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Non mi resta che il mare

Mi
chiamo Fausta e vivevo in un paese vicino al mare. Quando ero piccola mio zio
mi portava in spiaggia ed ero felice di imparare tutto quello che lui aveva da
insegnarmi. Nuotare, giocare, fare i castelli di sabbia, l’ultimo bagno, poi
una corsa alle docce pubbliche e subito a casa per una buona cena.

Capitava
spesso che mio zio si addormentasse con me perché io non volevo che se ne
andasse. Mia madre era felice che io andassi così d’accordo con suo fratello e
spesso a tavola si scherzava sul fatto che prima o poi io sarei diventata sua
moglie.

“Chi
vuoi sposare da grande?” mi chiedevano tutti e io rispondevo “lo zio”. Non
avevo dubbi. Lo adoravo.

Mio
padre se ne restava defilato, in ombra, non solo con me ma in generale. Non era
una persona benvoluta in famiglia, forse perché si sapeva che qualche volta
picchiava la mamma e fu per questo che mio zio lasciò per un po’ l’università e
con la scusa che voleva stare al mare tornò in paese ed era sempre a casa mia.

La
sua presenza smorzava le discussioni, mia madre si sentiva al sicuro e io ero
felice perché finalmente si rideva.

Quell’atmosfera
durò per un po’ fino a quando mio padre non trovò qualcosa da ridire su
questioni che davvero non stavano ne in cielo né in terra.

Trovò
mia madre che faceva la pipì con la porta della stanza da bagno aperta. Io e
mio zio eravamo nella mia stanza e ad un trattò ci fu un botto e poi le urla.

Mio
padre chiuse violentemente la porta e cominciò a urlare a mia
madre “ma non ti vergogni? Non ti vergogni di farti vedere da un uomo?”. Mia
madre rispose che quello era suo fratello e non un uomo qualsiasi e con sua
fratello aveva trascorso l’infanzia, la vita e non c’erano segreti tra loro.

Mio
padre reagì con uno schiaffo “ti senti più forte perché hai tuo fratello qua?
Pensi che perchè c’è lui puoi rispondermi in questo modo?”.

Vidi
lo zio diventare rosso dalla rabbia e mi strinse forte per farmi sentire
protetta. Perché dovete sapere che quando mio padre picchiava mia madre io ero
terrorizzata. Avevo paura che lei morisse. Avevo paura di morire.

Poi
mio padre uscì e mio zio andò da mia madre a dirle che era arrivato il momento
di fare la valigia e andarcene. La pregò di rendersi conto che non c’era più
niente da fare e che doveva farlo almeno per la bambina. E parlavano di me e
del fatto che non potevo crescere in quella pessima atmosfera.

Mia
madre fece le valigie e mio zio la esortò ad andare via senza aspettare che mio
padre tornasse. Avrebbe sicuramente cercato di impedirglielo e avrebbe fatto qualcosa di grave. Ed è per questo che le donne che lasciano i mariti violenti
sono costrette a fuggire per salvarsi la vita e salvarla ai propri figli.
Salvarli anche dal trauma di vedere la propria madre picchiata o perfino uccisa
da un uomo che non riconosceranno mai più come il loro padre.

Mio
zio disse che poi sarebbe tornato lui a discutere e a prendere le cose che
avevamo lasciato.

Quello
che accadde dopo non è semplice da raccontare, soprattutto perché devo cercare
di dirvi quello che io guardavo con gli occhi di una bambina.

Mio
padre venne a casa dei miei nonni e cominciò a urlare che sua moglie e sua
figlia, cioè io, dovevamo tornare da lui altrimenti avrebbe fatto qualcosa
di tremendo. C’era la nonna che mi teneva stretta mentre in casa spegnevano
tutte le luci per fingere che non c’eravamo.

Chissà
perché si immagina che spegnendo la luce tutto finisca. Mio zio chiamò la
polizia e nel frattempo si assicurò che la porta d’ingresso fosse ben chiusa.

C’era
mia madre che si sentiva in colpa e la vedevo piangere e chiedere scusa a mio
nonno per i guai che gli stava procurando. Mio nonno era un uomo buono e
continuava a dire “perché non me l’hai detto prima, perché non mi hai mai detto
niente…”.

La
polizia arrivò dopo un paio d’ore. Veniva dal paese vicino, dicevano che c’era
un problema di disponibilità di macchine e di uomini. Trovarono mio padre che
aveva già sfondato la porta, io e la nonna ci eravamo rifugiate nel terrazzo
chiudendo dall’interno una grossa porta di ferro.

Quando
i poliziotti ci dissero di aprire consigliarono a mia nonna di non farmi vedere quello che
era successo. Sfuggii alla sua presa e mi precipitai nel soggiorno e lì ricordo
di aver visto per prima cosa solo il sangue.

Mio
padre l’avevano già portato via. Mia madre era per terra e la sua faccia si
riassumeva in una brutta smorfia che non le avevo mai visto. Mio nonno era
accasciato in un angolo a piangere come un bambino. Mio zio lo vidi
per ultimo e mi venne spontaneo correre da lui e dargli tanti piccoli bacini
sul braccio che si era ferito quel giorno per raccogliere la scarpa che dalla roccia mi era scivolata in mare.

“Così
ti passa la bua, è vero che ti passa la bua?”. Ma la bua non passò e quando mi
strapparono via da lui continuai a pensare che fosse stata tutta colpa mia. Tutta
colpa mia.

Da
quel giorno tutto nella mia vita cambiò. Non ci fu più mia madre, il mio
adorato zio e con i miei nonni ci trasferimmo in un posto lontanissimo dal
mare. Di mio padre non so e non voglio sapere niente. Credo sia stato in
carcere e poi sia uscito dopo un po’.

Io
e i miei nonni in carcere invece siamo rimasti tutta la vita. Li ho visti
morire e ho continuato a restare lontana dal mare come per un senso di
scaramanzia, quasi che il mare fosse responsabile di tutto quello che era
successo.

Sono
sempre stata attenta a non legarmi con uomini violenti. Io non ho un padre, una
madre, un fratello a difendermi. Sono completamente sola. Cerco poco a poco di
conciliarmi con i miei affetti che non ci sono più e con i luoghi che mi sono
cari.

Oggi
per la prima volta dopo tantissimo tempo sono tornata al mare. Ho nuotato, sono
arrivata allo scoglio in cui mi portava sempre mio zio, ho respirato profondamente e poi ho pianto. Almeno il
mare, quello no, non me l’hanno portato via.

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—>>>Foto da Riotclitshave

Posted in Narrazioni: Assaggi, Omicidi sociali, Storie violente.


3 Responses

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  1. Camilla says

    Io sono sarda, qui abbiamo una cultura del mare che in altre regioni se la sognano… Certo, il mare non mi piace, ma lo rispetto, e mi piace guardarlo, osservare le onde… Ti capisco quando dici che ti manca il mare, nonostante tutto…
    Comunque quoto gli altri e ti mando un abbraccio pure io

  2. Martina says

    Un abbraccio grandissimo… anch’io avito vicino al mare e so cosa vuol dire starne lontana.
    Nella tua storia c’è tanta tristezza ma anche molta forza.
    La forza di non rinunciare.
    Grazie, Fausta.

  3. Phoenix says

    Mi dispiace tantissimo