Skip to content


Il silenzio significa NO

Marta ci segnala questo opuscolo che racconta storie di sessismo e si intitola “Il silenzio vuol dire NO”. L’opuscolo è in formato pdf ma per il peso del file preferiamo inserirlo qui in formato jpg. Cliccate sulle immagini in basso e ne ricaverete l’opuscolo. La storia che leggete sotto è solo una di quelle che sono raccontate. Buona lettura e buona condivisione!

>>>^^^<<<

UNA STORIA DI ORDINARIA
VIOLENZA SESSUALe

Sento il bisogno di parlare della violenza sessuale che ho subito all’interno di uno squat, e spiegare perchè ritengo importante scriverne in un opuscolo.
Ritengo che da questa spiacevole esperienza siano nate dentro di me tantissime domande e siano maturati discorsi che finora vedevo come distaccati, presenti ma lontani, come se il sessismo fosse qualcosa da combattere al di fuori della mia vita personale, fosse qualcosa che toccava gli altri, non direttamente me e nemmeno i luoghi libertari che frequento, come gli squat.
Come detto all’inizio quindi, racconterò i fatti, anche se al momento bruciano tantissimo e mi fanno molto male, ma lo faccio perchè questo potrà aiutarmi a focalizzare meglio i punti che voglio analizzare, e spiegare il mio antisessismo.
Tempo fa sono stata ospite in uno squat, e una sera, dopo una cena tra amici mi sono unita a due ragazzi che volevano andare a bere qualcosa al bar vicino; la serata è stata piacevole, e un po’ tanto ubriachi siamo tornati allo squat, dove abita uno di questi due ragazzi, che chiamerò la merda, cosicché possiate riconoscerlo meglio.
Premetto che nei giorni precedenti stavo dividendo il letto con un mio carissimo amico, però quella sera, vista l’ora non me la sentivo di entrare e disturbarlo, così quando la merda mi ha proposto di dormire tutti e tre in camera sua ho pensato che fosse meglio così, per non disturbare il sonno del mio amico.
Ed eccoci tutti a letto, io nel mezzo, a dir la verità un po’ preoccupata, perchè il tipo alla mia sinistra mi annusava la felpa dicendo che sapevo di una spezia e già sentivo che invadeva il mio spazio, ma poco dopo per fortuna dormiva pesantemente. Alla mia destra la merda dormiva rivolto verso di me, e dopo dieci minuti le sue dita sfiorano la mia gamba: fin qui normale, poi la mano si appoggia alla coscia e io penso “è un caso” ma un caso non è, la mano si spinge più su e arriva a toccare la figa con vigore.
Sarà che sono un’ingenua, o meglio, che le persone semplicemente le rispetto, ma una cosa del genere proprio non me l’aspettavo, così, fortemente delusa mi alzo dal letto, prendo le mie scarpe e me ne vado senza dire una parola. La merda mi dice solo “ehi, no ma stai tranquilla!” inteso come “dai non è successo nulla” e gli rispondo “sarai tranquillo tu, non certo io!”. Me ne torno in stanza dal mio amico che per le successive ore ascolterà la storia e i miei sfoghi, capendo perfettamente il mio stato. Sul momento volevo andarmene via, poi ragionando ho deciso di rimanere

TI SEMBRA NORMALE TUTTO CIO’??

Questo perchè certe problematiche personali non sono considerate una vera lotta, non portano abbastanza gloria e quindi non sono realmente riconosciute.
Pensare alle lotte in maniera così “gerarchica” permette di nascondercisi bene dietro: nelle grandi lotte possiamo stare sicuri di essere dalla parte giusta, mentre il confine è molto più sfumato se si attacca la sfera personale.
Io credo che aver portato la mia esperienza nello squat dove ho subito la violenza sia stato un momento importante per portare alla ribalta l’argomento violenze di genere e sessismo, per far capire che certi rapporti di potere costituiscono un problema sociale e quindi collettivo. Purtroppo abbiamo (in quanto con me sono venut* altr* compagn*) incontrato una generale deresponsabilizzazione nel gruppo di persone di fronte alle violenze di genere, e un conseguente disconoscimento di queste ultime e l’allontanamento di chi le ha subite (in questo caso io); questo si aggiunge come un’altra violenza, la differenza sta solo nel fatto che prende una dimensione collettiva.

