Skip to content


Gli uomini, questi fantasmi

Pubblichiamo la traduzione libera di un brano tratto da “Un zulo propio” della fantastica Itziar Ziga. Il libro è una raccolta di testi divisi in due parti. La prima, “Antologia bastarda”, inizia proprio con il brano “Gli uomini, questi fantasmi”, un discorso che fu pronunciato durante la II Giornata sulle Mascolinità organizzata dall’aministrazione di Barcellona. I contenuti e i  termini di questo discorso suonavano troppo inadeguati e per questo motivo non fu incluso nella pubblicazione sulle giornate. La seconda parte intitolata “Archeologia di una scrittrice senza un computer proprio” recupera una selezione di testi brevi pubblicati negli anni su differenti blogs o scritti su fogli di carta e mai diffusi.

Che significa “Un zulo propio”? Nel 1929 Virginia Woolf diceva che noi donne per poter scrivere abbiamo bisogno di una stanza tutta per sé. A Itziar sono bastati quattro metri quadrati senza finestra e senza eccessive aspettative di intimità.

Ma soprattutto ha avuto bisogno di un rifugio interiore, uno spazio inespugnabile che può essere affittato per progetti esterni ad ore, mai a tempo indeterminato. La stanza di cui parla Virginia Woolf non è solo fisica è “Un rifugio tutto per se” che può essere trovato solo in noi stesse. Itizar spiega questo dicendo “Io ho avuto una volta una stanza enorme areata per me, con pareti color salmone e scrivania di legno pregiato, nessuno entrava a disturbarmi, passavano le ore e io non riuscivo a scrivere perchè ero colonizzata dentro. Il foglio bianco è spaventoso per una donna maltrattata. Benedetto femminismo, benedetta Virginia Woolf!”

Buona lettura!!!

<<<<<—–>>>>>

Gli uomini, questi fantasmi

Del vecchio dibattito “perchè i gruppi femministi sono club esclusivi per signorine” mi ha sempre irritato il tono della questione. Come femministe ci organizziamo come ci gira dalle ovaie, ci mancherebbe. Tuttavia sin dall’inizio mi ha insospettita la tipica risposta “potremo lavorare in gruppi misti quando gli uomini saranno preparati”. Mi suonava un po come la Quinta fase del Comunismo quando il Partito lascerà il potere tra cinquemila anni.

E i miei occhi non lo vedranno mai.

Sicuramente l’assemblearismo da pollaio o, che è identico, arrivare al consenso per pura noia, mi ha stancato già da molto tempo sia in gruppi misti che in gruppi only for women. Inoltre, con mia sorpresa, la supposta assenza di gerarchie tra donne era una problematica difficile da smontare perchè invisibilizzata. Il fatto che non ci fosse nessun maschio caprone nel gruppo non significava che tutte ottenevamo la possibilità di partecipare con la stessa tranquillità. Una delle trappole più pericolose nel separarci dagli uomini e demonizzarli è presupporre che tra le donne tutto sia fantastico. Il femminismo tende a ricadere su se stesso con troppa facilità e la assenza di uomini, motivata in parte per il disinteresse di questi e per la chiusura di noialtre, finisce per situare la metà della popolazione nei nostri discorsi e nel nostro attivismo sul piano di fantasmi.

Loro, gli eterni sconosciuti, gli irresponsabili complici e autori del male. E noi, le uniche che stiamo facendo qualcosa per salvare il pianeta. E quando alcune donne, magari nera e lesbica come la nostra Condolezza Rice, sembra non agire molto bene da parte delle sue simili, allora risulta che sia passata dalla parte “degli altri”. E con questa spiegazione dicotomica ci sentiamo tanto realizzate, tanto autocompiaciute.

Il nome ex_dones (ex_donne, dal catalano. ndt) ci venne in mente tra amiche in una notte di festa interminabile. Volevamo tornare all’attivismo femminista però partendo da un discorso che mettesse in discussione il genere, non trincerandoci dentro. E, soprattutto, non desideravamo imbarcarci in una dinamica di riunioni e doveri che complicasse ancora di più le nostre complicate vite di precarie in eterna ricerca di lavoro, casa, stabilità emozionale, sesso e droga.

