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Di stalking si muore: quale destino per le figlie dei negazionisti?

Non so se ve ne siete accorte ma questa settimana, tra gli altri delitti commessi da un uomo, c’è quello che ha coinvolto due donne, madre e figlia, delle quali una è morta e l’altra è gravissima in ospedale. La particolarità di questo delitto consiste nel fatto che un familiare delle vittime, figlio e fratello delle vittime, è un testimone lucido e consapevole di quanto è accaduto alle donne della sua famiglia. Vivevano entrambe in una villetta vicino un tale, poi divenuto il loro assassino, che non sopportava i loro cani. In un arco temporale che risale al 2007 ques’uomo aveva tentato di avvelenarli, ucciderli, e tutto ciò si univa ai tanti dispetti e alle tante forme di persecuzione ossessive che metteva in atto contro le due donne. L’uomo è stato denunciato sette volte e la mattina in cui ha compiuto il delitto era stato condannato per stalking.

Per un uomo come lui, settantacinquenne, le due donne e i loro cani erano diventati una ossessione e come tutti quelli che sono dediti a una forma di ossessione riteneva che eliminando i cani e poi eliminando le due donne lui avrebbe potuto guadagnarne in non si capisce cosa.

Non è certo un comportamento atipico se pensiamo ai tanti uomini che demonizzano le donne o una donna in particolare che diventa inevitabilmente una vittima senza la quale l’assassino ritiene di stare meglio. Anzi è il comportamento di tutti gli stalkers, compresi quelli che agiscono virtualmente, che ti perseguitano allo scopo di cancellarti, eliminarti, fare in modo che tu non esista perchè è la tua stessa esistenza che costituisce per loro un problema.

La particolarità, dicevo, sta nel fatto che questo ragazzo lucido e consapevole ha gridato forte che la legge sullo stalking è inutile, insufficiente, non serve a fermare un assassino, perchè quelle che sono le avvisaglie di un crimine sempre più grave vengono così semplicemente archiviate come atti di disturbo. Lui ha parlato di sottovalutazione, una sottovalutazione durata sette denunce e più di tre anni, condanna inclusa. Ed è stato così convincente che perfino il procuratore della sua città ha dovuto ammettere che la legge andrebbe rivista. Ha anzi offerto una giustificazione dicendo che era una materia che prima non veniva neppure considerata e che dove c’era un vuoto legislativo ora c’è qualcosa he può essere ampliato e corretto.

La questione che emerge con forza è il fatto che le forme di persecuzione, da parte di vicini e conoscenti come in questo caso  ma assai più spesso da parte di ex mariti o fidanzati, nei confronti delle donne vengono sottovalutate. Come fossero capricci delle vittime le quali solitamente sono oggetto di minacce, intimidazioni, stupri, tentati omicidi, percosse, appostamenti, pedinamenti, tamponamenti con l’auto, tentati incendi alle proprie abitazioni e tutto ciò viene classificato con il reato di stalking ovvero con un nulla di fatto, niente che possa davvero rilevare la pericolosità di questo tipo di azioni.

Nessuno immagina che i livelli di persecuzione, così come ogni altro tipo di intimidazione, aumenteranno sempre anche in caso di arresto e condanna. L’arresto è poca cosa e la condanna non vieta, come dimostrato, ad uno stalker di ammazzare la propria vittima. Nessuno pensa a livelli di protezione differente per le vittime. Nessuno pensa a campagne di legittimazione delle vittime. Una legittimazione reale a fronte della sottovalutazione perenne e del negazionismo diffuso.

Quand’è che le donne vengono credute? Quando avviene che si rileva l’effettiva pericolosità di un assassino? Quando la donna è morta. E in quel caso si dirà sempre e comunque che si è trattato di un raptus, una cosa momentanea e non il disegno premeditato di chi ha ossessivamente dedicato ore, mesi, anni a perseguitare una donna.