Vorrei infondere a tutte le persone che hanno subito una violenza sessuale (anche anni fa) fiducia e sicurezza, oltre che tanta rabbia. E’ ora che vi incazziate! e parlate, parlate, urlate, piangete, fatelo
come volete ma fatelo! Non crediate che siete state assalite perchè quella sera avete esagerato in moine ed effusioni e sguardi languidi; e non pensate che forse avete dato troppa fiducia e amicizia al vostro aggressore per far sì che potesse fare di voi ciò che voleva. Siete persone, non oggetti, e l’amore o la scopata SI FA IN DUE. Non esistono giustificazioni che possano rendere accettabile una violenza sessuale.
Per tutte le persone che si sentono in diritto di fare ciò che ho appena descritto e che magari lo hanno già fatto e non gli sembra di aver fatto nulla di male, beh a loro va tutto il mio disprezzo, non sono per niente diversi da coloro che fischiano in strada al/la loro partner e che li fa tanto incazzare.
Nella società in cui viviamo è difficile riuscire a parlare apertamente di uno stupro. Spesso chi lo subisce si sente colpevole, teme di non poter reggere la solidità dei privilegi che circondano l’uomo, ma non solo: spesso è difficile parlare di una violenza subita perchè la persona sente che l’accaduto è una cosa prettamente personale e in più teme di non poter far capire fino in fondo il suo disagio. Le violenze di genere sono un argomento assai difficile da affrontare e da analizzare anche nel nostro movimento. Spesso sento dire “siamo antirazzisti, antisessisti, anti-qua, anti-là”, ma l’argomento antisessismo non è sufficientemente discusso, anzi direi che rimane un’etichetta di cui tutti si appropriano ma che pochi praticano nel quotidiano. Questo porta a nascondere,
minimizzare una violenza sessuale. Non c’è molto altro da spiegare, mi pare che questo basti e avanzi per capire perchè tante violenze vengono taciute. Basta aggiungere all’affermazione che si tratta di “storie personali” un po’ di colpevolezza verso chi ha subito ed ecco pronta la ricetta per il silenzio.
La persona che decide di parlare a tutti di questa “scomoda faccenda” teme che venga minimizzata, e quando questo accade nella totale noncuranza dei sentimenti della persona ecco che si aggiunge un’altra violenza.
Io credo che di fronte ad una persona che ha subito una violenza e ci sta esprimendo il suo disagio, la reazione immediata dovrebbe essere quella di capire fino in fondo quello che ha provato e quello che sta provando e chiedersi come mai una persona possa sentirsi così e non ce ne siamo resi conto subito. Questo mi fa pensare che il benessere di una persona sia molto importante e faccia parte delle mie preoccupazioni.
Mi viene spontaneo un paragone: se un “compagno” desse dello sporco negro a una persona di colore, e la persona vittima di questo gesto razzista facesse presente il suo disagio, non reagiremmo tutti quanti in maniera forte e decisa? Perchè questo non accade con persone che hanno il coraggio di raccontare il loro disagio riguardo una violenza di genere subita? Perchè la risposta non è altrettanto forte e decisa? Io la risposta ce l’ho: non siamo in grado di affrontare il sessismo perchè fa parte del nostro codice sociale più di quanto riusciamo ad immaginare. Riusciamo solo a pensare che le persone che stanno portando questo argomento, che ne discutono fino all’esaurimento siano isteriche femministe separatiste che pensano solo a quello.
Inoltre trovo delle divisioni di genere anche tra spazi pubblici, la politica, che è di competenza del mondo maschile, mentre la sfera personale e/o privata riguarda più le donne. per dire due parole alla merda: d’altronde andandomene via così per lui il gesto sarebbe rimasto una cosa da nulla.
L’indomani prima di tutto parlo dell’accaduto ad altri due abitanti dello squat lasciandogli anche una lettera con scritto tutto quello che sentivo, poi parlo alla merda dicendogli che mi aveva fatto sentire un oggetto, che non aveva preso minimamente in considerazione il mio consenso, nè le conseguenze del suo gesto; si è scusato dicendo che non aveva giustificazioni per quello che aveva fatto, ma io gli ho ribadito che nessuna parola avrebbe potuto cancellare in me il malessere e il disgusto del suo gesto, ed ecco che alla fine è uscita la frase “mi dispiace di averti deluso, anche perchè sei una persona interessante”. Questa frase dimostra quantoì non avesse capito che la sua violenza aveva lasciato in me un forte malessere, ma pensasse solo a quanto mi aveva deluso (ancora una volta ha pensato solo a sè stesso!) Poco dopo sono tornata a casa, svuotata, incazzata, e certa che questo fatto non sarebbe rimasto irrisolto.

