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Necrologio della maternità

[Foto da Riotclitshave]

Qualcuno dice che “partorire è la cosa più naturale del mondo”. Chi lo dice generalmente non ha mai avuto neppure una doglia. Chi lo dice generalmente è un uomo che si attiva per assicurare la continuità della sua poco nobile stirpe e che delle donne pensa ne più e ne meno che siano delle macchine senz’anima per fare figli.

Avremmo voluto chiederlo all’ennesima donna morta di parto nel nostro desolato sud cosa pensava della “naturalezza” del parto. Perchè di parto si può morire ed è questo dettaglio per nulla insignificante che evitano di raccontarvi nascondendo il dolore dietro una serie di ignobili sequenze tribali a partire dalle dicerie ultracattoliche che vogliono le donne a “partorire con dolore” fino ad arrivare a tutta la retorica sulle gioie del parto, la bellezza del generare una vita, la meraviglia di vedere le stelle e cagare l’anima per accontentare una corte dei miracoli disposta tutta intorno che ti incita a respirare, premere, spingere, saltare, ululare, e vai, e vai, e vai, basta che tiri giù un altro servo della gleba, buono da fargli fare l’operaio per due lire, buono per riempire i sacri templi del privilegio per certuni, buoni da indottrinare affinchè anche loro esigano dalle donne parti dolorosi che non richiedono nessun impegno della società.

C’è un uomo che abbia una seppur vaga idea di quanto sia grande il dolore che si prova nel partorire? Ti si strappano le viscere. E’ carne che si strappa dalla carne. E’ un essere enorme che deve venire fuori da una fessura minuscola. Come far entrare un cammello dalla cruna dell’ago. E la donna che è arrivata al parto nel frattempo è diventata anemica, le si sono sballati tutti i valori, ha perso i capelli, la vista, le si sono acuite tutte le malattie autoimmuni per le quali aveva una predisposizione, e di tutto ciò e molto altro non interessa a nessuno fuorchè del fatto che non intacchino la vita che sta per nascere.

Quando hai partorito, mentre il patriarcato festeggia attorno a te e tu assisti ai brindisi di parenti e familiari che intepretano la parte di quelli alla ricerca di una compensazione alle loro frustrazioni irrisolte, quelli che usano i bambini per non pensare al presente, e si attaccano a loro come sanguisughe per cercare in quei corpicini un senso della vita che non sono stati in grado di trovare altrimenti, quelli per i quali i bambini diventano il riempitivo della solitudine, quasi a nessuno importa che tu sia sopravvissuta, scampata alla morte, all’invalidità, ad una serie di conseguenze che tu e tu sola avresti potuto subire o subirai.

Ti insegneranno a sentirti lusingata del fatto che hai partorito un bambino più o meno sano, bello, biondo, con gli occhi chiari, possibilmente ariano, e ti riempiranno di complimenti come si fa con una buona mucca che ha appena messo al mondo un vitello da regalare al padrone dell’allevamento.

Finirà che ti vanterai anche tu di aver contribuito con un buon “prodotto” umano, e se non avrai modo di vedere la fine del parto perchè la sanità da terzo mondo ti farà morire tra un trasporto con un autoambulanza e un altro, troverai sempre qualche giornalista fallologocentrico che scriverà che “comunque il tuo bambino è stato salvato”.

E qui si apre la sequenza orripilante dei parti post mortem, che in una società fascista diventano accessorio indispensabile alla costruzione di una immagine di potere di un duce. Così ricordiamo la battuta del premier a proposito di Eluana e della sua possibilità di fare un figlio mentre era in stato di coma vegetativo permanente.

Partorire per scelta è un conto ma quando partorisci perchè un obiettore di coscenza non t’ha dato una pillola del giorno dopo o una ru486 è un delitto genere, una punizione contro la madre/mucca che non adempie alla sua funzione di sgravatrice del figlio del “padre”.

