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Tutta mio nonno!

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[Immagine da RiotClitShave]

Sono Tanina, diminuitivo di Gaetana. In sicilia è un nome come un altro. Mi hanno chiamata così perché nella mia famiglia volevano un maschio. Gli spettava il nome di mio nonno. Invece sono nata io.

È un po’ una sfortuna dover portarsi addosso l’eredità di famiglia. Sentire tutte le vicine di casa che ti dicono che sei tutta tuo nonno, soprattutto quando a quel nonno non vorresti somigliare affatto.

L’uomo di cui portavo un nome era un vecchio maiale che più di una volta mi ha messo le mani addosso.

Il ragioniere, così lo chiamavano, per la sua aria distinta e per il mestiere che faceva.

Mi veniva a prendere alla domenica, per portarmi nella via principale della città a prendere una granita con la brioche. Diceva a mia madre di vestirmi bene, dovevo essere elegante, perché portavo il suo nome e perché ero quella che assicurava la continuità della stirpe.

Dovevo mangiare la granita seduta sulle sue ginocchia. “Piano Tanina, non ti ingozzare. C’è tempo, c’è tempo…” mi diceva. E nel frattempo si strofinava, mi imboccava, si faceva imboccare. Prima di andare via andava a lavarsi le mani. Poi mi guidava alla sua auto e quasi per tutta la strada del ritorno mi teneva una mano sulla gamba.

Ero piccola ma sono cose che ricordo in modo preciso. Sono immagini che prima non avevano senso, a parte provocarmi un grande senso di fastidio. Poi hanno acquistato significato, si sono arricchiti di dettagli impercettibili che allora mi sembravano senza significato. Il suo volto sofferente, qualche goccia di sudore, il modo in cui ad un certo punto mi stringeva e si dondolava per farmi andare su e giù.

Il caro vecchio nonno Gaetano, che mi voleva tanto bene e che sembrava un gigante con il suo abito borghese e il suo cappello da turista.

Avete idea di cosa significhi scoprire la propria sessualità in questo modo? Non riuscii per tanto tempo a considerare uno strofinio, una masturbazione, senza sentirmi sporca. Lo squallore e la volgarità mi sommergevano. Così trascorrevo l’adolescenza pensando di essere una ragazzina maledetta e quando cominciai a recuperare i ricordi e ne parlai con mia madre fu lei a dirmi che dovevamo andare ad avvisare la zia.

Anche lei aveva una bimba piccola, nata dopo di me, ed era oggetto delle attenzioni di mio nonno.

Mia zia disse che già sapeva tutto. Che non gli aveva mai permesso di portarla fuori. Che non li lasciava mai soli. Lei sapeva perché era stata vittima delle stesse attenzioni. Lei sapeva e non ci aveva detto niente.

Mia madre si arrabbiò moltissimo, le chiese come mai lei non l’avesse messa in guardia, come mai non l’avesse detto almeno a suo fratello, mio padre, per impedire che io diventassi una delle sue vittime.

Scosse la testa: “mi vergognavo. Per dirlo a voi dovevo dirvi che io avevo vissuto la stessa cosa…”. Ed è in quel senso di vergogna che trovano protezione tanti uomini come mio nonno. Una complicità involontaria. Una omertà che gli permette di agire indisturbati, bambino dopo bambino, bambina dopo bambina.

Mia madre volle indagare. Informò mio padre e gli chiese se anche lui non fosse stato vittima di mio nonno. Lui disse di no. Era sicuro. Disse di no e anzi fu sorpreso. Si mise a urlare, disse che sicuramente avevo frainteso. Era disperato.

Mio nonno oramai era vecchio. I pedofili sono spesso vecchi quando qualcuno si accorge di loro e quasi ti suscitano pena, una pena infinita perché la vecchiaia traveste la loro natura di innocenza e il pensiero comune diventa “oramai è vecchio, ne ha ancora per poco… non lo possiamo denunciare”.

Nessuno pensa alle vittime. Nessuno pensò a me. Al bisogno che avevo di sentire riconosciuto l’abuso che avevo subito. Per non lasciare nulla in sospeso. Per non restare legata a quel segreto. Per rinascere. Per vivere. Per ricominciare.

Fui l’unica a dire a mio nonno quello che tutti pensavano di lui. Mi disse che ero pazza. Che stavo mentendo e che per questo mio padre avrebbe dovuto punirmi.