LE MIE CONSIDERAZIONI

Da questo accaduto mille sono state le domande che mi sono posta e mille le considerazioni, trovando un collegamento a molte delle lotte che porto avanti come anarchica, o, senza etichettature, come individuo alla ricerca della libertà. Anche prima di questo episodio ritenevo l’antisessismo una tra le lotte che più sentivo vicina a me, ma vivevo tutto sotto un’analisi di decostruzione del genere, insomma una visione più queer, e vedevo le femministe come rinchiuse in un ghetto di ottusità in cui l’uomo è il male, e la donna la vittima; la lotta delle femministe era per me un’incomprensibile atto di rivendicazione di donne che vedono l’uomo come il prevaricatore delle loro idee e spazi, colui che si intromette sempre perchè l’unico ad avere idee superiori, mentre io
vedevo principalmente un’oppressione data dalla costruzione/costrizione del genere in base all’educazione che riceviamo.
Ad oggi, le mie idee riguardo il sessismo non sono cambiate molto, ma almeno ho trovato alcuni punti di incontro con il pensiero femminista, prima di tutto perchè la solidarietà espressa nei miei confronti è arrivata dalle donne, mie amiche e compagne, e da coloro (tra cui anche molti uomini) che hanno una visione ben chiara di quali siano trame e orditi dell’oppressione e dominio dell’uomo sulla donna.
Quindi cosa mi ha avvicinato al pensiero femminista? Ho capito, toccando con mano, il pensiero maschilista radicato nella maggior parte degli uomini, chi più e chi meno, che assoggetta le donne rendendole oggetti, dimenticando che sono individui, e diverse le une dalle altre e le une dagli altri, con desideri, sogni e trascorsi differenti; ho sentito che dentro di me si apriva una nuova porta, come quando ho capito l’antispecismo, o le lotte contro le carceri e i cie, o come quando ho avuto una visione più chiara del mio sentire antirazzista. Quello che ho capito sono le istanze portate avanti da alcune persone, soprattutto donne (tra cui trans e lesbiche) che ogni giorno si sentono escluse e non ascoltate nelle loro richieste e problemi, banalizzate solo perchè categorizzate come donne, e considerate meno importanti.
Voglio portare un paio di esempi che mi vengono in mente ora. L’altro giorno durante una chiacchierata tra compagni si finisce col parlare di come aggiustare un tetto; una ragazza lamenta che uno dei compagni le ha detto “queste cose le facciamo noi uomini”, gli altri sminuiscono la frase dicendo “ma lo sai che quello è un cretino!”: ecco che per l’ennesima volta vedo che i miei compagni non si rendono conto che il ragazzo in questione ha detto una cosa sessista fino all’osso, ma probabilmente pensano che sia una questione che possono risolvere tra loro due e che non ha rilevanza.
Anzichè lasciar perdere o minimizzare, sarebbe meglio arginare questo tipo di discorsi o ancor meglio affrontarli più approfonditamente in maniera collettiva.
Un altro caso, in cui spesso mi sono ritrovata protagonista, e credo moltissime altre donne: arriva un ragazzo nuovo nel nostro spazio occupato, si presenta a tutti, non saluta le donne presenti, e chiacchiera solo con gli uomini; ancor peggio, se una donna gli pone una domanda, risponde all’uomo, come se la domanda fosse stata posta da un fantasma! Per costui è molto probabile che la donna assuma importanza (solo fisica) nel momento in cui decide di conquistarla. Purtroppo di queste infime situazioni ce ne accorgiamo di più noi donne, che queste discriminazioni le subiamo.
A questo punto mi sono davvero chiesta cosa gli altri possano capire dei miei discorsi di genere se prima non capiscono che loro stessi sono ben ancorati al modello binario uomo/donna, un binario fortemente influenzato dalle regole sociali imposteci fin dalla nascita. Mi sono confrontata con uomini che scavalcano l’oppressione tra uomo e donna a piedi pari parlando di decostruzione del genere, come se i discorsi delle femministe fossero campati in aria.

