambino da sole.
Alla fine della discussione la donna che ho incontrato era piegata, mortificata, e lì arriva la resa, la dichiarazione di impotenza, che odio più dei qualunquismi.
“Non tutte sappiamo fare quello che fai tu”, e allora divento ancora più intollerante perché un attimo prima mi hai detto che tu sei un essere superiore mentre io sono una perditempo e ora invece, per non guardarti dentro e non vedere appieno la tua vigliaccheria, mi eleggi ad eroina nazionale e mi deleghi perfino il peso dei tuoi guai.
E no, tesoro. Io non vado a far casino per i tuoi cazzo di problemi. O vieni tu con me e io sarò al tuo fianco oppure vado a lottare per le mie priorità. Perché ciascuna di noi compie una scelta. Tu hai scelto di non sapere, non vedere e non agire e io ho scelto di non farmi passare sulla testa i carri armati senza almeno prendermi la soddisfazione di fare da ostacolo umano per rallentare il loro cammino.
Mi complico la vita? Che ridere. Vorresti dirmi che se non faccio niente e me ne resto nascosta ad aspettare gli eventi, la mia vita sarebbe meno complicata?
Il punto è che questa vita io la voglio vivere senza subire passivamente perché le botte le prendi uguale e non c’è niente che ti salvi più della forza che usi per renderle a chi te le da o per difenderti e sopravvivere.
Le cose avvengono perché qualcuno le fa avvenire e se io non provo almeno a fare qualcosa, qualunque cosa per fermarle mi sento responsabile dello scempio che abbiamo intorno.
Ed è questa la parola giusta: “responsabilità”. Personale, collettiva. Io sono responsabile delle mie azioni e sono responsabile di quello che avviene attorno a me.
E tu? Cara donna che immagini il mondo a compartimenti stagni? Tu, non ti senti responsabile di niente?
Puoi dirlo, sai? Dillo a me quanto è comodo adagiarti in ruoli che altri hanno deciso per te. Come un inutile soldatino senza potere di decisione neppure sui tempi di una pisciata. Come una marionetta felice di esserlo.
E sono le donne come te che complicano anche la mia vita. Perché spesso siete proprio voi, tu e le altre, che censurano la mia lotta, la mia ribellione, in nome di una tranquillità e di una sicurezza fittizie e inesistenti.
Abbi pietà, almeno tu, qui, oggi. Fammi il sacrosanto piacere di avere rispetto per quello che faccio e io sarò rispettosa verso la tua non-scelta di aderire al compitino che ti hanno assegnato.
Lo so che non è colpa tua. E non piagnucolare. Lo so che hai fatto tanto per migliorare la mia vita. Lo so che se io posso fare quello che faccio lo devo a te, alla tua resistenza silenziosa, tra le mura di casa. Lo so che senza il tuo sacrificio io non sarei riuscita a dirti le cose che ti sto dicendo.
Ma proprio per questo mi arrabbio di più. Perché tutta l’intelligenza, la consapevolezza, la mia lotta non serve a niente quando si parla di te.
Perché non riesco a fare niente che possa migliorare la tua vita. Perché non riesco a tirarti fuori dalla tua prigione. Perché tra tante donne, me compresa, che vorrei aiutare, la prima della lista sei tu e proprio tu non me lo permetti.
Perché ti odio per la tua rassegnazione. Perché ti voglio bene, accidenti a te. Ti amo da morire e non riesco a sopportare di vederti così piegata, distrutta, massacrata dalle condanne che altri hanno inflitto sul tuo corpo e alle quali non ti sei sottratta.
Perché devo restarti accanto, anche se non vuoi fare niente per te. Anche se non posso fare niente per te.
Perché sei tu, mia madre, e io non posso e non voglio rinunciare a te…
bellissima… potrei benissimo dedicarla a mia madre. E’ lacerante il dolore che provo nel vederla sottomessa e allo stesso tempo nel cercare di imporre a me e alle mie sorelle quegli stessi ruoli. E’ follia pura quando cerca appoggio da noi e poi, quando lo ottiene e questo provoca feroci critiche a suo marito e a lei stessa, si rivolta contro di noi e ci addita come le suer uniche nemiche. Quante cose potrei raccontare… però fa male, anche solo scriverlo.
Bella la chiusura… anch’io non posso e non voglio rinunciarci
grazie per il post