Le famiglie sono tanto strane. Diventano custodi di segreti e spesso si comportano come clan. I parenti si stringono attorno al pedofilo e lo proteggono come si fa con un malato terminale di cancro. Lo proteggono di fronte a tutto. Lo proteggono non curandosi del male che è stato fatto e che stanno facendo alle vittime.

Dall’oggi al domani in casa mia tutto fu dimenticato. Nessuno ne parlò più. Semplicemente si evitò di invitare mio nonno e non mi fu mai chiesto di andare a fargli visita quando lui stava per morire. Protetto fino alla fine. La sua reputazione restò intatta. Fondamentale era quello che avrebbe pensato la gente. La gente. Non io.

Morì che aveva 82 anni. Andai a sputare sulla sua tomba. In segreto. Mia madre e mio padre, invece, continuarono a fargli visita tutti gli anni, per il giorno dei morti, quando tutta la città si avvia in processione al cimitero come fosse festa. L’opinione della gente conta anche dopo la morte. Cosa mai avrebbero potuto pensare nel vedere quella tomba spoglia, senza fiori e senza mai nessuno a prendersene cura?

“Che male può farti ora?” – diceva mio padre. “E’ morto. Tu sei viva. Non ci pensare…”

Viva, si. Sono viva. Appena appena per raccontarvi questa storia. E proprio non riesco a non pensarci, no.

Ero viva anche quando ascoltavo le tesi di mio padre. Abbastanza viva da fare le valigie e andarmene.

Vivo in Inghilterra da anni e ancora non sono riuscita a dimenticare. Non so quando e se potrò tornare nella mia città. Proprio non vorrei trovarmi ancora di fronte qualche vicino di casa. Lo stesso che mi diceva sempre “sei tutta tuo nonno”.

Oggi sono ancora più arrabbiata. Ho appena letto su un sito che esistono uomini violenti, pedofili e filo-pedofili che si improvvisano opinionisti su internet. Intrattenitori di folle che
indottrinano le persone circa il fatto che chi denuncia di aver subito atti di pedofilia mentirebbe sempre. Esattamente la stessa cosa che mi ha detto mio nonno per proteggersi dalle mie accuse e non rispondere delle sue responsabilità. Ho letto anche qualcosa a proposito della opinione di alcuni “intellettuali”, sedicenti specialisti di questa o di tal’altra materia, i quali raccontano quanto sia antiquata questa indignazione sincera verso i pedofili. Sembrano mercenari facenti parte di un più largo esempio di consapevoli persone che costruiscono una cultura della pedofilia. Costruiscono cioè un terreno fatto di omertà e complicità, di negazione del danno e di protezione del pedofilo. Sembrerebbe che mirino alla costruzione di una società che non giudichi la pedofilia ma la reputi come un fatto “normale” e dunque non più un reato. Che poi è esattamente la stessa cosa che pensano quelli che organizzano ogni anno la giornata dell’orgoglio pedofilo.

Oggi sono perciò ancora più arrabbiata del solito. Perché nel frattempo le vittime di pedofilia devono stare in silenzio, a proteggere la privacy perfino dei pedofili defunti. Per il buon nome della famiglia. Per non causare un dolore a tuo padre e a tua madre. Per non turbare l’ordine di un sistema che si regge sull’omertà.

In fondo, certo, io sono ancora viva. Che male può causarti un abuso? Che problemi può causarti da grande? Quanto può alterare la tua percezione sulla sessualità? Quanto può renderti infelice?

Non fraintendetemi, non faccio la vittima. Non sto piangendo. Non ho interesse a suicidarmi. Non rinuncio a vivere la vita di cui dispongo.

Ma che rabbia. Che rabbia!

Tornassi indietro me ne fregherei della famiglia e denuncerei. O con me o contro di me. E se non stai con me allora per te non c’è spazio nella mia vita.

Come si dice? Meglio sola che male accompagnata, no?

Buona giornata e grazie!

—>>>Ogni riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale!

Posted in Narrazioni: Assaggi, Omicidi sociali, Storie violente.


One Response

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  1. Silent says

    Mi sento vicina a Tanina, anche per via di un vissuto molto simile. Spesso chi dovrebbe amarti e proteggerti arriva a farti più male della violenza in sé.
    Almeno Tanina ha potuto sputare sulla sua tomba, privilegio che la vita ancora non mi ha concesso.