COLPEVOLE

Si pensa che la donna abbia sempre una parte di colpa in una violenza sessuale, e tra uomini c’è questa solidarietà che crea un muro indistruttibile da sempre eretto a fortezza del loro stato sociale privilegiato; ancora una volta, anche in situazioni così gravi, si nascondono dietro a giustificazioni e colpevolizzazioni verso la donna. Nel mio caso particolare la solidarietà tra uomini è stata accentuata dal fatto che la merda in questione è un loro amico, e questo rende le cose molto più difficili per tutti. Tornata nello squat dopo circa un mese dall’accaduto per poter discutere con il resto della casa ho dovuto subire momenti davvero duri, dove la difesa dell’aggressore era il centro della discussione, e io venivo messa da parte, come se fossi qualcosa di estraneo, impalpabile, lontano, non importante.
“Forse lei (cioè io) non doveva dormire con due ragazzi”. “La merda era ubriaca e quando si è ubriachi non si ha il controllo”. “Per me non c’è stata violenza, ci ha provato e basta”. “Abbiamo due versioni del fatto”, “non possiamo cacciarlo dalla casa, è un nostro amico”, “sappiamo che non lo rifarebbe mai e poi mai”, “ha capito, e quindi va reinserito”. Da tutti i discorsi che sono usciti, dai più beceri ai più squallidi, mi chiedo cosa mai la merda potrà capire restando in quello squat!
Oltretutto la merda parlando con le persone che abitano con lui sembra aver capito davvero che il suo gesto è sbagliato, e quindi questo ha rafforzato la difesa nei suoi confronti, ma ha anche rafforzato in tutti gli abitanti la certezza che a sbagliare sono stata io, che lui è la vittima di una donna isterica e aggressiva.
Sono rimasta due giorni a discutere di antisessismo con gli abitanti dello squat, e ne sono uscita altamente delusa e sconfortata; il mio pensiero è andato a tutte quelle donne stuprate che hanno subito processi che le hanno ulteriormente spogliate della loro dignità. Spesso questi processi finiscono con l’innocenza dello stupratore, e anch’io mi sono sentita sconfitta. Ho sentito il gelo
attraversarmi le ossa durante le discussioni, ma soprattutto ho visto quanto viene professata la solidarietà e quanto poi nessuno conosca realmente questa parola, e non riesca a renderla un gesto
concreto.
Se poi a qualcuno venisse mai da pensare “era ubriaco e quindi senza controllo” rispondo dicendo che probabilmente mi sentirò giustificata se stasera mi ubriaco e ammazzo il primo che mi capita.
davvero chiesta se sarebbe arrivato a un gesto così squallido. Se una persona mi mette una mano sulla spalla non penso che finirà poi sul mio seno, non sono così diffidente, soprattutto verso un
mio compagno. La colpa non è mia che ho aspettato di vedere fin dove si sarebbe spinto, ben consapevole che il mio silenzio voleva dire NO. Ma per molti uomini il silenzio vuol dire sì. “Forse” per
loro vuol dire “se insisto ci sta”, “NO” vuol dire che mi sta ferendo nell’ orgoglio di maschio e quindi insisto finchè non dirà di sì. In questo modo otteniamo tutto ciò che vogliamo, ma in che termini? Desideriamo che quella persona stia insieme a noi con lo stesso desiderio che proviamo noi o per sfinimento o compassione? Cosa c’è di bello in una passione che va solo in un senso? Crediamo poi di ottenere rispetto, altruismo e amore incondizionato?
Putroppo questo genere di violenza non capita solo tra due sconosciuti, ma anche tra partners che stanno insieme da tempo.
Ho sentito migliaia di storie raccontate da donne che dicono che spesso cedono all’insistenza del loro compagno a fare l’amore; ho letto poco tempo fa la zine “non essere un cazzo” in cui
l’autore si rende conto di aver fatto violenza sessuale sulla sua compagna quando insistette a farsi fare una sega. Mesi dopo ne hanno parlato e la sua ragazza ha ammesso di essersi sentita molto male. L’autore dice di non aver mai ragionato in questi termini sul consenso, e si è reso conto dei privilegi che aveva in questa società: il non dover pensare che effetto possono avere i suoi privilegi di uomo bianco eterosessuale.
Racconta di essersi scusato con la sua ragazza, ma che questo certo non bastava a dire “ok, è tutto a posto”: si è fottuto, e non può tornare indietro. Io penso che però sia molto bello che lui abbia scritto una fanzine sul consenso e sulle violenze sessuali, il suo scritto potrebbe far scattare degli allarmi in ognuno di noi…. vero?

Posted in Autoproduzioni, Corpi, Fem/Activism, Omicidi sociali.