Per non parlare poi del fatto che la cultura del “padre” è quella che fin dal primo giorno mette i figli contro le proprie madri, trattate molto peggio che a sparta, abbindolate con trucchi e leggende, incastrate con pregiudizi e cattiverie, ricatti psicologici e sensi di colpa, mai comprese nella loro solitudine umana e sociale, mai aiutate quando hanno bisogno di esprimere disagio rispetto ai loro limiti di sopportazione di un ruolo che richiede energia, fatica, sudore, dolore, rinuncia, limitazioni di ogni genere, mentre tutt’attorno nessuno ti favorisce e nessuno ti dedica altro che frasi che iniziano per “devi”.

Invece eccolo il mondo del “padre” che si compiace del figlio salvato e dedica appena due righe alla madre defunta nel partorirlo. Righe che non possono mai sostituire tutta la cultura rimossa, le frasi mai dette su ogni morte sociale ed economica che le madri, quelle che respirano ancora, subiscono.

Madri infinitamente povere, senza prospettive, troppo spesso senza lavoro e affidate alle “cure” di uomini che le maltrattano, le perseguitano e non le lasciano libere di esistere senza infierire su di loro.

Madri ricattate, per le quali si riesce a immaginare solo un quadro repressivo fatto di Tso ed elettroshock post parto, sindromi inventate a protezione di uomini violenti e leggi che privano le donne di qualunque diritto “umano”, inclusa la possibilità di scegliere dove vivere, di allontanarsi da un ex marito violento, di poter continuare a essere presente nella vita di quel corpo che hanno partorito squarciandosi le viscere.

La nostra società è talmente misogina che solo per caso non si arriva all’eugenetica selettiva sulla base del sesso ma è notorio che la stramaggioranza della gente fa il tifo per “il figlio maschio” che in base a leggi discriminatorie porta avanti il nome del padre giacchè la madre il suo cognome a quel figlio non può neppure darlo.

Ed è così che contro ogni possibile e ipocrita “elogio della maternità” siamo qui a fare il necrologio della maternità, la critica della ragion materna, il psiconecrologio della maternità, il requiem della maternità, l’afflizione della maternità, la metempsicosi della maternità, la transumanza, la fluorescenza, la trasmigrazione della maternità. In certi casi anche la “minaccia” della maternità.

Dedicato laicamente, senza costruzioni retoriche fasulle, alla donna che è morta perchè in questo maledetto paese le madri non contano un cazzo.

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, Precarietà.


7 Responses

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  1. Louisa says

    Complimenti per l’articolo, ma compliemti anche a Silvana S! Leggo molto le vostre pagine..
    Io ho avuto una figlia e per me il parto è stata una cosa faticosa di sicuro, ma non uno svisceramento. L’ho vissuto molto bene penso, forse perché è andato tutto ‘liscio’, forse perché con me c’erano ostetriche e una dottoressa in gambissima che si sono commosse più di me alla nascita della bambina, forse perché ero in Germania in una struttura moderna e sicuramente perché mi hanno fatto l’epidurale dopo 5 ore di travaglio intenso in modo che mi potessi riposare prima del momento cruciale. Ma in fondo tutto questo dovrebbe essere una cosa normale e alla portata di tutte le donne che partoriscono. Non può e non dev’essere un colpo di ‘fortuna’.
    Ho scelto consapevolmente di non partorire in Italia, proprio perché tutto ciò descritto nell’articolo sopra coincide con la verità per quanto riguarda l’atteggiamento generale maschilista e bigotto in Italia. La donna non vale un cazzo e non s’ha di certo da lamentare.. La mentalità del ‘tutte troie, ma W la mamma” è all’ordine del giorno. E devo ammettere che l’unica cosa che mi ha dato fastidio quel giorno è stata la presenza del padre, italiano. Fino ad oggi non ha sicuramente ancora capito nulla di quello che comporta la maternità. Ma ormai non importa più, perché non siamo più insieme e perché so, che fondalmentalmente lui sa, che chi si è davvero perso qualcosa è stato lui.