Insomma: non impegnadoci quasi per niente.

Questo lo abbiamo ottenuto. Ex_dones è una autoprovocazione, una cosa simbolica, un nonsenso.

Non siamo così ganze da annunciare ai quattro venti che ci siamo liberate dall’essere donne, con una pozione magica de-generatrice che potete comprare ad un modico prezzo alla fine del dibattito. Neanche siamo ansiose di smettere di esserlo. Però ci interessa rinunciare simbolicamente a questa categoria attraverso la quale il patriarcato ha voluto rinchiuderci e minimizzarci. E giocare al depistaggio con il nemico. Ormai essere donne è come il liquido azzurro delle pubblicità di pasticche e ti regalano l’essenza della femminilità con cosmopolitan, e a noi ci gira dalle ovaie di essere qualcos’altro.

Se il femminismo affronta continuamente l’importanza di scappare dalla riduzione “donna” per parlare “delle donne”, soggetto che raccoglie la nostra diversità e che non dovrebbe assimilarci tutte come bianche, in carriera, con soldi, vacanze, casa, sposate ecc… ora a noi tocca attualizzare questo fantasma del “maschio” per iniziare a pensare e a convivere con “gli uomini”. Spogliarci di questa sicurezza sorda che tanta fatica ci costò per dotarcene e che a volte si avvicina troppo alla prepotenza, scaricandoci della ragione e di un certo vittimismo.
Tirare fuori gli uomini da questo lenzuolo fantasmagorico sul quale noi abbiamo finito per proiettare tante cose nostre scomode. E guardare che c’è sotto.

Infatti, nelle nostre lotte e desideri siamo più vicine ad uomini che conosciamo, poveri, precari, gay, transessuali o etero, libertini… che a molte donne. Incluso molte femministe. O forse il compromesso politico non è un contratto esclusivo con un bando e le alleanze sono diverse e mutevoli. Il genere non è un taglio pulito che divide il mondo in due, ne è l’unico taglio.

Inoltre, è giunta l’ora di non sentirci così tanto avanguardia delle donne, queste ingrate che difendiamo e che, alla fine, si accendono il programma alla tv e vanno a letto con il nemico.

Ragazze, per favore:
uccidiamo la santa femminista che ci portiamo dentro!

Posted in Fem/Activism, Personale/Politico, Scritti critici.


2 Responses

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. lafra says

    Io non intepreto questo testo come un invito a far sparire la nostra coscienza femminista ne a renderla moderata. Piuttosto è un invito a scrollarsi di dosso una immagine della femminista che in spagna, così come in italia, tende ad emergere solo in una unica modalità, a sua volta un modello che irrigidisce i ruoli e le contrapposizioni uomo-donna, eliminando o marginalizzando altre lotte. Se vogliamo abbattere il patriarcato dobbiamo fare un bel respirone, prendere coraggio ed ammettere che trincerarci in una lotta di sole donne contro uomini è riprodurre il binarismo di genere. Le identità in lotta sono tante, non solo donne vs uomini, ognuna ha le sue specificità create dal ruolo imposto a cui si ribella, e tutte possono confrontarsi per trovare altre forma di lotta, nuove e trasversali. Io sono femminista ma non per questo voglio che ogni mia azione e ogni mio pregio o difetto sia sempre preceduto dall’etichetta “donna” nel bene o nel male. Voglio che la mia identità sia una mia scelta, non una proiezione di aspettative o resistenze culturali. A quel punto non avrò più bisogno di etichettarmi e solo allora sarò veramente mia.

  2. francesca says

    Sono totalmente d’accordo ma non si uccide la santa femminista che ci portiamo dentro la facciamo diventare moderata, accogliente verso il genere opposto ma sempre solidale e battagliera per tutte le donne.
    (“Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”)