Dal Laboratorio Sguardi sui Generis:
La cronaca di questi giorni ci ha inevitabilmente portat* a riflettere nuovamente sulla strumentalità di discorsi minanti l’autodeterminazione delle donne. La testimonianza di Maria apparsa ieri su «La Repubblica» e la dichiarata intenzione, o meglio, mantenuta promessa, di Roberto Cota di finanziare la formazione del personale del Movimento per la vita rientrano in un più generale quadro di attacco ai diritti delle donne.
Leggendo il j’accuse di Maria, la prima reazione è inevitabilmente stata di rabbia e disgusto. La straniante sensazione di non poter proiettare in un altrove distante nel tempo e nello spazio quanto accaduto in questi giorni, si è sommata immediatamente anche alla solidale immedesimazione con la sua testimonianza. La sua storia non è un caso isolato, di donne come Maria ce ne sono molte altre. A caratterizzarla non è la sua vicenda, ma la sua reazione, cifra della dignità di chi non accetta di essere ricondotta forzatamente al ruolo di vittima né, tanto meno, di carnefice.
Siamo stanch* di una retorica (politica e culturale) che si appropria delle parole e ne ridefinisce strumentalmente il significato. Basti guardare all’utilizzo della parola “vita”, orientata volontariamente a designare quella del feto e mai quella della donna. Diventa necessario, allora, interrogarsi su come, attraverso lo slogan “difesa della vita”, si possa propagandare qualunque concetto, avanzando pretese assolutistiche. Ci chiediamo: chi dà loro il diritto di stabilire in maniera così violenta il senso della parola “vita” a nome di tutti e tutte? Chi dà loro il diritto, sempre in nome di quest’ideologica “tutela della vita”, di urlare: “Assassina!” ad una donna che, sicuramente non senza difficoltà, ha compiuto autonomamente la sua scelta?
Quando, poi, Cota parla di “nostri valori” noi non ci sentiamo affatto inclus*, anzi, sentiamo la necessità di riaffermare la pluralità delle abitudini e dei gusti sessuali, del credo religioso o della sua assenza, della volontà o meno di formare una famiglia non necessariamente eterosessuale, monogamica e basata sul matrimonio. Riteniamo inaccettabile l’arroganza di chi vorrebbe estendere la “morale bianca e cristiana” a tutti e tutte indistintamente!
Proporre ad una donna, come alternativa all’aborto, di partorire un figlio e poi darlo in adozione, equivale a considerarne il corpo della donna alla stregua di un’incubatrice, priva di emozioni. È questa l’inumana crudeltà della loro “difesa della vita”!
Certo non (ci) stupisce che anche questa partita si giochi sul corpo delle donne. Ultimamente, siamo avvezz* a questo tipo di strumentalizzazioni: dagli accordi elettorali di Cota, al pacchetto sicurezza, fino alle ultime politiche aziendali di Trenitalia (che offrono la possibilità di viaggiare gratis solo alle donne “accompagnate”). Insomma, sempre madri, mogli o fidanzate, dove il minimo comune denominatore, sembra restare però sempre la donna occidentale, intesa come corpo da difendere di volta in volta dagli immigrati extracomunitari (potenziali violentatori), dai pericoli di una vita da sola, o da circondare da “più soldati per ogni bella ragazza”.
In tutti questi discorsi, è sempre il controllo sui nostri corpi che è sottointeso, mascherato, tra l’altro spesso anche maldestramente, dalla retorica della difesa (che sia della “vita”, dei valori o quant’altro).
Alimentando l’opinione comune che l’aborto sia una scelta deplorevole si persegue un obiettivo ben più ampio: impedire alle donne di scegliere sui proprio corpi e di fare autonomamente le proprie scelte.
Se gli ultras della vita non possono rendere l’aborto illegale, cercano sistematicamente di ostacolarlo sottoponendo le donne a continui attacchi, giudizi, ingerenze esterne.
Testimoniando la nostra vicinanza a Maria, non possiamo dunque, ancora una volta, che ribadire con lei (grazie a lei), la ferma volontà di fare solo passi avanti e mai uno indietro, verso una sempre maggiore autodeterminazione.
L’aborto è un diritto che ci siamo conquistat*!
Per la libertà di scelta di ogni donna,
Laboratorio Sguardi sui Generis