  2. Enola says

    A proposito di quest’altra donna (http://www.adnkronos.com/IGN/Regioni/Lombardia/Ventottenne-incinta-muore-in-incidente-a-Como-i-medici-fanno-nascere-la-bimba_841262842.html), incinta di 9 mesi, morta per un incidente stradale senza riuscire a vedere la sua bambina fatta nascere dai medici che l’hanno soccorsa, ho avuto ieri un pensiero atroce. Uno di quei pensieri che richiamano proprio quella specie di rapporto in contrapposizione tra il feto e la madre, ma senza volerlo beninteso. L’articolo riguardo la donna dice \il grave trauma toracico e le ferite riportate le sono state fatali\. Ecco, io ho pensato che forse, dico forse, se lei non fosse stata incinta, magari la cintura di sicurezza se la sarebbe messa e non avrebbe riportato danni toracici per l’incidente. Quel che ho pensato poi è che questa donna ora non c’è più, e non so se forse lei, a 28 anni (o 21?), avrebbe preferito vivere piuttosto che sacrificarsi così per la bambina che aveva in grembo. Forse sarò una bestia, ma questo dubbio è difficile levarselo di testa…
    Sicuramente ognuno ha i suoi istinti, i suoi eroismi, ma anche i suoi egoismi.

  3. sara says

    Per tutti è completamente ovvio e naturale farsi praticare l’anestesia per curare una semplice carie ad es. o per l’estrazione di un dente, ma le donne ancora devono partorire nel dolore. Nel nostro paese chiedere l’epidurale è una chimera, nessuna struttura pubblica te la garantisce e c’è moltissima disinformazione…d’accordo con l’articolo ma disagio per quanto riguarda la descrizione del parto come evento atroce e dilaniante…sono d’accordo con @silvana, mi sembra che così si alimenti la cultura che osanna il sacrificio materno e mi fa pensare con malessere a una natura nemica che si è accanita in modo particolare contro le donne. Mentre quello che opprime, uccide e stupra le donne in quanto donne non è certo la natura..ma questo blog lo dice ogni giorno. Femministe a sud non pensate che su questo punto @silvana abbia tutto sommato ragione?

  4. Elena says

    Grazie per questo post! Mai avuto istinto materno, e da sempre mi sento dire che sono arida, egoista, immatura e poco realizzata perché non voglio rovinarmi la linea e la salute per nove mesi per contribuire alla sovrappopolazione di un mondo in cui le risorse si stanno esaurendo.
    E poi, invece che incaponirsi ad insultare le donne come me, perché non si aiutano invece le donne che i figli li vorrebbero e non li fanno perché non ci sono asili nido, perché non ci sono possibilità di conciliare lavoro e famiglia, o perché abbiamo una legge sulla procreazione assistita che fa schifo, che esclude dalla possibilità di avere figli a priori le single e le lesbiche, perché bisogna per forza passare da un salame con il maiale attaccato per procreare?
    A proposito, sono single e gay, quindi anche li avessi voluti i figli…

  5. Silvana S. says

    La rabbia per questo episodio è tanta.
    L’ideologia del partorirai con dolore e l’estetica del sacrificio, della maternità eroica, della partoriente-martire mi fanno ribrezzo perchè in fondo sono parte della mentalità secondo cui la vita della madre è subordinata a quella del nasciuturo.

    Questa cultura ci dice che il parto fa male ma che è bello soffrire per dare la vita.

    Non credo però che la strategia femminista più efficace per combattere questa cultura sia di insistere a dire che il parto fa male, che ti si strappano le viscere e ti si squarcia il corpo ecc., solo che soffrire non è bello per niente.

    E’ proprio seguendo questa idea che molte donne in Italia si sottopongono al parto cesareo, spesso in cliniche private che non hanno un reparto di rianimazione, sottoponendosi a un intervento che mediamente espone la madre a un rischio di morte 5 volte superiore a quello del parto “naturale”, o comunque delegano la gestione della loro gavidanza e del loro corpo a una cultura medica maschile che fa scempio dei loro corpi e delle loro persone in mille modi.