Salvare la vita alle donne, quindi agire in modo preventivo, significa innanzitutto non sottovalutare le denunce delle donne che spesso si ritrovano sole rispetto alle loro rivendicazioni e tanto più spesso vengono anche delegittimate come fossero responsabili della ossessione dei loro assassini. Significa tutelarle, presupporre luoghi di riferimento, aiutarle facendo in modo che venga rinnovato il codice di comunicazione dei media a proposito degli atti di violenza contro le donne. Salvare la vita delle donne significa innanzitutto credere alle donne che denunciano quando si sentono in pericolo. Se questo non accade è davvero ben poca cosa costituirsi parte civile al processo in cui si narra della loro morte. Sarebbe il caso che quell’interesse fosse dimostrato quando le donne sono in vita.

Non si tratta di un affare superficiale ma di una questione di sostanza. Prendi l’esercito di negazionisti che giustificano la violenza maschile e che forniscono attenuanti agli assassini. Prendi quelli che quando una donna denuncia ed è ancora in vita sostengono il carnefice invece che la vittima. Prendi gli stalkers, assassini, stupratori che si autorappresentano nella nostra vomitevole tv reality del presente. Ottieni che questa gente, tutti coloro che scrivono, recitano, trasmettono, trasferiscono cultura che se ne frega delle loro figlie, se le hanno, e delle figlie di tutto il mondo.

Dobbiamo presupporre che non abbiano figlie, sorelle, compagne rispetto alle quali avrebbero il dovere di sentirsi responsabili per l’eredità orrenda che lasciano sovraesponendo anche loro a pericoli atroci. Dobbiamo credere che non gli importa nulla della vita delle loro figlie, in special modo quelli che dicono di essere “amorevoli” padri, perchè se gli interessasse qualcosa avrebbero tutto l’interesse a fare in modo che domani le loro figlie, e speriamo mai debba accadere, nel caso ne avessero bisogno, trovassero sostegno, strutture, luoghi di riferimento, e un terreno legislativo e soprattutto culturale che le aiuti in qualunque circostanza.

A meno che non ritengano di proteggere le loro figlie, ben sapendo di essere responsabili di aver legittimato stupratori e assassini, chiudendole in casa come facevano i pater familias di una volta.

Quale padre, uomo, donna non vorrebbe che le proprie figlie fossero in grado di ottenere tutti gli strumenti per difendersi? Quale padre, uomo, donna, per puro interesse, per la carriera, per ottenere cinquanta righe nelle pagine di cronaca di un giornale sessista, metterebbe una ipoteca sul futuro di sua figlia consegnandolo alle mani di falsabusisti, filopedofili e apologhi del femminicidio?

Ma forse chi costruisce cultura dello stupro e del femminicidio non ha figlie e disprezza quelle altrui se non può farne quello che vuole. Perchè se avesse figlie e le disprezzasse tanto da negare loro un futuro in cui è possibile difendersi e ottenere giustizia avremmo dei dubbi sull’inflazionato e a quel punto strumentale concetto di paternità.

—>>>Bollettino di Guerra

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio.


2 Responses

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  1. Patricia Combes says

    Il problema è che viviamo in una società che nega tutto … Nega la violenza, chiude l’occhio, volta la spalla, nega la povertà, nega i problemi che esistono per le donne e per le mamme. E troppo commodo negare tutto, e fare sempre finta che tutto va bene. Fino a quando? Finché tutto crolla? … Nessuno vuole assumere la responsabilità, nessuno vuole problemi. E molto difficile la situazione mentre si ha questo attegiamento.

    Patricia Combes

  2. Lunadicarta says

    A mio avviso è sulle Questure che è necessaria una azione politica e sociale. Purtroppo è vero che alcuni strumenti della recente legge sullo stalking non sono usati. L’ammonimento del Questore, ad esempio. E si tratterebbe di un provvedimento urgente, dato solo a seguito di esposto (occhio non denuncia), che obbligherebbe la questura ad agire almeno 2 volte contro lo stalker: la prima con la notifica presso il domicilio, la seconda con l’ammonimento stesso presso gli uffici della ps. Poi si conferma in denuncia quanto già dato, magari con l’aggiunta di particolari, e si investe la magistratura.
    Con la prassi normale gli uffici di ps e carabinieri producono solo denunce a seguito delle dichiarazioni delle vittime, ma nessuna donna sa che nelle grandi città occorrono anche 6 mesi per l’iscrizione al registro generale notizie di reato e per l’assegnazione ad un pubblico ministero. E nel frattempo possono essere ammazzate…