[Foto da Riotclitshave]
Mi chiamo Veronica e ho 31 anni. Ho un rapporto conflittuale con mia madre perché lei è una che ha subito un’infinità di violenze e quelle violenze non fanno mai una sola vittima. Diventano un male ereditario, che non so a quale generazione può fermarsi. Pensate che ho paura ad avere un figlio perché non so davvero cosa sarei in grado di trasmettergli.
Mia madre non ha avuto una vita facile e non l’ho avuta neppure io. Certe volte è stato più comodo prendermela con lei perché era quella più vicina, l’unica che si occupava realmente di me. E in quei casi ricorrevo al solito ricatto delle figlie di padri irresponsabili. La solita bugia. Le dicevo che mio padre era migliore di lei.
Quanto deve essere stato difficile per quella donna tenere la bocca cucita su tutte le sue brutte esperienze, per non frantumare la mia illusione di avere a che fare con un uomo perbene. Poi me ne sono accorta da sola perché lui non mi ha mai dato niente, ha sempre usato tante scuse, si è nascosto dietro tanti alibi e quando l’ultima volta che mi ha piantata in asso mi disse che era colpa mia ho capito che fare la vittima, perfino di sua figlia, era un mestiere che lui esercitava con convinzione, per non crescere mai.
Quando ho detto a mio padre che non volevo più vederlo sono andata dritta da mia madre per chiederle che cosa era successo tra lei e lui. Volevo sapere tutto perché all’improvviso ho sentito quella donna come una sorella invece che una madre/nemica.
Non oso ripetere quello che mi ha detto perché non ho dimestichezza con le torture ed è esattamente quello che lei ha subito per tanti anni. So che alla fine sono stata felice che lei sia sopravvissuta e più me la guardo e più vedo in lei la calma e la forza che può essere maturata solo in una schiava che è riuscita a liberarsi. Di quelle che aspettano pazientemente il momento della liberazione, che scavano tenacemente per trovare un varco per la fuga. Tutto pianificato perché altrimenti, come lei mi disse, mio padre avrebbe ucciso lei e forse anche me. Non me lo disse per ingigantire la questione. Lei lo pensò davvero e l’unica cosa che sapeva era che voleva sopravvivere.
Voleva anche fare sopravvivere la sua famiglia originaria perché mio padre in un litigio precedente la fine del matrimonio era andato a prenderla dai suoi minacciando di fare una strage.
Capite quanto è grande la responsabilità di una donna che oltre a liberare se stessa deve fare attenzione a non coinvolgere altre persone, a non fare ammazzare nessun altro, a salvare la vita ai figli?
Al suo paese non c’erano centri antiviolenza. Proprio non esistevano. Lei non poteva rivolgersi a nessuno. Poteva contare solo su stessa e su una amica. Quella amica fu la sua complice più determinata. Andò a prenderla e la portò in una casa in città piena di universitari.
Mia madre mi disse che quello fu il periodo più strano della sua vita perché c’ero io e lei finì per diventare la cuoca di un esercito di studenti senza capo né coda che facevano finta di essere autonomi e invece avevano ancora bisogno della mamma. Ma molto meglio fare la serva a loro che tornare da dove era venuta.
Mentre era in fuga mia madre contattò la famiglia di mio padre, un fratello in particolare, e gli fece presente che aveva diversi certificati medici sulle ferite, fratture, lividi, un tentato strangolamento, lesioni, descrizione dei danni all’occhio e all’orecchio, che avrebbe usato per denunciare mio padre se la famiglia non fosse andata a fermarlo una volta per tutte.
Glielo disse senza mezzi termini, chè lei non lo voleva rovinare. Voleva solo che la lasciasse in pace. Voleva che smettesse di ossessionarla e torturarla. Avrebbe pagato la libertà con il suo silenzio.
Io so che era una cosa sbagliata ma ho provato a mettermi nei suoi panni, quelli di una donna condannata alla fuga, con una bambina piccola, senza avere casa, lavoro, soldi, una famiglia da cui poter tornare. Ci teneva a non perdere tutta la sua vita e sapeva che a quell’epoca non poteva contare su nessuno.
Una denuncia comunque l’avrebbe lasciato in libertà. I maltrattamenti non erano puniti, lo stalking men che meno, il tentato omicidio era da dimostrare e nel frattempo lei se lo sarebbe ritrovato intorno più inferocito di prima.
Quello che è successo dopo ha dell’incredibile perché effettivamente la famiglia/clan di mio padre apprezzò l’offerta di omertà e si sentì gratificata dell’incarico ricevuto. Come dire che per salvarti da un estortore devi lusingarlo, fargli capire che hai acquisito il suo linguaggio e devi affidarti al boss dei boss. E’ la stessa identica cosa.
Perciò dissero a mio padre di fare le valigie e di lasciarci in pace. Lo spedirono per un po’ in un’altra città e quando tornò, con un’altra donna, lo sistemarono per farlo stare decentemente.
A mia madre e a me nessuno ha mai dato niente. Non un soldo, un regalo, una parola gentile. Nulla di nulla. D’altronde l’accordo fatto da mia madre prevedeva soltanto che lei e io avessimo salva la vita. Perciò tanto doveva bastare.
Ora guardo questa donna con gli occhi gioiosi di una bambina, la vedo strofinarsi l’occhio che mio padre le ha rovinato, vedo che si sforza di sentire quando le parlo dall’orecchio che non funziona più, la guardo fare fatica a chinarsi e rialzarsi e tuttavia la sento cantare, in un linguaggio inventato perché lei non riesce a imparare a memoria le parole delle canzoni e mi si stringe il cuore, tanto è l’amore che provo per lei.
Ci vuole tanto per innamorarsi della propria madre, tanto per perdonarla, per comprenderla, per dirle che ho adorato avere una madre che non mi ha mai negato il diritto di sentirmi ferita. Dio solo sa quante cose brutte le ho detto e quante volte ho sperato di poter fare a meno di dover fare i conti con lei.
Quella donna testarda era sempre lì, imperfetta, a volte odiosa, ma così umana e piena di calore. Mai bugiarda sulla durezza che talvolta mi infliggeva. Mai desiderosa di farmi passare per scema o pazza quando le dicevo che era stata una madre difficile da digerire. Non mi ha mai negato la verità e per questo io le sarò sempre grata perché è grazie a lei che ho imparato a difendermi da quel bugiardo di mio padre e da tutti i bugiardi del mondo.
Lo sguardo di mia madre è diretto, senza alibi, non si aspetta concessioni, assoluzioni, non c’è colpa, c’è solo responsabilità, piena, completa. Mi ha insegnato a distinguere e a riconoscere gli sguardi di quelli che si nascondono, che non ammettono mai di avere sbagliato, e che perciò non ti riconoscono neppure il diritto di sentirti ferita quando vieni ferita.
Così ho deciso che voglio una vita senza mistificazioni e moralismi. Perché di errori ne faccio anch’io e non mi sento superiore a nessuno. Non sono migliore di nessuno. Sicuramente non sono migliore di mia madre così come lei non è migliore di me.
Ma devo dirvelo. Quella donna straordinaria mi ha salvato la vita. Non una. Due volte.
Qualche volta è una gran stronza, ma è la più bella persona che io abbia mai conosciuto. E sono felice che sia mia madre.