    Detto questo, ricordiamoci che, come tutte le cose umane, anche il parto non è MAI naturale.

    Da molti secoli, per partorire ci si fa aiutare: un’amica, una vicina di casa, la levatrice, l’ostetrica, il ginecologo, il chirurgo.

    Il punto non è partorire naturalmente o meno, ma partorire secondo gli usi di una cultura partriarcale o meno, e secondo pratiche e logiche che hai scelto o che ti sono state imposte.

    Non ho mai partorito, ma le esperienze delle mie amiche che hanno partorito in casa seguite da un’ostetrica di fiducia, secondo le modalità che loro avevano consapevolmente scelto, non parlano di questi dolori atroci, e non parlano nè della gravidanza nè del parto come di un incubo devastante. Non parlano nemmeno di esperienze estatiche, ma semplicemente di una trasformazione molto intesta del proprio corpo che, se scelta e vissuta in libertà, può essere molto positiva e felice. Queste mie amiche hanno messo al mondo figle/i che avevano fortemente e liberamente voluto, nel modo che hanno voluto.

    Dipingere il parto come una cosa atroce e violenta in sè, descrivere i nostri corpi come nostri nemici, e il corpo della bambina o del bambino come nemico del corpo della madre, a mio avviso rischia di alimentare invece che combattere questa cultura di merda che osanna il sacrificio materno, separa l’embrione dalla madre e pone i suoi “diritti” al di sopra di quelli di lei, e che promuove la medicalizzazione, la normalizzazione e il controllo maschile sulla gravidanza e sul parto.

    In questi giorni in cui due donne sono morte di parto e di malasanità, con tutta la retorica di merda che ci tocca sentire, la rabbia è molta, ma vi prego non rivolgiamola contro i nostri uteri e le nostre vagine, richiamando la solita immagine della cosa troppo grossa che deve uscire da una fessura troppo piccola. E’ una frase che mi disturba molto, perchè evoca l’idea che il corpo femminile sia stato in qualche modo mal progettato e quindi destinato a squarciarsi, l’idea che le nostre vagine siano sempre troppo piccole e sempre fatalmente condannate a far passare oggetti troppo grandi e più importanti di loro. NON E’ COSI’. Le nostre vagine sanno il fatto loro, hanno la capacità e dovrebbero avere sempre il diritto di far passare chi vogliono e solo SE e quando vogliono.

    Comunque, nel caso di Eleonora Tripodi, se quello che riporta il Corriere è esatto, sembra che il taglio cesareo fosse necessario per salvare la madre e che sia stato eseguito con giorni di ritardo perchè a farlo prima “c’era pericolo per il nasciuturo”; che la clinica privata in cui è stato eseguito non disponesse di un reparto di rianimazione, e che nell’ospedale pubblico più vicino non ci fosse posto in rianimazione; infine, pare che l’intervento fosse di per sè a rischio perchè la donna aveva già subito altri tre tagli cesarei.

    L’Italia ha un tasso di tagli cesarei che è il doppio e in alcune regioni il quadruplo di quello indicato come ottimale dall’organizzazione mondiale della sanità.

    Il taglio cesareo è stato inventato dagli antichi romani per estrarre i feti vivi dal corpo delle donne morte di parto, ed era obbligatorio per legge, perchè il feto nella pancia della donna non apparteneva a lei, ma alla stirpe paterna.

    Oggi il cesareo viene presentato come soluzione più sicura, più igienica, più controllata e controllabile per mettere al mondo i bambini.

    Necrologio, anestesia, macelleria, usurpazione, colonizzazione, massacro, genocidio della maternità.

  6. Mariangela says

    La materniotà è ancora vista dal senso comune come la realizzazione della donna. L’dealizzazione di questo momento impedisce alle donne di riconoscere anche le emozioni negative che la accompagnano. Inoltre, non sempre è una scelta autentica da parte della madre. Questa non è salute!
    P. S. Il vostro blog è veramente interessante, complimenti!

  7. Daniela says

    Autrice di quest’articolo, chiunque tu sia, io ti amo incondizionatamente.