Skip to content


Perugia 2010. La città è in guerra, ma a dichiarare la guerra non siamo stat* noi

Da Libere Tutte:

Michela, Lollo e Riccardo
sono stati condannati in primo grado a 8 mesi e al pagamento di un
totale di 16.600 euro di risarcimento danni più spese legali e
processuali per resistenza aggravata e oltraggio a pubblico ufficiale.
Le
richieste del PM (8 mesi) sono dunque state interamente accolte, così
come erano state accolte le richieste di convalida degli arresti, dei
domiciliari e dell’obbligo di firma.

Per non aver fatto nulla.
Ma non è questo
che ci interessa principalmente discutere, ma il contesto in cui è
avvenuto l’episodio degli arresti che ci racconta del momento in cui
viviamo e delle strutture che regolano oggi le nostre vite. Non pensiamo
che sia un caso il fatto che gli arresti siano avvenuti nel centro
storico di perugia, oggetto da anni di intense politiche securitarie e
di campagne mediatiche contro il degrado.

E così,
negli anni, si è individuato un luogo: il
centro storico
si sono creati gli attori-oggetti della
rappresentazione
: giovani, spacciatori, tossici
si sono
messi in correlazione eventi: vita notturna,
consumo di alcool e droga, spaccio, schiamazzi, aggressioni e, dopo gli
arresti, anche la militanza politica.

L’insieme di questi
fattori
ci fa capire come questi arresti non siano un fatto di
repressione su militanti politici, ma siano l’effetto di una
costruzione entro cui tutti possono essere colpiti, in quanto tutti
attori di questa rappresentazione. Questi arresti paiono essere dunque
il punto finale di un percorso che ha portato all’istallazione di nuove
telecamere, al rafforzamento della presenza delle forze dell’ordine nei
luoghi d’incontro della piazza e alle ordinanze sul decoro urbano.
Con
il particolare che gli arresti e la rigida volontà di difendere
l’azione della polizia dimostra anche una determinazione da parte del
sistema questura-magistratura locale di voler gestire le questioni
cittadine anche con un volto autoritario e di vendetta (uno degli
elementi del processo è la mancanza di rispetto verso le forze
dell’ordine e il risarcimento morale verso gli agenti, come se la divisa
portasse una condizione di super-umanità).

Pare dunque che al classico
modello securitario si aggiunga in maniera fluida e non meccanica, nè
escludente, un altro modello del controllo, più diretto, più violento,
meno sofisticato.

Ci sembra di poter inserire dunque questo evento nella questione
generazionale e nella questione di genere, dove è in atto un
attacco diretto da tutti i punti di vista, formazione, reddito, stile e
forme di vita, contro le precarie e i precari, gli studenti e le
studentesse che vivono nel centro storico di Perugia e costruiscono la
vita notturna della città.
Una guerra contro lo stile di vita, i
desideri di una generazione senza futuro all’interno della crisi
globale. Bere una birra in
piazza
è un’attività sospetta, così come sospetti
erano i ribelli che si potevano identificare con una maglietta a strisce,
simbolo di un’altra generazione che esattamente cinquant’anni prima
della sentenza di ieri, 30 giugno, voleva ascoltare un altro tipo
musica, organizzare diversamente la propria vita e conquistare nuove
libertà.

Tutta nostra la città non deve essere
uno slogan di militanza, il titolo di un’assemblea o un piano d’azione
ma la voglia irresistibile di esserci

Perugia, 1 luglio 2010

Commonslab

Posted in Fem/Activism, Omicidi sociali.